Nel Movimento si spera che il consenso personale dell’ex premier possa salvare le regionali in Emilia-Romagna e in Umbria, ma i grillini non hanno più un elettorato
Avanti come nulla fosse. Da qui al 18 novembre, data delle regionali in Umbria ed Emilia-Romagna, niente più passi falsi e profilo basso. Il Movimento 5 stelle cerca di far dimenticare il brutto colpo del voto ligure, che lo ha relegato ai margini della coalizione di centrosinistra dietro al Pd – primo partito in regione – e ad Avs. Beppe Grillo non perde tempo e attacca in mattinata: «Si muore più traditi dalle pecore che sbranati dal lupo». Conte si assume la responsabilità – «ci mancherebbe» – ma rinvia ogni discussione alla prossima assemblea costituente: «Le leadership sono sempre in discussione nel momento in cui non c’è consenso».
La linea, però, è sempre quella di tenere le aspettative basse sulle regionali: «Purtroppo siamo abituati a risultati non assolutamente soddisfacenti e anche molto deludenti sui territori, ne siamo consapevoli». Quasi a mettere le mani avanti sul prossimo appuntamento, tra meno di un mese. Lo storico non è positivo, soprattutto in Emilia-Romagna dove il M5s ha preso il 7,1 per cento alle ultime europee e un misero 4,7 per cento alle regionali del 2020. Ora come ora, il traguardo che ci si pone è di arrivare almeno al 3 per cento. Va un po’ meglio in Umbria: 8,9 per cento alle europee, 7,4 per cento alle ultime regionali, che poi sono state il primo embrione (perdente) di campo largo nel 2019, cristallizzato nella foto di Narni che immortalava insieme Conte, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Roberto Speranza e il candidato Vincenzo Bianconi.
La riorganizzazione sui territori è stata una risposta ricorrente a risultati elettorali deludenti ancora prima dell’epoca di Conte. Stavolta era effettivamente in programma, a fine novembre, ma c’è già chi vira sul sarcasmo: «Ormai resta da organizzare solo il funerale». A colpire, nella sede di via di Campo Marzio, è stata soprattutto la performance di Avs: l’appeal che il Movimento aveva esercitato su una fetta dell’elettorato più radicale, soprattutto in virtù delle sue posizioni pacifiste, sembra ormai evaporato. Anche i giovani, introdotti da Conte alla Costituente e spesso al centro – almeno a parole – dei programmi del M5s, non sembravano aver ricambiato l’interesse. La sinistra è presidiata da Elly Schlein, ai moderati pensa Matteo Renzi (e difficilmente accoglierebbero Conte a braccia aperte). E allora, è la domanda che si pongono in molti, a che interlocutore può rivolgersi ora il Movimento 5 stelle?
Per il momento nessuno ha trovato una nuova identità credibile da costruire in appena tre settimane. Di conseguenza, ai prossimi appuntamenti elettorali, si arriverà a denti stretti e nella speranza che il marchio personale di Conte, ancora forte dell’esperienza da premier durante il Covid, riesca a fare il miracolo anche in Umbria ed Emilia-Romagna.
Beghe interne
Certo, l’indicazione del basso profilo è stata immediatamente disattesa da Paola Taverna, che in un video pubblicato su Facebook – il primo dopo un lungo silenzio social – ha attaccato direttamente Danilo Toninelli che, con la sua trasmissione Controinformazione, da tempo è diventato protagonista del gruppetto di irriducibili pro Grillo nel Movimento. «Questa non è la lista di Conte, è la lista del Movimento 5 stelle, e se oggi abbiamo il 4,5 per cento probabilmente dipende anche da una guerra interna che sta facendo molto male al Movimento, molto più di quella che invece, insieme, dovremo fare contro il centrodestra» dice Taverna, ricordando a Toninelli i suoi compiti: «Ognuno rimanga al suo posto. Ci sono molti provvedimenti all’attenzione del Collegio dei probiviri che forse meriterebbero più attenzione».
Il timore è che dopo la Costituente, la temperatura nel partito possa aumentare. In ogni caso, a prescindere dall’esito dell’assemblea. «Questo tipo di confronti servono per confondere le acque, ma non risolve i problemi sottostanti» osservano. Tradotto: se si dovesse consolidare l’impressione che Conte non è più in grado di garantire rielezione e spazio di manovra, crescerebbe la rivalità tra i parlamentari al primo e quelli al secondo mandato. Molti potrebbero addirittura guardare altrove, soprattutto qualora non andasse in porto l’abolizione del vincolo dei due mandati. Una crescente instabilità nei gruppi, poi, rischia di compromettere anche il gradimento personale – ancora alto – di Conte.
In ogni caso, l’unica certezza per il momento è che a compilare le prossime liste elettorali sarà l’ex premier, che difficilmente potrà tornare a sedersi al tavolo di coalizione con Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni con la stessa autorevolezza. Ciononostante, suggerisce chi lo conosce bene, Conte «potrebbe proporre le primarie di coalizione» e sfidare un Pd che sembra ormai essersi definitivamente emancipato da un Movimento che solo qualche mese fa rischiava di metterlo in ombra. Anzi, ormai sembra stagliarsi all’orizzonte del 2027 una sfida diretta tra Schlein e Giorgia Meloni. «E Conte non è donna e mal sopporta la polarizzazione» sussurrano nel partito.
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