Il 18 novembre è stato organizzato uno sciopero per l’ammanco di petrolio russo in vista dell’embargo del 5 dicembre. La restrizione rischia di mettere in seria difficoltà l’impianto, posseduto dalla società russa e alimentato quasi unicamente dal greggio di Mosca, e l’esecutivo sta lavorando a una soluzione ormai da settimane
Ancora una volta no alla nazionalizzazione della raffineria Lukoil in Sicilia da parte del governo, ma, alla vigilia dello sciopero, l’esecutivo pensa a come rendere più facile la vendita qualora ci fossero pretendenti: «La norma sul Golden power ci concede di dire a che condizioni. La condizione per noi è il mantenimento della produzione e dell'occupazione, così fondamentali per la nostra Sicilia», ha detto il ministro delle imprese e del made in Italy, Adolfo Urso.
Lukoil, a quanto risulta a Domani, finora non ha valutato attendibile alcuna offerta. Mentre i rapporti tra i paesi Nato e la Russia restano complicati, il 18 novembre è stata organizzata la mobilitazione per l’ammanco di petrolio russo dopo l’embargo del 5 dicembre, mentre l’impianto sta incrementando gli acquisti da Mosca per arrivare a quella data con i serbatoi pieni.
La restrizione europea rischia di mettere in seria difficoltà la raffineria, posseduta dalla società russa e alimentata quasi unicamente dal greggio di Mosca, e l’esecutivo, prima presieduto da Mario Draghi e ora da Giorgia Meloni, sta lavorando a una soluzione ormai da settimane.
Domani ci sarà un incontro tra rappresentanti del governo, della regione e anche di Sace, la spa controllata dal governo che potrebbe offrire le garanzie per far ripartire l’impianto con greggi di altra provenienza.
La mobilitazione
La mobilitazione sarà composta dallo sciopero di Cgil e Cisl e da una manifestazione davanti al ministero delle Imprese della Uil, mentre si svolgerà il vertice tra i rappresentanti dei dicasteri dell’Economia, e delle Imprese, le parti sociali e l’azienda. Fiorenzo Amato, della Filctem Cgil, che siederà al tavolo del governo racconta: «Noi l’abbiamo denunciato da tempo, la garanzia doveva essere data da subito, lo diciamo da marzo».
Il rappresentante di Siracusa ribadisce che prima dell’invasione dell’Ucraina e delle sanzioni, l’impianto importava da tutto il mondo e dagli altri paesi del Mediterraneo a partire dalla Libia, ma le banche hanno smesso di fidarsi.
L’Isab Lukoil è di proprietà della società svizzera Litasco, controllata dalla Lukoil russa, e gli istituti non hanno più concesso le linee di credito necessarie. E l’unica fonte di rifornimento è rimasta la casa madre ma «le società della raffinazione fanno i programmi trimestrali, l’ultimo carico l’hanno fatto in questi giorni», racconta il sindacalista.
Urso ha detto che «l’obiettivo è garantire la produzione della raffineria e che ci sia sicurezza sugli investimenti». Finora, però, è proprio questo il rischio che nessuno è riuscito a scongiurare.
L’intervento
Il governo alla vigilia del tavolo ha escluso ancora una volta l’ipotesi di un intervento diretto, mentre la società dello stabilimento fa pressioni perché l’Italia chieda una deroga al divieto europeo, come accaduto per l’oleodotto Druzhba, il tubo “dell’amicizia” che dalla Russia porta il greggio fino in Germania.
Una strada pressoché impercorribile, anche perché un articolo del Wall Street Journal di qualche settimana fa, sottolineando l’ovvio, ovvero che i prodotti raffinati dalla materia prima russa vengono esportati come italiani in tutto il mondo, Stati Uniti inclusi, ha lanciato l’allarme sulla dipendenza italiana. La raffineria d’altronde è lo stabilimento maggiore della penisola e arriva a coprire quasi un quarto del fabbisogno di benzina, diesel e prodotti petroliferi nazionale.
L’incontro
Il ministero delle Imprese e quello dell’Economia, retti rispettivamente da Urso e Giancarlo Giorgetti, hanno adesso il compito di salvare il lavoro dei mille dipendenti diretti, tremila considerando l’indotto, e infine quasi dodicimila lavoratori che risentirebbero della situazione senza contare l’economia del siracusano.
«La Germania ha seguito la via della nazionalizzazione», ha ricordato Urso anche a Mattino Cinque. «Noi abbiamo tutti gli strumenti in campo. Certamente privilegiamo quello della continuità produttiva e di un’azienda privata che deve restare tale». Tra i partner, ha detto, «ci sono possibili interlocutori internazionali».
«Questo è un impianto strategico per il paese. Siamo in campo con tutti gli strumenti che lo stato può utilizzare», ha detto il ministro delle Imprese e del Made in Italy.
Intanto però l’impasse è evidente: «L’azienda – ha ribadito Urso -, non è sottoposta a sanzioni, abbiamo parlato con le banche e Sace affinché possano finanziare eventuali approvvigionamenti sui mercati diversi da quello russo». Dunque resta viva l’ipotesi che la società di stato garantisca le banche che riapriranno il credito alla raffineria. Il governo segue con attenzione «gli sviluppi dell'azienda e degli altri partner e investitori internazionali», ha detto il ministro, ma sulla convocazione si leggono gli indirizzi e-mail di Sace.
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