- I grandi arresti di mafia, Riina, Provenzano, Messina Denaro, rivelano una manovalanza qualificata, utile sul territorio, ma non in grado di stabilire direttive criminali e affaristiche. C’è un mondo sopra di loro, colluso con ogni forma di potere.
- Per questo rimandano sempre a una dismisura. Come gli incidenti stradali, tra le prime cause di morte al mondo
- Questo articolo si trova sull’ultimo numero di POLITICA – il mensile a cura di Marco Damilano. Per leggerlo abbonati o compra una copia in edicola
16 gennaio
Una giornata che resterà nella storia del nostro paese. Solo il tempo ci dirà in quale forma e contenuto. Se anche questa vicenda, come tante altre, finirà nella teoria di tesi e controtesi senza verità alcuna su cui piangere le tante vittime, quelli verissime.
Il nostro è il paese dei misteri, di stragi e trame, un grande melodramma a uso e consumo dei pochi padroni della giostra.
Matteo Messina Denaro, il latitante dei latitanti, viene assicurato alla giustizia.
Non in un paese caraibico o sudamericano, c’era da scommetterci, ma a casa sua, nel quartiere San Lorenzo, a Palermo, mentre stava per effettuare alla Clinica Maddalena di Palermo una seduta di chemioterapia per il suo cancro al colon.
Il covo del boss dai mille nomi e dalle mille identità, anche qui c’era da scommetterci, era al centro del suo territorio d’elezione, da dove avrebbe comandato nell’ombra Cosa Nostra in tutti questi anni di latitanza.
Campobello di Mazara. Comune di undicimila anime vicino a Castel Vetrano, nel trapanese, suo feudo indiscusso.
Dall’arresto in poi, dall’abbigliamento del boss all’orologio costoso, dal giro di amanti al covo, con arredi componibili e stampe, dai girasoli di Van Gogh alle locandine del Padrino e di Scarface, con Brando e De Niro in bella posa, sino ai peluche a rallegrare l’ambiente, tutto di questa vicenda ha rimandato a una dimensione di normalità atroce, di mediocrità esistenziale che non può non rimandare a una medesima intelligenza, cultura, sguardo, di pari livello.
Il boss dei boss era un uomo come tanti, con un senso del gusto discutibile.
Analisti su analisti hanno parlato, sentenziato, sulla reale dinamica che ha portato all’arresto di Messina Denaro. Si è fatto prendere? Lo hanno fatto prendere? C’è stata trattativa fra stato e mafia? Ero appena adolescente quando ho sentito per la prima volta questi termini così apparentemente antitetici.
È di poche ore fa l’ultima ipotesi che tende ad escludere qualsiasi trama precedente all’arresto, perché se ci fosse stata il Messina Denaro non avrebbe mai fatto trovare nel suo appartamento il Viagra, un segno di mancanza di virilità che nel codice mafioso mai deve nemmeno essere adombrata.
Invece i due peluche morbidosi a forma di animali sono coerenti con questo presunto codice?
La prima riflessione non può non toccare il tema dei temi, anche per il capo dei capi: la narrazione dei fenomeni e la realtà degli stessi.
Mitopoietica contro banalità del male. In questo caso specifico.
Il fenomeno mafioso è come ogni altro fenomeno umano legato alla sua epoca, e certi simboli, valori, disvalori, mutano con il mutare del tempo.
Al posto dei codici d’onore, dei battesimi di sangue, occorrerà forse iniziare a parlare di altro, di quanto la narrazione, anche qui la dinamica è la medesima a prescindere dal contenuto, influenzi il reale.
Matteo Messina Denaro aveva alle pareti i suoi miti, miti cinematografici, finti, inventati. Questo dato deve necessariamente riportare in superficie il grande tema dell’emulazione, della mimesi di ciò che viene prodotto dai grandi e piccoli raccontatori. Non è un dato da sottovalutare.
Il più grande e pericoloso latitante italiano, tra i dieci più ricercati del mondo, aveva alle pareti gli stessi poster che hanno tanti adolescenti sparsi in Italia, devoti alle serie crime. Il dato sembra modesto, ma è al contrario estremamente significativo, per certi aspetti paradigmatico di questa era digitale.
L’uso degli immaginari e la loro capacità di penetrazione.
Un tema scivoloso, che per ideologia e interesse economico non arriverà mai a un compromesso civile.
Ma c’è di più. I grandi arresti di mafia degli ultimi anni rimandano sempre a una dismisura. Provenzano. Riina. Ora Messina Denaro.
Niente e nessuno mi convincerà mai che questi boss siano stati e siano tuttora i reali governanti del mondo mafioso.
Semmai manovalanza qualificata, utili sul territorio, ma non certo in grado di stabilire rotte e direttive criminali e affaristiche.
C’è un mondo posto sopra di loro, questa è la sensazione, che dirige i giochi rimanendo nell’ombra, una borghesia fantasma, evocata ma capace di occultarsi alla legge dello stato, questa sì veramente collusa con ogni forma di potere, che fa di questi uomini i loro macellai di fiducia.
Staremo a vedere dove porterà l’arresto di Matteo Messina Denaro, se porterà mai da qualche parte…intanto si avvicina il carnevale, perché non vestire i propri bambini con il costume del boss? Ma ci ha già pensato qualcun altro.
27 gennaio
Continuo e continuerò a scriverlo, sino a quando qualcuno mi permetterà di farlo.
A Tor Lupara, frazione di Fonte nuova, periferia di Roma, cinque ragazzi perdono la vita in un incidente stradale. Viaggiavano su una Fiat 500, in sei, andando ben oltre i limiti di velocità imposti in un centro urbano.
L’età delle vittime: tra 17 e i 22 anni. Verrebbe da dire: una delle tante non notizie riguardo gli incidenti stradali. Tutto chiaro, chiarissimo.
La causa e l’effetto in stretta ed evidente correlazione: un gruppo di ragazzi incoscienti, i limiti di velocità ignorati, in sei su una macchina.
Poi il resto è tragedia affidata alle famiglie, questa volta, come tante altre, con un retropensiero neanche così velato: piangeteli, certo, ma in fondo se la sono cercata, e se avevano quell’approccio così irrispettoso al codice della strada, c’è da stanne certi, anche per il resto non dovevano essere ragazzi così lustri, a modo.
Invece no.
Il tema degli incidenti stradali, del traffico su gomma, è troppo più ampio e per ridurlo alla singola esperienza, al più o meno conscio atto di disubbidienza rispetto alle norme di sicurezza.
Il traffico stradale è affidato ai singoli cittadini, il controllo, la regolazione da parte di segnaletica, semafori, forze dell’ordine, è minima rispetto alla libertà del guidatore di attenersi o meno alle regole. L’errore umano, dunque, non può essere considerato straordinario, ma assolutamente naturale, e non certo riferibile soltanto a una generazione. Le stragi del sabato sera, locuzione oramai ultratrentennale, non sono diverse dalle altre sciagure che capitano di giorno, dove a morire sono famiglie o lavoratori pendolari, su strade cittadine, in questo senso il comune di Roma ha numeri a dir poco terribili, o su autostrade. La sostanza non cambia.
La verità è un’altra, e come sempre è molto più complessa, abbraccia il mondo reale e gli immaginari costruiti ad arte.
Partiamo da un dato. L’incidente stradale è tra le prime cause di morte al mondo. Basta vedere i dati dell’organizzazione mondiale della sanità a riguardo.
L’esplosione tecnologica, digitale, se da una parte ha introdotto sistemi di sicurezza, attiva e passiva, senz’altro più efficaci, dall’altra ha permesso a nuovi mezzi di spostamento di invadere le nostre strade, andando a creare ancora più squilibri, disordini, e morti.
Questo perché il dato della sicurezza viene dopo quello commerciale, come ovvio che sia; quindi, poco importa se un monopattino elettrico inizierà a sfrecciare su strade e marciapiedi, tra mezzi che pesano tonnellate. Giusto per fare un esempio fra i tanti possibili.
Disincentivare l’uso del mezzo privato a favore di quelli pubblici.
Questa direttiva, da sempre, nasce con l’intento di attenuare la morsa del traffico intorno ai grandi centri urbani, e, non meno importante, a ridurre l’inquinamento atmosferico, spesso oltre i limiti di legge. Tutto sacrosanto.
In questa visione d’insieme, però, manca un piccolo dettaglio, e può essere riassunto con poche parole, brutali. Mettersi alla guida di un mezzo privato, a due o quattro ruote, ci espone come nient’altro al rischio di morte. Una morte violenta, che lascia famiglie attonite, percepita sempre come una tragica fatalità e non per quello che è realmente. Una strage ordinaria, che non interessa a nessuno.
I rimedi ci sarebbero, la tecnologia in questo senso potrebbe essere determinante. Un esempio su tutti.
Molte compagnie assicurative suggeriscono ai propri clienti a fronte di uno sconto in polizza l’installazione una scatola nera sul veicolo, collegata a rete satellitare, per la localizzazione della macchina in caso di furto o incidente.
Basterebbe utilizzare questa tecnologia per introdurre forme di controllo generalizzato, uguali per tutti, la riduzione della velocità consentita nelle ore notturne, solo per fare un esempio, oppure il rispetto dei limiti orari nelle zone urbane.
Ma nessuno sembra realmente avere a cuore le vittime della strada.
Né le istituzioni, né la cultura.
Né tutti quelli che su una lingua d’asfalto imprecano per la fila causata dall’incidente di turno, e se c’è scappato il morto, se qualcuno stasera non ritornerà a casa, sarà solo per colpa sua, o della tragica fatalità.
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