Marco Sarracino (deputato e responsabile Sud del Pd, ndr), in Liguria l’alleanza larga sembra chiusa, ma a patto che Iv a Genova rompa con Bucci. La conseguenza sarà che Iv, ma anche Azione, dovranno rompere in tutte le amministrazioni in cui governano con la destra?

La candidatura di Andrea Orlando è una bella notizia per la Liguria, una regione che merita un destino diverso dopo gli anni bui di una destra disastrosa. Avremo una coalizione larga a sostegno di una personalità che ha servito il nostro Paese con disciplina e onore e che ha fatto della lotta alle ingiustizie e dell’impegno per i più deboli una scelta di vita. È un bel messaggio, sono certo che i liguri apprezzeranno. Al tempo stesso è chiaro che vanno sciolte tutte le ambiguità, partendo dall’insostenibile presenza di alcune forze all’interno della giunta Bucci. È una questione di coerenza.

Ma questo vale anche nel resto d’Italia, per esempio anche in Basilicata dove i voti di Iv e Azione non hanno permesso di far passare il sì al referendum della stessa regione?

In quella regione però non è stata approvata neanche la mozione a favore dell’autonomia: un pasticcio della destra. Nei territori dove in passato si è fatto confusione e dove un pezzo del centrosinistra è finito incredibilmente a destra, va fatta chiarezza. Sappiamo che non sarà un percorso semplice, ma è necessario.

Sta di fatto che la vostra segretaria, Elly Schlein, aveva chiesto agli alleati «basta veti». E invece Giuseppe Conte ha messo il veto su Iv.

Non vanno messi veti, è vero, ma non si può neanche far finta che in questi anni non sia accaduto nulla. Serve un’operazione verità rispetto a ciò che è accaduto e una discontinuità in chi dovrà interpretare una nuova stagione. Dopodiché non vorrei che si ripetesse quanto avvenuto nel settembre 2022, dove davanti a una destra unita, il centrosinistra era diviso in tre cartelli elettorali.

Se fossimo andati uniti probabilmente non sarebbe nato il Governo Meloni, visto che al Sud avremmo vinto la maggior parte dei collegi elettorali. Occorre continuare la strada che Schlein con pazienza ha indicato: essere testardamente unitari. Delle differenze continueranno ad esistere, non saremo mai un partito unico. Ma oggi siamo in grado di unirci su proposte che possono migliorare le condizioni di vita dei cittadini, come è stato per la battaglia per il salario minimo, per la sanità pubblica, per la coesione del Paese contrastando l’autonomia differenziata.

Contate sul Sud e sull’effetto dell’autonomia differenziata?

Il Mezzogiorno è stato il primo terreno in cui abbiamo sperimentato l’unità delle opposizioni. Quando da segretario provinciale di Napoli decidemmo di allearci in alcuni comuni con il M5s, un pezzo del partito nazionale e locale criticò duramente questa scelta. Erano comuni in cui il Pd non vinceva da anni. Vincemmo tutte le elezioni.

Ripetemmo l’esperimento a Napoli, con Gaetano Manfredi candidato e con una coalizione, la prima nella storia, che partiva dal Pd e comprendeva Italia viva, M5s, Sinistra italiana e Verdi. Vincemmo con la percentuale più alta d’Italia al primo turno. Praticamente un miracolo.

Oggi il Pd al Sud è il primo partito, ed è proprio al sud che la destra arranca dopo che in quasi due anni Giorgia Meloni ha cancellato il reddito di cittadinanza, affossato il salario minimo, eliminato il fondo perequativo infrastrutturale, centralizzato la Zes senza metterci le risorse adeguate e realizzato la peggiore riforma di questo governo, l’autonomia differenziata. Dai territori in cui il disagio sociale continua ad aumentare continuano ad arrivare segnali duri contro la destra. Qualcuno della maggioranza inizia ad accorgersene.

Crede alle crepe che Forza Italia sta aprendo nella maggioranza, anche sull’autonomia?

Forza Italia aveva la possibilità di fermare l’autonomia in Parlamento. Invece ne è responsabile, esattamente come Lega e FdI. Perché alla fine questo è un governo che litiga su tutto ma è tenuto insieme dalla bulimia di potere. Oggi Forza Italia ha un solo modo per fermare l’autonomia differenziata. Non di certo qualche intervista del vicepremier Tajani o del presidente Occhiuto, ma firmando per il referendum, così come stanno facendo milioni di italiani, anche elettori di centrodestra. E lo stesso vale per lo Ius Scholae.

L’autonomia sarà la loro Waterloo?

Il nervosismo per il successo della raccolta firme è evidente: Calderoli dimentica spesso di essere un ministro della Repubblica, e dichiara che del referendum non gliene frega nulla. Non è vero. Il governatore Zaia invece utilizza toni e parole inopportune e istituzionalmente sgrammaticate contro i vescovi. La verità è che hanno fatto male i calcoli: mai avrebbero pensato che l’opposizione a questa legge potesse assumere una dimensione tanto popolare. Iniziano ad avere paura del referendum. Ed è chiaro che se dovessero perderlo, l’esperienza del governo Meloni sarebbe finita.

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