«Tiziano Renzi? Non mi ha minacciato, nessuna pressione. Mi ha chiesto però il favore di incontrare Carlo Russo. Mi disse: “È uno che conosco, è un'ottima persona, è bravo, ha delle idee, partecipa a delle gare, ti vorrebbe parlare, ti vorrebbe conoscere”. Lo incontrai. Russo non mi parlò mai di Romeo, ma è vero che lui mi minacciò». Luigi Marroni, ex ad di Consip sulle cui dichiarazioni si basa l'intero scandalo politico e giudiziario che coinvolge il papà del leader di Italia Viva Matteo Renzi, è stato interrogato in gran segreto il 13 luglio 2020. I pm della procura di Roma Paolo Ielo e Mario Palazzi hanno infatti dovuto svolgere nuovi interrogatori dopo che il gip Gaspare Sturzo ha, qualche mese fa, rigettato in parte la loro richiesta di archiviazione, ordinando nuove indagini.

Dopo anni il manager è così tornato sulle dichiarazioni rilasciate come testimone prima ai pm di Napoli poi a quelli romani, e sugli incontri con Tiziano (indagato per turbativa d'asta e traffico di influenze illecite) e il suo sodale Carlo Russo. Domani ha letto la trascrizioni dei nuovi verbali, nei quali il Marroni ribadisce la sua ricostruzione dei fatti dando però nuovi dettagli e versioni inedite sui rapporti con gli uomini che – secondo l'accusa – avrebbero provato a modificare l'esito della gara d'appalto FM4 della stazione appaltante.

«Devi alzare il punteggio»

«Gli incontri con Tiziano sono stati due, più uno mancato» inizia Marroni. «Del primo ho detto, a Firenze al Bargello nell'autunno del 2015...il secondo fu mesi dopo, a Piazza Santo Spirito...anche lì mi disse: “Mi dovresti fare un favore. Incontra Russo”. Dico: “Lo sto incontrando”. L'avevo infatti già incontrato una o due volte mi sembra. Tiziano mi dice: “Sì, però ha un progetto, ci terrei tanto che tu gli dessi una mano, è un bravo ragazzo, ha bisogno, ci sono tanto affezionato”. Mi disse di fargli un favore, ma non ci fu coercizione e minaccia».

Quando il pm Ielo chiede all’ex amministratore delegato se Tiziano Renzi gli avesse fatto cenno anche ad altri imprenditori, Marroni conferma – cosa già nota – che «una volta con un sms mi chiese di incontrare anche un certo Donnini». Cioè Patrizio: un imprenditore vicino al Giglio magico indagato in uno stralcio dell'inchiesta sulla fondazione Open. «Fra i due incontri, intorno a Natale Tiziano Renzi mi chiese di incontrarci. Però mi disse che ritardava, poi mi mandò il messaggio che aveva la macchina rotta. Dopo il secondo incontro non ho mai più parlato o avuto contatti con lui».

Marroni racconta invece che i rapporti con l'imprenditore raccomandato dal padre dell'allora presidente del Consiglio si intensificarono. Nelle prime deposizioni il funzionario aveva parlato di soli tre appuntamenti. «Ora ho fatto il riscontro e ho visto che erano sette» dice «Si sono assomigliati tutti. Dopo i convenevoli mi disse che già dal primo incontro lui gradiva, rappresentava una certa azienda, quella di cui non ricordo il nome, che comunque partecipava (al bando Consip, ndr). E che sperava che vincesse. E io gli dissi: “Mah, vincitori, dipende”. “Perché non gli dai un aiuto, perché non l'aiuti?”. Gli dico: “Ma come si fa ad aiutarla?”. “Potresti alzare il punteggio”. Ecco, questo fu l'inizio».

Ma è Romeo o non è Romeo?

Marroni, a quasi quattro anni dal suo primo interrogatorio con Henry Woodcock, continua a non ricordare con chiarezza il nome della società tanto cara a Russo. L'ex ad di Consip Domenico Casalino, come ha svelato Domani qualche giorno fa, ha negato che si trattasse dei francesi di Cofely e di Romeo Gestioni (la big del facility management controllata dall'altro grande protagonista della vicenda, Alfredo Romeo, anche lui indagato perché accusato di aver promesso soldi in nero a Tiziano e Russo per aiutarlo a vincere la gara). Casalino ha invece tirato fuori a sorpresa il nome della sconosciuta Omnia Servitia dell'imprenditore abruzzese Antonio Colasante, che in effetti – in cordata con altre società – ha vinto due lotti da oltre duecento milioni di euro. «Russo mi chiede questa cosa. Io ci ho pensato molto, ma il nome non lo ricordo. Ho dedotto, quando ho dichiarato che non era Romeo e non era Cofely, che se fosse stato un nome famoso probabilmente me lo sarei ricordato. Non posso dire ora che era Omnia Servitia».

I magistrati romani rileggono a Marroni l'ordinanza del gip Sturzo, secondo cui a rigor di logica non poteva che essere Romeo il nome raccomandatogli da Russo. «Non mi permetto di contestare la ricostruzione del gip, ma non avrei motivo – se fosse stato citato il nome di Romeo - di celarlo. Perché Romeo dichiaratamente mi considerava un avversario, non so per quale motivo, e mi ha fatto una causa da un miliardo e mezzo , quindi non avrei motivo di...» essere reticente.

Se Colasante, le cui aziende sono state perquisite dai pm alla ricerca finora vana di nuove evidenze, in un altro verbale di interrogatorio ammette di conoscere Russo (ma spiega pure che era «una persona che parlava molto, per cui l'interesse che mostrava nei confronti delle mie società non poteva che essere una sua millanteria»), Marroni conferma agli inquirenti che ha continuato a ricevere l'amico di Tiziano. «La consideravo una specie di tassa da pagare, perché mi veniva mandato da chi abbiamo detto. Tra l'altro mi chiedeva una cosa infattibile: in una gara che era cominciata quattro anni prima e che è arrivata a conclusione nell'aprile del 2016 se io, dato per assurdo, avessi voluto fare qualcosa, avrei dovuto modificare centinaia o migliaia di documenti» per modificare i punteggi della gara. Marroni, infine, conferma le presunte minacce ricevute dall’imprenditore amico di Tiziano. «Russo mi disse chiaramente che io ero stato messo dalle persone a nome delle quali lui diceva di venire, e che quindi avrei dovuto fare quello che mi si chiedeva. Perché poi potevo essere non riconfermato, mandato via o sostituito».

Il manager «incazzato»

L'interrogatorio dura ore. La procura di Roma presto potrebbe chiedere il rinvio a giudizio degli indagati, anche se le tesi del gip Sturzo, che ha voluto le nuove indagini, vengono smentite da Marroni e altri soggetti ascoltati. Sia lui che Casalino (indagato) ripetono infatti a verbale che Russo non segnalò mai Romeo, ma (dice Casalino) la Omnia. È certo che il sodale di Tiziano incontrò Romeo, ma è possibile facesse il doppio gioco? Vedremo se la vicenda si chiarirà a processo.

Marroni, allora pubblico ufficiale, non ha mai chiarito perché davanti alle presunte minacce dell’emissario di babbo Renzi decise di soprassedere, e non denunciarle seduta stante in procura. «Io ero molto frustrato e incazzato » chiosa l'ex ad della Consip «per un motivo che forse vi sembrerà strano, ma ero lì, mi facevo un mazzo così, mi ero messo al servizio del mio paese e mentre facevo questo, avendo fatto anche un sacrificio economico, tutti questi mi davano un grosso senso di frustrazione». Ma perché allora quando Russo fa pressioni e minacce, quando incontra il suo dante causa il manager non protesta? «Io non è che fossi amico di Tiziano Renzi» spiega ancora Marroni «io l'ho visto due volte e la prima volta per quella storia della madonnina» (il rignanese disse che in un'incontro con Marroni voleva solo chiedergli di aiutarlo ad installare una statua della madonna nel cortile dell’ospedale Meyer, ndr). «Avevo, tra virgolette, una sorta di dovere d'ufficio: forse è una parola impropria, però era dovuto al fatto che era il padre del Consiglio in carica...la minaccia Russo la faceva, però avevo le spalle larghe per desistere. Io comunque non le ho ritenute credibili, perché altrimenti sarei venuto da lei e l'avrei denunciato».

In aula non sarà facile per i pm reggere l’accusa: la fuga di notizie (su cui ci sono altri filoni d’inchiesta) ha probabilmente impedito l’acquisizione di altre evidenze dei reati ipotizzati. Al netto degli esiti giudiziari, tuttavia, lo scandalo politico resta macroscopico. Perchè le accuse del manager renziano all’entourage dell’allora premier restano  le stesse. E nessuno riesce a capire perché Marroni debba aver mentito.

 

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