- La figlia di Berlusconi, eterna possibile guida di Forza Italia e dirigente d’azienda, progetta il futuro, che passa dalla cessione del partito a Meloni e di Mediaset a Vivendi.
- Milanese, cronicamente timida ma autoritaria, teme nuovi rischi giudiziari e punta a evitare lotte fratricide per i tesori di famiglia, minando l’equilibrio di una holding ormai europea.
- Tuttavia sarà sempre lei, Marina, a tirare le fila per il dopo. Progettando, come è spesso destino per i figli, un futuro lontanissimo dalle speranze paterne.
Della discesa in politica di Marina si parla ogni volta che per Silvio Berlusconi sembra finita, per ragioni giudiziarie o di salute. L’ineluttabilità del passaggio di testimone dal padre alla figlia è diventato ormai un luogo comune della politica, come l’eterna corsa di Pierferdinando Casini per il Quirinale e il dualismo tra Matteo Salvini e Luca Zaia.
Sulla carta sembrerebbe la soluzione giusta per una epopea politica che ha fatto del culto della personalità il suo tratto distintivo: secondo le leggende di Arcore, la primogenita è quella che somiglia di più al padre, per piglio leaderistico più che per carattere. È donna, manager di una delle holding più grandi d’Europa. Soprattutto, di cognome si chiama Berlusconi. Per un partito personale che funziona quasi come una corte medievale, la successione dinastica sarebbe tutt’altro che fuori luogo.
Quando tutto è cominciato
Lei, Marina, ha pubblicamente sempre smentito l’idea e soprattutto la praticabilità di una dinastia Bush in salsa italiana. L’ultima volta, seccamente, nel 2017 con un comunicato stampa. Si stavano avvicinando le elezioni politiche del marzo 2018 e il panorama di centrodestra era più confuso che mai, con l’ascesa della Lega e del suo leader, Matteo Salvini, e i primi segnali del tramonto su Forza Italia.
Anche allora si immaginava che il Cavaliere rinunciasse all’ennesimo giro di valzer in campagna elettorale e, come sempre in questi momenti, il nome della primogenita era tornato ad alimentare i rumors. «Non è mai stata presa in considerazione né da me né da mio padre e la smentisco ancora una volta nel modo più categorico», ha scritto lei, aggiungendo che «proprio per il grande rispetto e la concezione stessa che ho della politica ritengo che la leadership in questo campo non si possa trasmettere per investitura o per successione dinastica».
Sei anni dopo quel comunicato, però, la saga dell’erede di Arcore continua ad essere più viva che mai.
Quando è iniziata
La prima vera occasione in cui il nome di Marina è sembrato la soluzione chiara e inevitabile è stata alla vigilia della prima e unica sentenza di condanna che ha colpito il Cavaliere.
L’ultimo governo Berlusconi si era drammaticamente concluso, nel 2011, con la minaccia della Trokia europea, il rischio di dissesto economico e la mossa del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di insediare a palazzo Chigi il governo dei professori guidato da Mario Monti. Alle elezioni del 2013, il Cavaliere si era presentato sull’onda del suo ultimo colpo di teatro: prima il sì e poi il no alle primarie dell’allora Popolo delle Libertà – il contenitore che inglobava il centrodestra senza la Lega – e una campagna durissima conclusa con una sconfitta di misura contro il centrosinistra di Pierluigi Bersani, passato alle cronache come la «non vittoria». Poi la svolta del predellino, con l’annuncio della rifondazione di Forza Italia.
Poco dopo, però, sul Cavaliere cala la scure giudiziaria: il 1 agosto del 2013 il leader era senatore da pochi mesi e arrivò la condanna in via definitiva per frode fiscale, nell’ambito del cosiddetto processo Mediaset.
Doveva essere il colpo di grazia: una condanna penale con affidamento in prova ai servizi sociali e la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Ma soprattutto l’onta della decadenza da senatore per colpa di quella legge Severino approvata dal governo dei professori.
È allora che le voci su Marina si fanno più insistenti che mai. Come fa un leader a guidare il partito da fuori il parlamento? Berlusconi ha già 76 anni e una salute messa alla prova da un’operazione al cuore.
In un agosto infuocato iniziano i retroscena sulla stampa, con il racconto di un tavolo di guerra tenuto ad Arcore con tutti i vertici aziendali proprio come nel 1994 e il casting per selezionare una nuova generazione politica, e le dichiarazioni dei generali del PdL. Da una parte le entusiaste, in particolare l’allora fidanzata di Berlusconi, Francesca Pascale, la fedelissima Maria Rosaria Rossi e l’amazzone Micaela Biancofiore, dall’altra lo scetticiso dei generali come Ignazio La Russa, Renato Brunetta e soprattutto l’aspirante successore attraverso le primarie mai celebrate, l’attuale ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto.
Marina, dopo 14 giorni di silenzio e voci più forti che mai del suo passo avanti, ricorre a una nota: «Dal momento che ogni mia dichiarazione non è servita finora a fermare le voci su una possibile candidatura, devo ribadire ancora una volta, e nel modo più categorico, che non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di impegnarmi in politica».
La suggestione, però, rimane sempre lì: un non detto costante. Anche perché lei è sempre un passo dietro al padre ma è pronta a difenderlo anche pubblicamente, con interviste ai giornali di famiglia e soprattutto a Panorama.
Chi frequenta Arcore, poi, sa che è Marina ad essere il baricentro della vita del Cavaliere e lo è diventata nella data spartiacque del 2008, anno della scomparsa della madre Rosa. La «mamma Rosa», che Berlusconi ha continuato a citare in ogni discorso anche recente, è rimasta fino all’ultimo il punto di riferimento del figlio e con la sua morte Marina ne ha preso il posto. Da allora è stata lei a gestire l’alternarsi delle fedelissime ad Arcore, da Maria Rosaria Rossi a Licia Ronzulli, ma anche a dare il placet alle fidanzate, da Francesca Pascale fino a Marta Fascina.
Chi è
Anche se pubblico, tuttavia, il profilo di Marina rimane avvolto nel mistero. Di lei si conosce una biografia cesellata dagli uffici stampa e una manciata di interviste attente, al ritmo massimo di un paio l’anno, tutte a giornali d’area e ben equilibrate, con una prima parte sempre economica e una seconda di lettura più politica, ma sempre attenta a non dire una parola di troppo.
Maria Elvira detta da sempre Marina, primogenita di Berlusconi e della sua prima moglie, la spezzina Carla Elvira dall’Oglio, è nata a Milano nel 1966. Sono gli anni in cui il Cavaliere getta le basi del suo successo economico: ha appena fondato la Edilnord e aperto i primi cantieri nella periferia milanese.
Chi la conosce sostiene che del padre abbia ereditato soprattutto il carattere fumantino e il decisionismo, dalla madre invece l’estrema riservatezza. La separazione dei genitori – nella vita di Berlusconi era già comparsa la seconda moglie, Veronica Lario – è stata forse uno dei pochi momenti di crisi vera tra padre e figli. La madre, Carla Elvira dall’Oglio, accettò la separazione consensuale nel 1985 e ha vissuto gli ultimi trent’anni ben lontana dalle telecamere, tra Londra e Milano. Nessuna dichiarazione pubblica, nessuna comparsata televisiva: l’ultima volta che la si è vista pubblicamente è stato proprio al fianco di Marina, con cui ha un rapporto stretto e costante, per accompagnarla a palazzo Marino, quando nel 2009 il comune di Milano guidato da Letizia Moratti l’ha insignita dell’Ambrogino d’oro.
Poco si conosce nel dettaglio anche della giovinezza di Marina. Si sa che non è mai arrivata alla laurea, dopo due cicli di studi – in giurisprudenza e scienze politiche – abbandonati al primo anno e mai portati a termine. La sua è stata un’istruzione domestica: destinata alla vita nell’azienda di famiglia, il padre le affiancò come mentore Fedele Confalonieri, attuale presidente di Mediaset. Il destino è quello di cominciare presto la gavetta nelle aziende di famiglia, ma che parte subito dall’alto. A 22 anni consigliere d’amministrazione della Standa. Nemmeno trentenne, poco dopo la trionfale discesa in campo di Berlusconi nel 1994, Marina assume la carica di vicepresidente di Fininvest (di cui oggi è presidente) e poi, nel 2003, della Mondadori.
Da quel momento in poi, le sue giornate sono descritte come assorbite dall’azienda e dalla famiglia, coi due figli nati dal matrimonio con il primo ballerino della Scala, Maurizo Vanadia. Da imprenditrice vecchio stampo, la sua vita da oltre trent’anni si svolge metodicamente: secondo il racconto ufficiale, dal lunedì al venerdì nel suo studio all’ultimo piano del palazzo di Segrate - dove si dice che arrivi molto presto la mattina ma in pochi ammettono di averla davvero incontrata - il finesettimana dedicato alla vita domestica e al suo buen retiro in Provenza.
La sorella Barbara
Inserita da anni nella liste delle donne più influenti del mondo dalla rivista americana Forbes, Marina ha attentamente costruito la sua immagine pubblica di manager con una precisa campagna di stampa. Dai primi anni, la sua ombra è stata l’ex giornalista di Panorama Franco Currò, oggi a capo della comunicazione di Fininvest.
Proprio lui sarebbe il suggeritore, come ghostwriter, delle sue interviste. Tutte rigorosamente scritte e nessuna televisiva, nonostante l’impero berlusconiano sia stato fondato soprattutto su Mediaset.
Il segreto peggio custodito di Arcore - e forse la prima ragione per cui una discesa in campo di Marina è difficilmente immaginabile – è infatti la terribile timidezza di Marina. Un limite, questo, che le impedisce di parlare in pubblico e che le renderebbe impossibile replicare quella che è stata la cifra comunicativa del padre.
Nessuno, infatti, ne conosce la voce, che si può ascoltare solo in qualche breve video di dichiarazioni strappate dai cronisti appostati fuori dalla sede dell’Antitrust dopo la multa inflitta a Mediaset nel 2016 e nell’atrio davanti alla sede di Mondadori.
Proprio questo difetto sarebbe stato vissuto come un dramma privato da Marina, così legata al mito del padre, ma anche ragione di scontri e invidie con la sorellastra Barbara. Proprio con lei, figlia di secondo letto di vent’anni più giovane, Marina ha avvertito più forte la rivalità, sia per ragioni ereditarie che personali. La disputa tra le due ha fatto tremare i muri di Arcore nel 2009 – era il periodo dello scandalo Ruby e della separazione di Silvio dalla seconda moglie Veronica Lario - quando Barbara tentò di strapparle la poltrona al vertice di Mondadori, a cui aspirava anche nell’ottica di riequilibrare i rapporti tra fratelli, e che Marina ha difeso strenuamente. Silvio, per calmare gli animi senza umiliare la primogenita, dirottò Barbara verso il consiglio d’amministrazione del Milan.
Ad acuire la tensione c’è stato però anche il fatto che Barbara è l’unica tra i Berlusconi di cui qualcuno si è azzardato a ipotizzare l’attitudine per la successione politica.
Le due hanno poco in comune. Timida e introversa Marina, ossessionata dalla privacy e riservatissima in famiglia. Esuberante e solare Barbara, cinque figli con due compagni diversi e flirt da copertina con vip, come quello con il calciatore del Milan Alexandre Pato quando la squadra era ancora proprietà di famiglia. Chi l’ha vista crescere ne ricorda anche le frequentazioni giovanili coi figli di Ignazio La Russa e Giulio Tremonti, ma soprattutto la nascita sotto la stella della politica, visto che il suo padrino di battesimo fu l’ex leader socialista Bettino Craxi.
In quel 2013 della condanna definitiva di Berlusconi, anche di Barbara si iniziò a fare il nome come erede: inaspettatamente, infatti, la terzogenita era scesa in campo in prima persona per difendere pubblicamente il padre, partecipando al forum di Cernobbio e attaccando duramente i magistrati nelle interviste, e privatamente tentando di convincerlo a firmare la richiesta di grazia.
La paura della giustizia
Al netto dei diversi tratti caratteriali e all’attitudine alla leadership, però, il vero timore di tutti i figli e in particolare di Marina sarebbe uno: «La persecuzione giudiziaria del padre l’ha segnata profondamente: ha visto cosa gli hanno fatto i tanti processi dal 1994 ad oggi», dice un ex parlamentare azzurro che ha partecipato alla fondazione di Forza Italia. La convinzione di Marina, infatti, sarebbe che una nuova discesa in campo significherebbe rimettere le aziende di famiglia nel mirino di quella che Berlusconi chiamava la “magistratura rossa”. Da manager quale è, lei ragiona in termini di utili e perdite e ha ben presente quale può essere il rischio aziendale di voler perpetrare lo sforzo politico della famiglia.
Per questo, l’ipotesi più accreditata in questi giorni in Transatlantico è che Marina abbia già silenziosamente messo in atto una sua personale strategia successoria, che più si attaglia al suo carattere. Partendo dall’assunto che, negli ultimi anni, la politica è stata più un cruccio che un guadagno per la famiglia Berlusconi.
Oggi, infatti, Forza Italia è considerato un asset improduttivo e piuttosto costoso, visto l’indebitamento per 90 milioni garantito da due fideiussioni personali di Silvio. Ma soprattutto, secondo i figli, sarebbe una sorta di veleno per il padre, ancora ammalato di politica al punto da aver voluto condurre, nonostante le sue precarie condizioni di salute legate alla leucemia, anche la campagna elettorale di settembre e da creduto davvero di poter aspirare al Quirinale, nel gennaio 2022. «Anche in quell’occasione era stata sempre Marina a tentare in tutti i modi di dissuaderlo, per tentare di preservarlo non solo dal punto di vista fisico, ma anche dell’immagine», racconta un forzista che era in parlamento al momento del voto.
Per questo, l’obiettivo della figlia è quello di rendere produttiva la politica, trattando Forza Italia esattamente come le altre società del gruppo, ma senza che possa più nuocere alla sua famiglia.
A questo sarebbe servita la svolta governista del mese scorso, orchestrata con il placet del vicepremier Antonio Tajani e l’aiuto del braccio in parlamento della compagna Marta Fascina. La primogenita ha così allacciato un contatto diretto e personale con la premier Giorgia Meloni, con cui le telefonate sono diventate più frequenti, e ha riportato al tavolo delle trattative coperte Gianni Letta. Ma soprattutto ha negoziato anche il passo successivo, che non avverrà in tempi brevi ma che è già pronto e nasce dalla valutazione dell’attuale scenario interno a Forza Italia.
Il partito è diviso in tre: alcuni singoli, che fanno gioco a sé e si continueranno a muovere autonomamente; il blocco capitanato da Ronzulli che ora è in minoranza e guarda verso la Lega; la compagine di maggioranza guidata dal duo Tajani-Fascina, che invece è orientato verso Fratelli d’Italia. Tutti e tre i gruppi, tuttavia, hanno un problema: nessuno è portatore di consenso elettorale, perché FI ha sempre goduto della forza trainante del suo leader. «Questo li rende radioattivi: in qualsiasi partito vadano saranno malvisti, perché occuperanno posti senza portare voti», è l’analisi di un ex azzurro della prima ora. Come uscirne, dunque? Secondo fonti interne a FI, la via d’uscita contrattata da Marina sarebbe quella di una aggregazione almeno della compagine di maggioranza dentro il partito di Meloni, in cambio dello stop alla belligeranza dentro al centrodestra, visto che i voti di Forza Italia sono determinanti per la tenuta parlamentare.
Il futuro delle aziende
Il futuro di Forza Italia, tuttavia, è solo uno – e nemmeno il primo – dei pensieri di Marina.
La famiglia Berlusconi, infatti, somiglia alle altre grandi famiglie industriali italiane, dai Del Vecchio ai Benetton. Tutte con lo stesso problema di fondo: il passaggio e la sopravvivenza dalla prima alla seconda generazione, con figli cresciuti all’ombra dell’ego ingombrante dei genitori e a cui il testimone viene passato tardi.
Se la famiglia Agnelli ha sempre avuto come regola non scritta che la guida sarebbe stata mantenuta da un solo erede designato dal patriarca, per il clan Berlusconi un argomento tabù tanto quanto la leadership di Forza Italia è la futura divisione ereditaria degli asset di quella che ormai è una holding europea e non più un’azienda solo italiana.
«La chiave per capire il futuro è la vendita del Giornale», viene suggerito. In altre parole: negli ultimi anni, l’impero di Berlusconi si è mosso con criteri imprenditoriali anche nei settori più vicini al cuore del leader, come l’editoria. Nonostante la poca convinzione del Cavaliere, una società poco produttiva è stata ceduta – pur mantenendo come da sua richiesta una quota di minoranza – in modo da ridurre le perdite, in un settore che progressivamente ha smesso di essere il fulcro degli affari dell’impero di Arcore. Proprio questo stesso futuro, secondo le voci ormai sempre più forti tra i lobbisti di settore, toccherà a breve anche per Mediaset – ora MediaforEurope con sede in Olanda – per cui sarebbe già pronto come acquirente il francese Vincent Bollorè.
Proprio sullo smembramento di Mediaset, infatti, si gioca quell’eredità di cui Marina rappresenta solo un quinto.
La televisione di famiglia, che è progressivamente sempre più debole sul piano industriale, era un asset fondamentale e inscindibile dalla stessa Forza Italia, di cui è stata strumento di propaganda. Berlusconi creò un polo televisivo privato per contrastare i colossi pubblici, coltivando coltivato i suoi telespettatori-elettori in un connubio inscindibile. Oggi, però, quel mondo non esiste più.
È invece presente e attuale il problema della futura spartizione tra i cinque figli di un colosso in difficoltà e ormai sempre più minoritario rispetto al core business della holding. Mantenendo la proprietà di Mediaset e dividendone le quote alla pari, i due figli di primo letto sarebbero in minoranza rispetto agli altri tre, è il grande non detto. Anche per questo ha iniziato a farsi strada in modo sempre più forte l’ipotesi della vendita e conseguente liquidazione pro quota, così che ognuno possa finanziare le proprie singole ambizioni imprenditoriali all’interno del gruppo, senza aprire lotte fratricide. Gli occhi sono tutti puntati sulla stanza all’ultimo piano del San Raffaele e la speranza rimane quella che il patriarca regga ancora lo scettro. Tuttavia sarà sempre lei, Marina, a tirare le fila per il dopo. Progettando, come è spesso destino per i figli, un futuro lontanissimo dalle speranze paterne.
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