La manovra, in una prima versione abbozzata, arriva con il favore delle tenebre. Viene mutuata l’accusa che molte volte la destra, Giorgia Meloni in testa, ha lanciato contro il governo Conte. Una nemesi.

La riunione serale del consiglio dei ministri è stata utile a far decantare le tensioni ed evitare le reazioni a caldo, facendo metabolizzare l’accordo sul contributo delle banche. Il prequel della legge di Bilancio è stato un tutto contro tutti. La sfida tra Matteo Salvini e Antonio Tajani che è stata declinata in varie forme. I luogotenenti, come Andrea Crippa – vicesegretario della Lega - e Raffaele Nevi – portavoce di Forza Italia – in prima linea a difendere gli interessi dei rispettivi partiti.

Lo scontro si fermerà giusto il tempo della rituale conferenza stampa piena di sorrisi e pacche sulle spalle, con il corollario di elogi sugli stanziamenti per la sanità (dovrebbero arrivare 3,2 miliardi di euro da destinare a medici e infermieri), l’abbassamento delle tasse (non si sa in quale forma) e il solito armamentario propagandistico che sbatte contro la realtà.

La presidente del Consiglio Meloni ha già iniziato nel pomeriggio, durante la replica alla Camera: «Questo governo ha avuto più coraggio di quello che ha avuto la sinistra». Mentre questo giornale va in stampa si parla – nella ridda di indiscrezioni last minute – di un contributo di 3-4 miliardi di euro in due anni dalle banche attraverso un meccanismo che prevede il contributo anticipato sulle imposte delle banche.

Un’operazione che può fare contenti tutti. La premier già rivendica il coraggio, Salvini parla di extraprofitti tassati, Tajani porta a casa un accordo indolore perché le banche – compresa la berlusconiana Mediolanum – non ci rimettono da un punto di vista contabile.

Sempre sul tavolo la riduzione delle risorse del 5 per cento per ogni ministero. Un quadro di incertezza che sintetizza l’operato dell’esecutivo. La lite è insomma pronta a riprendere un minuto dopo lo spegnimento dei microfoni e delle telecamere.

Testo blindato

Per tutto il giorno i ministri hanno atteso delucidazioni. «Ne sappiamo quanto voi», è stata la risposta standard dei ministeri nelle ore che hanno preceduto il Consiglio dei ministri di ieri. Un appuntamento al buio con la legge di Bilancio, che affinata lontana dagli occhi dei ministri resi spettatori, seppure interessati.

Saranno i ministri – come ha annunciato Giancarlo Giorgetti – a dover accettare una cura dimagrante delle spese. Significa tagli a progetti e iniziative. È la sintesi dei mesi complicati che attendono la destra, un autunno caldo – non legato fattori esterni – ma dovuto alle divisioni interne.

La convocazione nottetempo del cdm è stata necessaria, oltre che per allontanare le telecamere, anche per rispettare le scadenze con l’Unione europea. Bruxelles, entro il 15 ottobre, doveva ricevere il Documento programmatico di bilancio (Dpb). Il governo ha voluto prendersi fino all’ultimo minuto utile per approvarlo in Consiglio dei ministri ed evitarsi l’ennesimo rimbrotto dall’Europa.

La narrazione dell’accelerazione sulla manovra è quindi giusto una trovata di comunicazione dell’inner circle meloniano.

L’ordine di scuderia è arrivato di fronte agli attacchi delle opposizioni, che hanno avuto vita facile per il gran caos creato da Giorgetti e dalle smentite degli altri ministri.

Qualsiasi operazione non può ignorare la realtà dei fatti: il governo è sempre stato in affanno con il rispetto del timing sulla manovra. Il caso di scuola resta il Piano strutturale di bilancio, discusso e licenziato con oltre due settimane di ritardo.

L’assalto alla diligenza è difficile quest’anno, perché c’è poco da assaltare. Il governo lascerà le briciole al parlamento, costretto per l’ennesima volta a fare operazioni a saldo zero o quasi. A differenza della linea imposta lo scorso anno, la manovra dovrebbe concedere possibilità di presentare degli emendamenti ai parlamentari, soprattutto i deputati (per rispettare l’alternanza delle Camere, dovrebbe esserci la prima lettura a Montecitorio).

Anche solo pro-forma, dunque, si potrà piazzare qualche bandierina (quasi certi della bocciatura), come lasciando intendere da Fratelli d’Italia.

Silenzio di fatto

«Non credo sarà vietato fare emendamenti, ma la maggioranza è maggioranza e concordo con chi dice che in maggioranza ha poco senso farne», ha osservato Marco Osnato, presidente della commissione Finanze alla Camera e meloniano di ferro. «Mi aspetto quindi tanti emendamenti in generale e solo qualche emendamento di maggioranza, magari concordati con il governo, allo scopo di perfezionare alcuni provvedimenti», ha concluso Osnato.

Più ruspante il leghista Igor Iezzi: «C’è poca trippa per modifiche in parlamento». Dentro Forza Italia c’è comunque chi è già pronto a recepire le richieste del senatore Claudio Lotito, sul ripristino delle misure per gli impatriati, gli sgravi per favorire il ritorno dei “cervelli in fuga”, spesso utilizzati dai club calcistici di serie A per ingaggiare calciatori dall’estero.

L’esponente degli azzurri e presidente della Lazio ha espresso l’intenzione di recente in Transatlantico: «Quella misura non serve solo al calcio, ci sono sempre strumentalizzazioni».

E se la destra fa già i conti con le spaccature, tra le opposizioni si studiano le misure da mettere in campo sulla manovra con l’obiettivo di incalzare il governo e la maggioranza sui temi concreti.

«Avanzeremo la proposta, lavorando con le altre opposizioni per un’iniziativa unitaria, sul congedo parentale universale esteso a lavoratori autonomi e indipendenti­», annuncia vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo. «Se troviamo aperture nel governo, potremo ragionare anche su punti di caduta diversa», spiega la deputata dem, manifestando la volontà di dialogo.

Ma, con questi chiari di luna, è difficile immaginare una destra che ascolta le proposte delle minoranze.

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