Beppe Grillo è fuori. Dopo quindici anni da padre del partito, il fondatore non sarà più il garante del Movimento 5 stelle. Un epilogo che si è consumato durante Nova, l’evento finale dell’assemblea costituente del M5s.

Il dato che segna una svolta nella vita politica del partito è arrivato a metà pomeriggio, quando il notaio ha declamato i risultati della votazione e ha annunciato che il 63,24 per cento dei partecipanti aveva scelto di eliminare il ruolo del garante.

Certo, dei quasi 90mila aventi diritto, alla fine ha votato il 61 per cento, una percentuale simile a quando si votò l’ingresso nel governo Draghi, con la differenza che allora gli iscritti erano quasi 120mila, dunque il 59 per cento di allora corrispondeva a oltre 75mila voti.

Poco prima, il comico aveva detto la sua con una storia WhatsApp. «Da francescani a gesuiti» era il titolo di una foto che ritraeva un particolare della chiesa di San Francesco a Ripa a Roma. Una targa con la scritta: «Sasso dove posava il capo il serafico padre San Francesco». Conte, dal canto suo, non ha fatto una piega quando si è trattato di commentare i risultati dal palco: «Non mi sarei mai aspettato che il nostro garante si mettesse di traverso e entrasse a gamba tesa» nella costituente. «Non è mai stato uno scontro tra il garante e il sottoscritto» ha continuato l’ex premier.

I quesiti

Il parricidio è completato, così come la trasformazione del Movimento in un partito che ha al suo centro Conte. «Un concerto per voce solista» osserva un capannello commentando l’evento, che «è costato l’impossibile» racconta qualcuno. «Sempre meno di 300mila euro comunque» rispondono. Il riferimento è al prezzo della consulenza che legava Grillo ai Cinque stelle. E che ormai, ovviamente, appartiene al passato.

Intanto gli iscritti hanno votato a favore di tutte le istanze proposte dai vertici, inclusa l’abolizione del vincolo dei due mandati, cancellando regole che erano considerate capisaldi intoccabili del Movimento “delle origini”. Ora le diverse ipotesi alternative sui mandati, saranno sintetizzate in un nuovo quesito. «Sul limite dei due mandati l’indicazione è chiara, ne terremo presente per formulare una proposta che voi voterete. Il segnale chiaro che ci avete dato è valorizzare le esperienze e le competenze, vi siete stancati di lottare ad armi impari con le altre forze politiche».

Insomma, via libera a tutti quegli ex volti del M5s che attualmente sono parcheggiati nei gangli del partito. Non è un caso se all’evento c’erano Paola Taverna, con un jeans baggy, l’immutabile Vito Crimi, ma anche Alfonso Bonafede. Un militante lo ha salutato con una stretta di mano: «Ministro, se passa l’abolizione del limite dei mandati torni in pista!» Il componente laico del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria si è allontanato con un sorriso sornione.

Conte può dirsi soddisfatto anche della risposta al quesito sulle alleanze, che confermano l’impianto progressista che ha dato al partito e alla due giorni al palazzo dei Congressi. Certo, se ci si ferma a ragionare con attivisti ed eletti spesso la convinzione non è altrettanto ferrea: tanti si dichiarano «né di destra né di sinistra» com’era il Movimento degli albori, mentre tra i parlamentari corre una sottile insoddisfazione. Anche perché, ormai, su Grillo non c’è più da fare affidamento per chi vuole proporre una linea alternativa all’ex premier.

Il dissenso

Qualcuno nota che sui palchi non c’è stato spazio per chi ha manifestato più apertamente il dissenso contro Conte, prima fra tutti Chiara Appendino. È presto per parlare di una vera corrente, ma tanti dubitano che l’impostazione che Conte ha dato all’evento produca la chiarezza di cui i Cinque stelle hanno bisogno per uscire dal loro momento buio. «Che facciamo alla prossima elezione regionale in cui prendiamo il 3 per cento? Continuiamo a essere felici che ha vinto il Pd?» si chiede qualcuno.

Altri hanno paura del fatto che il partito non sarà in grado di uscire dall’ombra del Pd e si troverà annientato dalla capillarità dei dem. Le dichiarazioni di Conte, che fa il verso alla segretaria Elly Schlein dicendosi «testardamente orientato a cambiare la società», non risolvono questi dubbi. Conte mette anche le mani avanti, ricordando a tutti che il Movimento è sopravvissuto «nonostante i tradimenti e gli schizzi di fango».

Il riferimento a Luigi Di Maio è evidente. L’ex premier si dice ostile a «torri d’avorio», «salotti buoni» e «algide conferenze». Alla fine, però, dalle votazioni esce la certezza che i Cinque stelle saranno «progressisti indipendenti», una formula che Conte spiega con un «radicali nei valori, pragmatici nelle soluzioni». Con la consapevolezza che «le alleanze sono solo un mezzo per raggiungere il fine di cambiare la società».

Alleanze che, in ogni caso, dovranno essere condizionate da un accordo programmatico preciso, come ha deciso il 92,4 per cento dei votanti. La convention non risolve il complicato rapporto con il Pd: la relazione resta catulliana, con un odi et amo che si snoda per tutta la due giorni.

A spingere verso un’intesa è – involontariamente – Sahra Wagenknecht, che invita a Berlino Conte e gli raccomanda l’esperienza della Turingia, dove si è appena realizzata la coalizione “mora” anti-AfD: Cdu, Spd, Linke e BSW tutti insieme contro l’estrema destra. E poi, giù con la pace, tema su cui anche il M5s tiene a distinguersi, soprattutto dal Pd: «Dobbiamo gridare che il governo di Netanyahu è un governo criminale che deve rispondere delle sue condotte criminali, senza per questo essere accusati di antisemitismo». Stesso discorso per il conflitto ucraino: «Se l’obiettivo è quello di riportare una sconfitta militare sulla Russia, dobbiamo dire con chiarezza che questa è una follia. Senza per questo essere accusati di essere filoputinisti».

Ma la leader rossobruna tedesca ha finito di parlare da poco quando arriva Marco Travaglio a evocare la possibilità che il prossimo segretario del Pd sia Paolo Gentiloni: «E poi con quello che ci fai?» Applausi dei tanti nel pubblico che hanno il Fatto sottobraccio. E ancora: «Sulle alleanze si decide volta per volta, è inutile parlare di destra e sinistra alla gente che ormai è oltre».

E poi, il simbolo. Nella lista dei quesiti ce n’era anche uno sulla procedura per proporne uno nuovo ed è passato. La suggestione che qualcuno della vecchia guardia confida a fine serata è la sempiterna questione della proprietà disputata da Conte e Grillo. «Beppe potrebbe far valere i suoi diritti». Sempre che gli torni la voglia di combattere.

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