- La legge più importante dello stato è stata fermata per la seconda volta, la Ragioneria ha chiesto di rivedere 44 norme e stralciarne una perché le coperture economiche sono sbagliate.
- L’iter alla Camera della legge di Bilancio è stata un’epopea infinita come non se ne vedevano da tempo. Domani sera, salvo nuovi imprevisti, l’aula dovrebbe votare la fiducia al governo.
- Con le richieste della Ragioneria saltano i soldi a Radio radicale per il 2024 e il 2023, viene ritoccato il bonus cultura ai 18enni e lo smart working per i fragili che lavorano nella scuola.
Il 10 agosto 2016, giorno di San Lorenzo e notte delle stelle cadenti, Giorgia Meloni ha scritto su Facebook un augurio che in pochi ricorderanno. Si rivolgeva a tutti i Lorenzo d’Italia per il loro onomastico: «Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante». Parole che ha preso in prestito dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Il suo partito, Fratelli d’Italia, e tutto i resto del centrodestra, ha preso alla lettera la citazione nietzschiana della presidente del Consiglio. A tal punto che sei anni dopo in parlamento, e nella maggioranza di governo, il caos regna sovrano. Ma di stelle non se ne vedono. Il caso della manovra finanziaria è emblematico: ieri, per la seconda volta nello stesso giorno, il testo è dovuto tornare in commissione Bilancio alla Camera per essere corretto. Lo ha chiesto la Ragioneria dello stato.
L’assemblea, dove il provvedimento deve essere esaminato e approvato prima di Natale, è stata costretta a fermare i lavori. È slittata la richiesta di fiducia da parte del governo, strada obbligata se si vuole far in fretta, inviare il testo al Senato per il secondo passaggio parlamentare prima della fine dell’anno, ed evitare così il peggio: l’esercizio provvisorio che bloccherebbe, innanzitutto, gli stipendi della pubblica amministrazione. Il testo quindi è tornato in commissione Bilancio per essere corretto e il voto di fiducia non si terrà prima di domani sera.
Correzioni e stralci
La Ragioneria dello stato, come da consuetudine, ha valutato tutte le norme introdotte durante il passaggio in commissione e ha notato diversi errori di contenuto di carattere economico. Ha quindi chiesto 44 correzioni e uno stralcio.
È saltato il finanziamento triennale a Radio radicale, per il 2024 e il 2025 non c’erano i soldi per poterlo coprire. Lo stanziamento di otto milioni per lo svolgimento del servizio di trasmissione delle sedute parlamentari resta confermato solo per il prossimo anno.
Sono state riviste anche le norme sul bonus cultura ai 18enni e quelle sullo smart working. Nel primo caso le coperture non erano state scritte adeguatamente, mentre nel secondo caso i dubbi hanno riguardato il mondo della scuola e la sostituzione di professori e insegnanti a cui è concesso il lavoro agile.
I ragionieri hanno anche contestato l’aumento delle risorse attribuite al ministero dell’Agricoltura guidato da Francesco Lollobrigida. La norma è «foriera di generare o ampliare disparità di trattamento rispetto ad altri ministeri, con verosimili onerose richieste emulative da parte di quest’ultimi», hanno scritto nel documento. Se l’Agricoltura riceve più soldi, anche gli altri dicasteri vorranno altrettanto ma i soldi non ci sono.
Capriole meloniane
Non è la prima volta che succede, tutti i governo si sono confrontati con la severità dei conti pubblici, con l’articolo 81 della Costituzione che impone il pareggio di Bilancio, lo stato deve assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese, e con i giudizi della Ragioneria. Ma quello di Meloni si posiziona ai vertici della classifica dei governi più impreparati a gestire la legge più importante dell’anno.
La manovra è stata approvata in commissione di notte, il 21 dicembre, dopo sei giorni di rinvii estenuanti e di riunioni di maggioranza complicatissime che non hanno mai portato a nulla. Ieri mattina il testo è tornato in commissione per la prima volta. I deputati hanno cancellato un emendamento del Pd da mezzo milione di euro approvato “per errore”.
Sia Meloni sia il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono dovuti intervenire per bloccare lo scudo penale per i debiti fiscali proposto da Forza Italia, a cui avevano lavorato i viceministri Francesco Paolo Sisto (FI) e Maurizio Leo di Fratelli d’Italia. Se n’è parlato per giorni, doveva essere presentato dai relatori ma alla fine è stato fermato.
La norma promessa sui Pos, che introduceva un tetto di 60 euro entro il quale i commercianti avrebbero potuto rifiutare transazioni con le carte senza incorrere in sanzioni, è saltata. Lo Spid doveva essere superato e invece è salvo, così come le ricette elettroniche dei medici. O almeno per ora.
Una totale mancanza di strategia complessiva e di coesione politica tra gli alleati al governo ha portato a un iter complicatissimo. Se si aggiunge il poco tempo a disposizione, con il governo che è nato a ridosso della presentazione della legge di Bilancio in parlamento, il risultato finale non può che essere giudicato disastroso.
«Stasera saremo col naso all’insù a guardare il cielo stellato ed esprimere desideri», ha scritto Meloni nel post del 2016. «Avete già pensato al desiderio da esprimere quando vedrete la prima stella cadente?». Sì, un desiderio lo abbiamo: un governo meno improvvisato.
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