L’idea che non si ritorni più a una passata età dell’oro, che sia definitivamente tramontato quel periodo sereno e tranquillo, e sia perduta sempre la società ordinata, coesa e mono cultural-razziale, destabilizza; e porta all’abbandono dei vecchi riferimenti tradizionali siano essi di sinistra, di centro o moderati
Inutile farsi illusioni. L’onda nera monta. Non dovunque, ma nei paesi centrali d’Europa sì. Italia, Francia e Germania, sia pure a livelli diversi e con sfumature diverse di nero, si stanno tingendo sempre più di questo colore.
La sinistra ha preso atto di questa tendenza e si attrezza per farvi fronte. In Germania la società civile democratica, già autonomamente mobilitata per reagire ai fantasmi del passato, è ulteriormente sollecitata da verdi e socialdemocratici.
In Italia le opposizioni hanno finalmente trovato momenti di convergenza, forse destinati a fruttare e a trasformarsi in una coalizione in vista di un’alternanza. In Francia la prospettiva di un successo del Rassemblement national ha fatto il miracolo di portare sotto le stesse insegne l’ex presidente socialista François Hollande e il demagogo dell’ultra sinistra Jean-Luc Mélenchon.
L’area moderata
Se la sinistra si risveglia, non così l’area moderata. Anzi, come ricordava Emanuele Felice su queste colonne, il mondo liberalcapitalista oscilla tra la sottovalutazione di una vittoria a valanga della estrema destra e la piena accettazione dei nuovi venuti da destra, un po’ discoli ma in fondo innocui, e soprattutto utili per tenere a bada il vero nemico, la sinistra.
La storia, ovviamente, non si ripete, e vanno sempre tenute in conto le enormi differenze di contesto. Ma tutto questo ricorda l’atteggiamento, prima minimizzante e poi condiscendente, nei confronti del fascismo europeo da parte dei conservatori e dei liberali moderati in Italia e in Germania. A fronte di quella galassia che andava da Benedetto Croce a Giuseppe Prezzolini, il giovane Piero Gobetti, insieme a pochi altri, avvertiva che si era di fronte a una rivoluzione che era una rivelazione di qualcosa di profondo della storia nazionale. Insistiamo, nulla si ripete.
E tuttavia, insieme alla benevola attenzione di alcuni, circola oggi una incomprensione di fondo del fenomeno che si espande sotto i nostri occhi. In realtà assistiamo alla massima fortuna di una famiglia politica affiorata negli anni Ottanta alla destra dei conservatori in tanti paesi europei (Italia esclusa, perché aveva il Movimento sociale italiano a occupare quello spazio).
Quasi quarant’anni fa sono arrivati alla ribalta movimenti e partiti che non agitavano tanto i vessilli del passato, ma piuttosto puntavano il dito su problemi reali, percepiti come importanti da alcune componenti della popolazione, e trascurati dalle élite al potere, qualunque fosse il loro colore.
Immigrazione-sicurezza
Si trattava, già allora, della coppia immigrazione-sicurezza. Un evergreen della destra estrema, visto quanto risuona ancora oggi nella narrazione dei leader di quest’area politica. Quell’intreccio, in effetti reale e incontestabile, è servito a fornire un capro espiatorio sul quale indirizzare la rabbia dei tanti in difficoltà esistenziale.
In fondo, i discorsi di Salvini trionfante o di Meloni di qualche anno fa sui respingimenti dei migranti, sui blocchi navali, sulle espulsioni a ciclo continuo per difendere il popolo italiano dalla aggressione dei nuovi venuti e preservare la nostra identità si ritrovano fin dal secolo scorso in Le Pen padre e in altri cantori di quel mondo.
L’efficacia di questa litania xenofoba pone però un ulteriore interrogativo. Come mai gli interpreti di questa narrazione, dopo lunghi anni di emarginazione, hanno sfondato e coinvolto anche i moderati? Cosa c’era – e c’è – d’altro?
Così come tra anni Ottanta e Novanta, oltre alle preoccupazioni per la sicurezza minacciata dagli immigrati, è venuta a galla una reazione all’affermazione dei diritti civili e alla liberalizzazione dei costumi del decennio precedente, e una domanda di difesa dell’identità nazionale e di una società ordinata e gerarchica (vannacciana, diremmo oggi), anche oggi affiorano preoccupazioni di lungo periodo fin qui inespresse.
Tra le tante, la più potente riguarda la perdita del futuro. Terrorismo, crisi economica, pandemia, guerre hanno creato uno stato di tensione tale da aver portato molti a rivolgersi, nostalgicamente, al passato: perché il benessere e l’ascensione sociale sono ormai dei miraggi.
L’idea che non si ritorni più a una passata età dell’oro, che sia definitivamente tramontato quel periodo sereno e tranquillo, e sia perduta per sempre la società ordinata, coesa e mono cultural-razziale, destabilizza; e porta all’abbandono dei vecchi riferimenti tradizionali, siano essi di sinistra, di centro o moderati. Anzi, con più rabbia ancora se si era creduto nelle magnifiche sorti e progressive. E ci si rifugia allora nei soli che indicano una prospettiva di cambiamento radicale, rivoluzionario quanto reazionario.
Le componenti più “disturbate” dal mondo contemporaneo, che non si limitano ai cosiddetti forgotten men, ma penetrano anche in altri ambiti, sono entrate in sintonia con coloro che, in alternativa a tutto e a tutti, si professano custodi e portatori di un mondo sicuro e ordinato. Che prospettive mobilitanti e coinvolgenti contrappongono gli altri?
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