Un ministro del Sud, Raffaele Fitto, chino sui libri, alle prese con il ripasso dell’inglese e lo studio di materie da conoscere meglio per superare definitivamente l’esame europeo. E ottenere la nomina nella commissione Ue e salutare l’Italia per almeno cinque anni.

Tra una lettura e l’altra del ministro, il governo sfila fior di risorse economiche al Mezzogiorno, definanziando nella manovra una serie di misure previste in passato. Quelle che hanno apportato significativi maggiori benefici.

Certo, i tagli al Sud non sono un inedito. Già nella precedente Legge di Bilancio, come svelato da Domani, il governo Meloni aveva fatto cassa con il Sud, svuotando il fondo perequativo infrastrutturale (passato da 4,6 miliardi a 900 milioni di euro), che prevedeva una serie di finanziamenti a opere, dai ponti alle scuole. E allora non era ancora tangibile l’orizzonte europeo per Fitto.

In queste settimane dal governo, in via informale, hanno sempre respinto puntualmente la ricostruzione secondo cui Fitto sarebbe un ministro part-time: «Sta seguendo tutti i dossier come sempre con attenzione e rigore», è la sintesi del ragionamento che viene veicolato, elencando i progetti finanziati attraverso la Zes unica, pallino del futuro commissario europeo. Insomma, Fitto c’è ma si vede di meno.

Salasso Mezzogiorno

Al netto delle interpretazioni, i numeri sono scolpiti nella Legge di Bilancio. A palazzo Chigi preferiscono guardare e raccontare il bicchiere mezzo pieno, ossia alle risorse messe in campo, sorvolando su quelle sparite. L’operazione, condotta principalmente dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato meno clamorosa rispetto allo svuotamento del fondo perequativo.Ma il conto presentato al meridione ammonta, alla fine, a poco meno 3 miliardi di euro in meno nel 2025, con una cifra che potrebbe sfiorare i 9 miliardi di euro nel prossimo triennio, salvo interventi futuri. Un salasso.

Eppure, appena qualche settimana fa, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, si è lanciata in sperticati elogi verso il Sud: «Da fanalino di coda è la locomotiva d’Italia». Una carezza a un bacino elettorale fondamentale per Fratelli d’Italia, che ha una delle roccaforti sui territori meridionali, dal Lazio in giù.

Nella maggioranza, comunque, monta un certo turbamento. Soprattutto dentro Forza Italia c’è fibrillazione per le scelte dell’esecutivo. Basti pensare alla battaglia del presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto, contro l’autonomia differenziata.

Nei giorni scorsi, peraltro, era alla Camera per alcuni impegni istituzionali e ha colto l’occasione di fare briefing, da vicesegretario di FI, con i parlamentari del partito.

«Dopo l’autonomia differenziata, la cancellazione del Reddito di cittadinanza, il governo Meloni celebra i due anni con altri tagli al Sud», è la versione di Marco Sarracino, deputato del Pd, che mette in risalto: «È la prima legge di Bilancio figlia della legge Calderoli. Siamo dinanzi al governo più antimeridionale della storia repubblicana e i tagli al sud presenti nell’ultima manovra lo confermano».

Risorse ripescate

Sfogliando i vari articoli del provvedimento, ci sono appositi capitoli di finanziamenti previsti per il Sud. L’intervento più importante mette a disposizione 2,45 miliardi di euro per gli incentivi destinati assunzioni nelle regioni svantaggiate, quindi con particolare riferimento a quelle meridionali.

Si tratta, tuttavia, di una specie di partita di giro: le risorse risultavano in realtà stanziate in una precedente legge di Bilancio, risalente addirittura al governo Conte II, proprio con lo scopo di garantire sgravi per i datori di lavoro che assumevano durante l’emergenza Covid. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha solo ricalibrato il tiro e rivendicare un investimento per la crescita dell’occupazione al Sud.

Anche sulla Zes (Zona economica speciale) unica, l’esecutivo ha messo sul piatto 1,6 miliardi di euro per il prossimo anno, potenziando uno dei meccanismi fortemente voluti proprio da Fitto. Il ministro è andato avanti su questo punto sfidando tutte le critiche legato all’accentramento delle procedure su un’unica Zes a differenza di quelle regionali in vigore prima della riforma.

E ancora: tra le pieghe della legge di Bilancio, ci sono altri stanziamenti per incentivi ai giovani, alle donne e alle imprese del Mezzogiorno che ammontano a circa 350 milioni di euro.

Cattive notizie

Un tripudio? Non proprio. Perché le cattive notizie superano tre miliardi di volte quelle positive.

Su tutti c’è il problema dei problemi: la mancata proroga di decontribuzione Sud, la misura totem degli ultimi anni che ha consentito a uno sgravio contributivo pari al 30 per cento destinato ai datori di lavoro.

Il peso specifico di questa norma è 5,9 miliardi di euro, e nel 2025 verrà cassata.Già la scorsa estate sembrava dovesse scadere, suscitando le proteste delle opposizioni. Il ministro Fitto, in quell’occasione, si è impegnato per trovare una soluzione.

Così è stato garantito un rinnovo fino a dicembre 2024. La replica dalle parti della destra è la solita: «Questa misura dipende dall’Europa».

La cancellazione, o comunque il mancato rinnovo di decontribuzione Sud, divora da sola tutti gli altri capitoli di finanziamenti previsti nella legge di Bilancio. Peraltro, non è l’unico capitolo che viene meno per il Mezzogiorno. All’appello manca un miliardo e mezzo circa per il credito di imposta «beni strumentali», inglobato dalla maxi-voce della Zes.

L’esito è quindi di una contrazione degli investimenti di 2,9 miliardi di euro. Un bel macigno.

Impatriati e bloccati

Ma la legge di Bilancio colpisce in maniera indiretta anche gli impatriati, i cosiddetti cervelli in fuga, dalle regioni in condizioni di maggiore sofferenza, beneficiari di un regime fiscale agevolato dopo lo spostamento della residenza. «In questa ultima manovra, si propone poi di inibire l’accesso alla disoccupazione a coloro che una volta rientrati perdono il lavoro. Si rasenta l’incostituzionalità», denuncia a Domani Toni Ricciardi, vicecapogruppo del Pd alla Camera, eletto nella circoscrizione estero.

Un accanimento della maggioranza verso gli impatriati, che già nel 2024 sono stati colpiti. In precedenza, per il ritorno dall’estero verso regioni meridionali c’era lo sgravio contributivo al 90 per cento, mentre nelle altre regioni era fissato al 70 cento. Il governo Meloni ha fatto un’operazione “flat”, ma al ribasso, ossia un solo possibile vantaggio contributivo sceso per tutti al 50 per cento.

L’impatto non è solo economico, ma anche sulla possibilità di ripopolazione di intere aree del paese colpita dai giovani che vanno all’estero. «La misura ha consentito negli ultimi anni il rientro di 75mila persone per un gettito fiscale in entrata, non previsto, di due miliardi di euro», ricorda Ricciardi che ha sempre contestato la riforma voluta dalla destra.In mezzo ci sono una serie di piccole mancanze, accumulate nel tempo, addirittura nei decreti-bandiera. Se il decreto Sud dello scorso anno non ha lasciato traccia.

C’è il decreto Campi Flegrei, varato di gran carriera per affrontare gli sciami sismici che hanno interessato l’area del napoletano, che è sostanzialmente rimasto lettera morta nei suoi punti fondamentali.

In particolare, il ministero della Protezione civile, affidato a Nello Musumeci, «avrebbe dovuto definire nel dettaglio i criteri e le modalità di presentazione della domanda di contributo ai circa 1.500 sfollati per effettuare la riparazione e la riqualificazione sismica degli edifici residenziali inagibili», come evidenzia un’interrogazione di Antonio Caso, deputato del Movimento 5 stelle. A oggi, insiste Caso, «dopo quasi due mesi non si ha notizia del provvedimento». Dunque, sulla carta la risposta del governo è stata tempestiva per le zone dei Campi Flegrei.

Ma si attende l’applicazione, stando alla documentazione ufficiale sul dipartimento per il programma di governo. Per evitare che resti solo lo spot buono per strizzare l’occhio agli elettori.

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