- L’annuncio iniziale prevedeva l’arrivo dei fondi da alcune estrazioni straordinarie del lotto, dall’aumento provvisorio del costo dei musei e dall’emissione di un francobollo speciale.
- In realtà sono state recuperate risorse tagliando fondi per l’integrazione salariale, per l’occupazione e la formazione, o il bonus sociale per il sostegno delle fasce più deboli.
- La soluzione più saggia in un’emergenza di questo tipo sarebbe lo scostamento di bilancio, il ricorso al prestito sui mercati finanziari. Ma l’equilibrio dei conti pubblici italiani è molto precario.
La presidente Meloni aveva parlato di uno stanziamento di oltre 2 miliardi di euro per supportare i soccorsi e la ricostruzione nelle aree colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. Il decreto era stato preparato in fretta, ma poi era sparito dai radar. Alla fine, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 1° giugno, due settimane dopo la fine delle piogge.
Dov’era finito nel frattempo? Si dice che il testo fosse in revisione per questioni tecniche, ma la natura emergenziale del decreto avrebbe dovuto proteggerlo senza troppi problemi dai vizi di forma. È più probabile che il vero ostacolo sia stato la mancanza di fondi: è difficile stanziare immediatamente risorse che non si possiedono. Il testo del decreto conferma questa ipotesi: ai 2,2 miliardi annunciati, mancano almeno 500 milioni di euro, come sottolineato da Carlo Canepa su Pagella Politica.
Il Governo aveva annunciato che i fondi sarebbero arrivati da alcune estrazioni straordinarie del lotto (ovviamente soprassedendo sulle conseguenze di un incentivo al gioco d’azzardo), dall’aumento provvisorio del costo dei musei e dall’emissione di un francobollo speciale. Al di là della “tassa” sui biglietti dei musei, a dimostrazione di una certa idea sull’accesso alla cultura, il governo sembrava sostanzialmente intenzionato a recuperare fondi tramite la beneficenza di collezionisti e giocatori occasionali, la ludopatia dei giocatori patologici. Non una strategia vincente, soprattutto se di risorse devi recuperarne tante.
I fondi infatti sono arrivati da altre casse: Pagella Politica racconta che il governo li ha messi insieme tagliando quelli per l’integrazione salariale, per l’occupazione e la formazione, o il bonus sociale, misure disegnata per il sostegno alle fasce più deboli. Il primo fondo riguarda gli occupati che stanno lavorando meno perché le loro aziende sono in crisi; il secondo riguarda le politiche attive, la cui carenza in Italia è una delle ragioni del crollo della produttività negli ultimi decenni; il terzo è un sostegno alle famiglie più povere per proteggerle dai rincari energetici.
Un bagno di realtà sul debito
La soluzione più saggia per una situazione di emergenza di questo tipo è lo scostamento di bilancio: se il governo non possiede 2,2 miliardi in cassa, li chiede a prestito sui mercati finanziari e fa partire immediatamente la progettazione della ricostruzione, tramite decreto. Ma l’Italia non è un paese qualsiasi.
L’equilibrio dei nostri conti pubblici è molto precario e anche un indebitamento relativamente esiguo come questo, potrebbe metterlo in dubbio. Il motivo è che abbiamo già raggiunto il tetto del deficit annuo che ci siamo imposti e non possiamo quindi indebitarci ulteriormente. Quattro miliardi a disposizione ci sarebbero stati, ma anziché utilizzarli per ridurre il debito, il governo, di fatto mettendoli da parte come la previdente formica, ha preferito spenderli subito per un taglio del cuneo fiscale poco incisivo ed estremamente provvisorio. È bastato un mese perché arrivasse una catastrofe naturale e l’esecutivo facesse la fine della cicala (almeno lei fino all’inverno c’era arrivata).
Meloni è stata abbastanza intelligente da non lamentarsi di questa impossibilità di ricorrere ai mercati finanziari. L’annuncio non avrebbe fatto altro che agitare gli investitori, aumentando lo spread e il costo degli interessi che l’Italia paga sul debito pubblico. Ma il fatto che la presidente del consiglio non utilizzi la retorica anti-mercati e anti-Europa non ci ha protetti dalla scelleratezza della destra sui conti pubblici.
I media hanno rilanciato il fatto che il governo avesse trovato un “tesoretto” da spendere per il taglio del cuneo fiscale, ma non era così. Un tesoro è qualcosa che non si sapeva di avere e che improvvisamente si trova.
Un baule pieno di soldi in soffitta, insomma. Il “tesoretto” recuperato dal Governo era semplicemente la possibilità di fare debito. In pratica, abbiamo chiesto un prestito di 80 e abbiamo scoperto che potevamo ricevere fino a 100 senza sforare il tetto del deficit. Ma quei 20 in più non arrivano dal cielo: utilizzando quei soldi in più adesso ci ritroviamo senza altro margine di spesa a debito. E tornare dalla “banca” a chiedere risorse in più è diventato impossibile, perché abbiamo già utilizzato tutto quello che potevamo prendere a prestito quest’anno.
La soluzione per trovare i soldi subito c’è: le tasse. Il governo lo ha in parte fatto, aumentando la cosiddetta tassazione sugli extra-profitti, ma non avrebbe mai potuto agire per esempio sulle accise, perché il contraccolpo politico sarebbe stato molto pesante.
Verrebbe quasi da compatire Meloni e i suoi ministri, vittime di un elettorato poco realista e che vuole ricevere senza mai dare. Se solo non avessero dato in pasto a quello stesso elettorato una proposta politica completamente sconnessa dalla realtà in tutti gli anni in cui non sono stati al potere.
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