Non esistono spazi sufficienti ad accogliere gli oltre 200 avvocati dei piccoli azionisti. I legali e i giudici si sono organizzati per dividere in più giorni l’udienza di costituzione di parte civile. La situazione a Bari è in crisi da tempo: nel 2018 i processi si celebrarono nelle tende
- A Bari svolgere processi è più difficile del resto d’Italia, perché da due anni e mezzo non c’è un palazzo di giustizia stabile. L’edificio è stato dichiarato inagibile e a rischio crollo dalla stessa procura che lavorava lì dentro.
- Dopo un periodo di emergenza con udienze nelle tende, le aule sono state ricavate in edifici sparsi un po’ ovunque. Il processo sulla popolare di Bari è inoltre complicato per la presenza di un altissimo numero di parti lese
- C’è un protocollo d’intesa firmato da ministero e comune per realizzare il polo della giustizia, ma il progetto è fermo. Ora però i fondi destinati alla giustizia nel Recovery fund fanno ben sperare.
La popolare di Bari è una di quelle banche diffuse sul territorio e costruite sul risparmio dei piccoli correntisti. Dalla sua fondazione nel 1960 ha raccolto pensioni, stipendi e risparmi e ampliato la platea dei soci fino ad arrivare a circa 70 mila persone. Un esercito di piccoli azionisti che ha visto progressivamente ridurre il valore dei loro titoli e che, nel dicembre 2019 quando la banca è stata commissariata, è diventato parte lesa di un crack da 1,4 miliardi di euro.
La banca è stata salvata con il decreto-salva banche, è tutt’ora commissariata e sono in corso i processi penali e civili per accertare le responsabilità. A Bari però svolgere processi è più difficile che nel resto d’Italia, perché il capoluogo barese è privo di un palazzo di giustizia stabile da due anni e mezzo. Nel 2018, l’edificio che ospitava gli uffici giudiziari è stato dichiarato inagibile e a rischio crollo e per questo è stato sottoposto a sequestro dalla stessa procura della repubblica che lavorava al suo interno. Dopo un periodo di emergenza in cui le udienze penali e il lavoro di cancelleria si svolgevano in tende della protezione civile allestite nel piazzale antistante, da quasi due anni le aule di giustizia sono state ricavate in edifici sparsi ovunque: nei paesi di Modugno e Bitonto, nell’hinterland cittadino; nell’aula bunker di Trani e in un palazzo ex sede della Telecom.
Altri uffici, invece, sono stati riportati nell’edificio dichiarato pericolante, perché la procura che indaga ha concesso la facoltà d’uso nonostante sia stato dichiarato non sicuro. «La situazione è drammatica: è uno spezzatino in cui la giustizia viene esercitata in otto luoghi diversi e in edifici fatiscenti e non adatti», ha detto il presidente dell’ordine degli avvocati di Bari, Giovanni Stefanì. La situazione, inoltre, si è aggravata a causa dell’emergenza Covid.
«Operiamo in edifici non pensati per essere dei tribunali, in cui le aule d’udienza sono in realtà salette piccole e inadeguate, a maggior ragione ora che la pandemia ha imposto distanze e misure di sicurezza. Il Covid ha portato all’ennesima potenza la crisi della giustizia a Bari».
La carica dei 200 avvocati
In questo contesto, in cui gestire il carico di lavoro ordinario è complesso e avvocati e giudici sono costretti a girare tra uffici anche molto distanti tra loro, inizia il processo popBari. Che porta con sé un’ulteriore difficoltà: l’altissimo numero di parti lese, dunque di avvocati a cui trovare posto in aula. Ora il processo penale è ancora in fase preliminare, ma il primo intoppo è arrivato già con l’udienza per la costituzione delle parti civili.
Il codice di procedura penale, infatti, prevede che la costituzione debba essere fatta necessariamente in udienza, di persona dall’avvocato della parte civile. Nel caso della popBari, da oltre duecento avvocati che rappresentano i cinquecento azionisti che hanno deciso di costituirsi. La data fissata era quella del 16 luglio, ma il giudice è stato costretto a rinviarla a causa dell’assembramento fuori dall’aula. Ieri, oggi e domani va in scena il secondo tentativo: il collegio giudicante e gli avvocati si sono accordati per dilazionare l’udienza in tre giorni, dividendo in ordine alfabetico le costituzioni e permettere che tutto avvenga nel rispetto delle norme anti-Covid.
«Tutto si è svolto in modo perfetto e ben organizzato, nel rispetto delle prescrizioni», ha detto l’avvocato Antonio Amendola, che ieri si è messo in fila insieme ai colleghi con il cognome che iniziava con la lettera A. Però la tecnica ingegnosa del diluire in più giorni le udienze può essere utilizzata solo in questa fase. Quando si svolgeranno le udienze di discussione, invece, tutti dovranno essere messi nella condizione di assistere ed intervenire in difesa dei loro assistiti.
Altrimenti, il processo non potrà che essere rinviato fino a quando non si troverà un’aula idonea. «Ad oggi non esistono luoghi idonei quindi, se vogliamo che questo processo si celebri, l’unica soluzione è l’autoregolamentazione tra avvocati delle parti civili», dice Antonio Pinto, avvocato di Confconsumatori Puglia. I legali creeranno un meccanismo di rotazione per cui ad ogni udienza si presenterà solo un gruppo ristretto di avvocati, con la delega alla sostituzione di quelli assenti.
La fiera del Levante
Un’ipotesi sul tavolo è l’affitto dei locali della fiera del Levante, che ha locali grandi a sufficienza per essere a norma con le prescrizioni Covid e ospitare la carica delle moltissime parti civili costituite. Se ne sta occupando la Conferenza permanente che riunisce i vertici della giustizia barese.
«Nella scorsa seduta abbiamo lanciato un grido di allarme a tutte le istituzioni perché intervengano in nostro aiuto», ha detto il presidente Stefanì. Il sindaco di Bari, Antonio Decaro, si è messo a disposizione per convincere l’ente fiera, ma per ora la situazione rimane sospesa.
I fondi del Recovery
I numeri del processo popBari sono un caso eccezionale, che però riporta al centro il problema degli spazi di giustizia a Bari. Poco dopo il suo insediamento nel 2018, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede era andato personalmente a Bari, promettendo di far uscire la giustizia dalle tende e di farsi carico del problema del tribunale. Da quel momento le tende sono state smontate, ma i locali sono stati sparpagliati per la città e una soluzione stabile è ancora lontana. Esiste un protocollo d’intesa firmato da ministero, comune, agenzia del demanio e provveditore per le opere pubbliche per realizzare il polo della giustizia in una grande area detta “delle ex Casermette”, ma il progetto di cittadella giudiziaria è fermo alla fase di valutazione da parte di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa.
Ora, però, i fondi destinati alla giustizia nel Recovery fund fanno ben sperare il foro pugliese, che ha ascoltato con attenzione l’audizione alla Camera del ministro Bonafede, in cui ha indicato tra le priorità di investimento l’edilizia giudiziaria. «Non servono soluzioni provvisorie, vogliamo che il problema venga risolto: auspico che il ministro dia impulso a un progetto che è pronto, con un procedimento amministrativo che è già stato avviato», dice Manuel Virgintino, consigliere barese del Consiglio nazionale forense. «Se questo non avverrà, nonostante i fondi a disposizione con il Recovery fund, significa una cosa sola: che manca la volontà politica».
Nessuno, però, si fa illusioni. Il presidente dell’Associazione nazionale forense, Luigi Pansini, è regolarmente presente ai tavoli di del ministero: «L’edilizia giudiziaria è stata indicata tra i temi prioritari, però carta canta e per ora non ci sono informazioni dettagliate. A Bari siamo fermi al protocollo, altro non risulta». Se la giustizia barese perdesse anche i fondi del Recovery, sarebbe una seconda maledizione: già negli Novanta, con la dismissione del vecchio palazzo di giustizia nel cuore della città, erano stati ottenuti i finanziamenti per un nuovo palagiustizia che però non venne mai realizzato per problemi urbanistici e i fondi vennero perduti.
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