- Con le dimissioni contro la legge Mammì, nel 1990, la sinistra Dc di Mattarella diede battaglia contro l’irresistibile ascesa di Fininvest.
- Oggi il capo dello stato elogia l’europeismo del Cavaliere. Una riconciliazione postuma tra due leader che sono sempre stati lontanissimi.
- ll Ppe ha organizzato una commemorazione “volante” fuori dall’aula di Bruxelles. E se al funerale di stato sarà l’italiano Paolo Gentiloni a rappresentare la Commissione, fino a sera non era stato comunicato chi avrebbe rappresentato il parlamento.
Tocca al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la sua autorevolezza, a fare da paciere nazionale e da scudo istituzionale per le polemiche che ieri hanno cominciato a farsi largo sul funerale di stato per Silvio Berlusconi e soprattutto sulla decisione presa, anche questa da palazzo Chigi, di indire una giornata di lutto nazionale per oggi.
Tocca al presidente che – e questo è un capriccio della storia che abbiamo già segnalato lunedì –, da esponente della sinistra Dc, ha combattuto per primo contro l’ascesa di Silvio Berlusconi, dimettendosi da ministro del governo Andreotti in dissenso contro l’approvazione con voto di fiducia della legge Mammì, detta legge Polaroid perché fotografava e legalizzava l’esistenza delle tre reti Fininvest fin lì considerate in posizione dominante sul mercato e quindi in conflitto con la Costituzione.
Era il 1990, quattro anni prima della “discesa in campo” del Cavaliere. Si dimisero cinque ministri (anche Martinazzoli, Fracanzani, Misasi e Mannino) ma fu Mattarella a annunciare la rottura: «Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile».
Divergenze parallele
La storia dei due, Mattarella e Berlusconi, da lì in avanti corre per quasi quarantacinque anni sui binari delle divergenze parallele: il primo fratello di Piersanti, ucciso dalla mafia; il secondo, per le procure, in odore di relazioni pericolose con le famiglie siciliane; l’uno ministro dei governi di centrosinistra (D’Alema e Amato), l’altro premier dei governi di centrodestra; uno giurista e poi giudice della Consulta, l’altro formidabile scassatore seriale della Costituzione.
Fino a che – siamo nel 2015 – Mattarella viene indicato presidente della Repubblica da Matteo Renzi, e poi eletto; la cosa fa saltare i nervi al Cavaliere, che per questo rompe il “patto del Nazareno” che aveva stretto con l’allora segretario Pd. Ieri su La7 l’attuale leader di Italia viva ha ricordato che fra lui e Berlusconi «la rottura fu sul presidente della Repubblica. Proposi a Berlusconi di fare il nome di Mattarella, di intestarselo e lui mi disse di no. Salvo poi recuperare il rapporto con Mattarella».
Parole e omissioni
Il rapporto fu recuperato. Infatti al momento del secondo mandato al Quirinale, i capigruppo di Forza Italia si uniscono ai colleghi della maggioranza di Mario Draghi nella richiesta del bis.
Lunedì scorso, alla notizia della morte di Berlusconi, è il «presidente di tutti» a scrivere il comunicato di cordoglio in cui parla del «protagonista di lunghe stagioni della politica italiana», «grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica», che «ha contribuito a plasmare una nuova geografia della politica italiana, consentendogli di assumere per quattro volte la carica di presidente del Consiglio». Ma la sottolineatura più importante è il passaggio in cui gli riconosce di aver «progressivamente integrato il movimento politico da lui fondato nella famiglia popolare europea favorendo continuità nell’indirizzo atlantico ed europeista della nostra Repubblica».
Passaggio delicato, con qualche omissis. Ma che sembra dedicato al governo, anzi alla premier che in queste ore prova a impossessarsi dell’eredità politica di Berlusconi: e però intrattiene rapporti complicati con l’Europa.
Europa fredda
Nelle parole del Quirinale si indovinano comprensibili omissis su altri aspetti della biografia del defunto. Alcuni di quegli aspetti – per esempio tutto il capitolo che va sotto il titolo delle cene eleganti – possono spiegare il tono del telegramma inviato da papa Francesco alla famiglia Berlusconi, a firma del segretario di Stato Pietro Parolin: parla di «sentita partecipazione al lutto», invoca «dal Signore la pace eterna per lui», lui che viene definito sobriamente «un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità», «con tempra energica»; gli esegeti della lingua vaticana traducono l’espressione in «con qualche eccesso».
Quanto all’europeismo e all’innegabile filoatlantismo, Mattarella usa l’avverbio «progressivamente» e certo non sta al capo dello stato, in un comunicato di cordoglio, ricordare una parabola politica iniziata con l’opposizione all’introduzione dell’euro «con quelle modalità improvvidamente accettate da Prodi», passata dieci anni dopo da frasi del tipo «uscire dall’euro non è una bestemmia», pronunciate persino da palazzo Chigi.
Anche il suo «indirizzo atlantico» ha conosciuto ampie defezioni, date le amicizie con i leader euroscettici ma soprattutto le sue posizioni durissime contro il presidente ucraino Zelensky, e i recenti scambi di doni lambrusco contro vodka con Vladimir Putin.
Oggi il parlamento europeo metterà le sue bandiere a mezz’asta in segno di lutto. L’annuncio della morte di Berlusconi è stato dato nell’aula di Strasburgo dalla presidente Roberta Metsola, come spetta a ogni europarlamentare, anche ex. «Neanche un minuto di silenzio», ha denunciato la Lega.
Il Ppe ha organizzato una commemorazione “volante” fuori dall’aula di Bruxelles. E se mercoledì al funerale di stato sarà l’italiano Paolo Gentiloni a rappresentare la Commissione, fino a ieri sera non era stato comunicato chi avrebbe rappresentato il parlamento.
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