Le certezze nella vita, come è noto, sono poche. Tra queste ci sono le tasse, piccole o grandi, che di soppiatto vengono infilate nella manovra last minute. E questa volta c’è pure il pensiero natalizio rivolto agli amici, in questo caso i vicini di banco al governo. Al costo di varare misure ad alto tasso di impopolarità.

È stato inserito infatti l’emendamento dei relatori di maggioranza che prevedere l’adeguamento – ossia l’incremento – dello stipendio dei ministri che non sono parlamentari all’indennità percepita da deputati e senatori. La norma va quindi a modificare la riforma introdotta dal governo di Enrico Letta, che mirava a ridurre le spese.

Dell’aumento saranno beneficiari gli otto ministri non eletti né alla Camera né al Senato: Andrea Abodi (Sport) Guido Crosetto (Difesa), Marina Elvira Calderone (Lavoro), Alessandra Locatelli (Disabilità), Alessandro Giuli (Cultura), Matteo Piantedosi (Interno), Giuseppe Valditara (Istruzione), Orazio Schillaci (Salute). Dopo le indiscrezioni, non smentite per tutta la giornata, è arrivata la conferma del testo depositato in serata. L’emendamento, inoltre, introduce la cosiddetta norma “anti-Renzi”, sul cumulo di compensi per attività all’estero di parlamentari e ministri.

L’operazione-stipendi, favorevole ai componenti del governo, getta benzina sul fuoco delle proteste delle opposizioni dopo l’ennesimo “no” della destra al salario minimo per i lavoratori. «Mentre il Paese lotta per arrivare a fine mese, il governo decide di destinare risorse all’aumento degli stipendi dei ministri», ha attaccato Ubaldo Pagano, deputato del Pd. «Pensano solo ai loro interessi», ha rilanciato Vittoria Baldino, deputata del Movimento 5 Stelle.

Altre tasse

Tra i vari cespugli della legge di Bilancio 2025 spunta così il prelievo sulle scommesse, che dovrebbe servire a finanziare gli impianti sportivi. Ma potrebbe servire anche per altro, come ammettono dal Mef. Così come è previsto un altro balzello: l’aumento dell’addizionale sulle tasse di imbarco per i voli extra Unione europea, oltre al prelievo su tasse e banche per introdurre la misura dell’Ires premiale.

Insomma, mesi e mesi a parlare della manovra, in un groviglio di trattative e mediazioni tra leader, ma si è arrivati al solito punto: il caos e la nevrosi di dicembre, a pochi giorni dalle festività natalizie. Con le sorprese che escono dal cilindro. Nei fatti c’è un’altra mezza finanziaria, scritta a suon di emendamenti dei relatori e del governo, da valutare in tempi record. Senza grosse possibilità di intervento o dibattito.

L’approccio confusionario ha sollevato più di qualche lamentela dai deputati impegnati nella sfiancante maratona in commissione Bilancio alla Camera per l’iter del provvedimento. Non che rappresenti una novità, quando si parla di una manovra. Ma trasmette un senso di approssimazione ben lontano dalla narrazione decisionista che veicola il governo Meloni. E smentisce il presunto cambio di passo dell’era sovranista.

La giornata non è stata delle più semplici per il governo. La crescita, secondo la Banca d’Italia, si fermerà quest’anno allo 0,5 per cento, dimezzando l’1 per cento contenuto nel Piano strutturale di bilancio scritto dall’esecutivo. Un dato più basso anche dello 0,7 per cento che il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva vaticinato qualche ora prima.

Ammettendo che si trattava di una crescita «asfittica». I problemi non sono destinati a terminare, in «un quadro di incertezza», come riporta l’analisi di Bankitalia. Così il trend di revisione al ribasso del Pil riguarda anche il 2025, dall’1 per cento indicato a ottobre si passa allo 0,8 per cento.

E mentre da via Nazionale arrivavano brute notizie, il governo ha provato a spandere ottimismo almeno sull’approvazione della Legge di Bilancio. Per ore è circolato lo spin comunicativo, secondo cui le votazioni sul provvedimento sarebbero terminate entro il fine settimana in commissione Bilancio.

Manovra complicata

«Spero si chiuda il confronto entro il weekend», è stato l’auspicio del il ministro dell’Economia Giorgetti. Un’affermazione che ha provocato ilarità tra i deputati delle opposizioni. E hanno avuto le loro ragioni. La giornata si è infatti ingarbugliata, richiedendo un supplemento di sforzo al sottosegretario all’Economia Freni, sempre più Mr. Wolf del governo quando c’è bisogno di dipanare le matasse della legge di Bilancio.

Solo che, per quanto esperto in materia, non è attrezzato al compimento di miracoli. «Non sono la Madonna di Pompei», ha ironizzato, chiamato in causa su un emendamento da finanziare.

Così gli auspici di chiusura entro domenica non possono essere mantenuti. Occorre un supplemento di tempo. Il tour de force in commissione dovrebbe terminare lunedì per trasmettere il testo all’aula.

Di mezzo c’è pure il congresso della Lega in Lombardia che richiede lo spostamento fisico di alcuni esponenti del partito di Salvini.

Un indizio sul rinvio è arrivato dalla presidenza della Camera, che ha convocato la capigruppo per lunedì alle ore 18. In quella sede si definirà la tempistica con l’intreccio ostico del calendario: martedì a Montecitorio ci sarà Giorgia Meloni per le comunicazioni in vista del consiglio europeo.

Tra uno slittamento e l’altro, è probabile che il primo via libera alla manovra dovrebbe arrivare a ridosso del prossimo fine settimana con il voto di fiducia.

E se la manovra è ormai prossima all’approvazione, da Forza Italia arriva il monito per il nuovo anno. Antonio Tajani ha riunito i vertici del partito per fare un bilancio del 2024, ma soprattutto per serrare i ranghi per il futuro. «Dal primo gennaio dobbiamo cambiare registro», ha detto il segretario di FI, ribadendo un principio: «Vogliamo riaffermare la nostra identità».

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