L’Iran respinge la correlazione tra l’arresto di Mohammad Abedini e la detenzione di Cecilia Sala. La Repubblica Islamica ha fatto sapere che la giornalista italiana è in carcere per la «violazione delle leggi iraniane». Ismail Baghaei, portavoce del ministro degli Esteri di Teheran, ha spiegato che sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta e ha definito l’arresto dell’ingegnere «una presa di ostaggio».

Ma la tesi convince poco il governo italiano. Ieri al Copasir, il sottosegretario e autorità delegata Alfredo Mantovano ha riferito per quasi due ore e mezzo sulla situazione di Sala. Un incontro non di facciata, dunque. A palazzo Chigi qualcosa si sta smuovendo. Secondo quanto racconta chi le ha parlato, Giorgia Meloni ha manifestato un «cauto ottimismo» rispetto alla soluzione del caso, trovando la chiave di volta nella concessione degli arresti domiciliari ad Abedini.

Il caso-Belloni

Ma il clima appena più positivo sulla detenzione di Sala è rovinato dalla grana al vertice dei servizi segreti italiani. Elisabetta Belloni, come anticipato da Repubblica, ha rassegnato le dimissioni da direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) che saranno esecutive dal 15 gennaio. Ha lasciato quattro mesi prima della scadenza del mandato.

La decisione era precedente, datata 23 dicembre. L’annuncio è slittato solo per evitare scossoni mediatici durante le festività. «Motivi personali», è la versione ufficiale. Eppure Belloni esce di scena sbattendo la porta, nonostante il buon rapporto costruito nel tempo con la presidente del Consiglio Meloni. Tra la diplomatica e il sottosegretario alla presidenza non è mai nata un’intesa. Le divergenze sono aumentate, la rottura non ha meravigliato chi conosceva la situazione.

L’ambasciatrice si è sentita sempre più messa ai margini dei dossier più importanti fino ad avvertire la sfiducia nei propri confronti. Secondo qualcuno addirittura «temeva di essere spiata». Vero o no, era il sintomo di un’aria irrespirabile. Belloni ha scelto una strategia contraria a quella di Mantovano, appiattendosi sulle posizioni dell’ex direttore dell’Aisi (l’Agenzia per i servizi segreti interni), Mario Parente e successivamente sulla linea di Giuseppe Del Deo, quando era numero due dell’Agenzia, creando attrito pure con Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise (i servizi segreti all’estero).

La direttrice dimissionaria del Dis, secondo quanto raccontano a Domani, ha difeso Del Deo di fronte ai casi più scottanti. Su tutti la storia – raccontata da Domani – delle due persone viste vicine all’auto di Andrea Giambruno, l’ex compagno di Meloni, derubricata ufficialmente a tentativo di furto. Ma con ricadute all’interno degli apparati di intelligence. Nel frattempo Del Deo, ad agosto, è diventato vicedirettore del Dis, proprio al fianco di Belloni.

Anche il Quirinale non si è mosso a difesa dell’ambasciatrice, uscita dall’ala protettiva del Colle nel momento in cui ha accettato di farsi candidare alla presidenza della Repubblica. Nemmeno la protezione di Meloni (che tuttora ha conservato un buon rapporto con la donna che è stata la sherpa del G7) è bastata.

La premier ha tentato di trovarle un posto nel governo, come ministra degli Affari europei, una delle deleghe lasciate da Raffaele Fitto. A mettere il veto è stato Antonio Tajani: da ministro degli Esteri era infastidito di una presenza così ingombrante agli Affari europei. A quel punto Belloni ha maturato la convinzione di cambiare aria: troppa ostilità nei suoi confronti. Ha atteso solo il momento giusto con la possibilità di andare in Europa, non da rappresentante dell’esecutivo italiano, ma da consigliera della presidente della commissione, Ursula von der Leyen.

Secondo quanto svelano a Domani, lo sponsor non sarebbe stato Meloni ma l’ex premier Mario Draghi, che l’ha nominata al Dipartimento per la prima volta. Belloni, a quel punto, ha rotto gli indugi.

La rosa dei pretendenti

Per il governo si apre una partita delicata, quella della sostituzione al vertice del Dis. L’obiettivo è di fare presto, trovando una soluzione fin dal prossimo Consiglio dei ministri (da convocare). I nomi in pista sono tanti. Tra questi c’è Bruno Valensise, da poco (si è insediato ad aprile) a capo dell’Aisi. Ma l’operazione richiederebbe la necessità di avere già un sostituto pronto per l’agenzia dei servizi interni.

Il profilo potrebbe essere quello di Mario Cinque, nominato di recente vice comandante generale dei carabinieri. Qualcuno spiega che potrebbe essere spendibile anche il vertice del Dis, solo che è considerato troppo operativo. Per questo è più plausibile l’approdo all’Aisi per cui sono in corsa – sempre se dovesse essere spostato Valensise – Vittorio Rizzi, da settembre scorso vicedirettore dell’agenzia, e Carmine Belfiore vicecapo vicario della Polizia da pochi mesi.

Se Valensise dovesse restare al proprio posto all’Aisi, c’è poi l’ipotesi di pescare l’attuale numero uno dell’Agenzia della cybersicurezza, Bruno Frattasi, come direttore del Dis. Nel governo, soprattutto dal ministero della Difesa, c’è l’intenzione di mettere un militare al timone di quella struttura. Per Frattasi sarebbe un’uscita di scena con promozione.

Nella rosa delle candidature c’è quella di Francesco Paolo Figliuolo, ex commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna, che poco prima di Natale è stato nominato vicedirettore dell’Aise. Più defilati il capo della polizia, Vittorio Pisani e il capo di stato maggiore della Guardia di Finanza, Leandro Cuzzocrea, più spendibile per un posto da vice nell’Aise nel caso di spostamento di Figliuolo. Resta improbabile il passaggio alla direzione del Dis di Caravelli che da direttore dell’Aise è impegnato per la liberazione di Sala.

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