La versione ufficiale della Lega è di smentire tutto. «Nessun problema di maggioranza», solo ritardi dei treni con tutte le battute che questo comporta, visto che il titolare del dicastero dei Trasporti è Matteo Salvini. «Al momento del voto ci saranno tutti, mica vogliono perdere la diaria», tranquillizza causticamente un esponente di Forza Italia. Eppure l’immagine è plastica: Giorgia Meloni ha fatto le sue comunicazioni alla Camera, in vista del Consiglio europeo del 19 e 20 dicembre, in un’aula semivuota. E a mancare erano la maggior parte dei 65 deputati leghisti.

Le assenze non sono passate inosservate. Qualche tentativo di minimizzare, uno strano comunicato per assicurare che la Lega «voterà compatta e con convinzione, come sempre, la risoluzione del centrodestra» e, infine, la precettazione via chat. Al momento delle repliche gli assenti sono comparsi e i voti a favore della risoluzione di maggioranza sono stati 193. Difficile non pensare, però, che gli alleati abbiano voluto mandare un segnale alla premier. Non è un segreto che Matteo Salvini e i suoi non abbiano gradito la svolta “europeista” di Meloni, che anche ieri, nel suo intervento, si è mostrata particolarmente moderata nei confronti di Bruxelles.

Il monito del Quirinale

Ma la premier non ha solo il suo bel da fare a tenere a bada gli alleati. La sua giornata, iniziata con la “diserzione” leghista, si è infatti conclusa al Quirinale dove, durante il consueto scambio di auguri natalizi tra alte cariche dello stato, ancora una volta il presidente Sergio Mattarella ha espresso le sue preoccupazioni per ciò che vede accadere in Italia e nel mondo.

Non solo i numerosi conflitti, ma anche i rischi per la democrazia che derivano «dalla concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico. Pochi soggetti che guadagnano ben più di 500 volte la retribuzione di un operaio o di un impiegato». Difficile non scorgere un riferimento, l’ennesimo, a Elon Musk, personalità che piace molto, forse troppo, al governo guidato da Meloni.

E non è stato l’unico richiamo. Mattarella ha alternato il plauso per l’operato del governo con «l’efficace presidenza del G7», alla sottolineatura dell’importanza di riconoscerci «come un unico popolo, legato da un comune destino», un patrimonio immateriale «presupposto per una convivenza ordinata». Un appello all’unità che, però, sembra confermare le perplessità del Quirinale verso la riforma dell’autonomia differenziata.

C’è stato anche un riferimento indiretto ai contrasti tra governo e decisioni dei giudici in materia di diritto internazionale sui migranti portati in Albania. «Vi sono interessi nazionali che richiedono la massima convergenza. Ad esempio il rispetto dei trattati e delle alleanze internazionali», ha detto Mattarella, definendoli obiettivi che «vanno oltre le maggioranze e le opposizioni di turno».

Infine, nelle parole del capo dello stato anche la preoccupazione per «il rispetto delle istituzioni nei confronti di chi ne ricopre il ruolo. Così come coloro che rivestono responsabilità istituzionali, a cominciare dal presidente della Repubblica, sono tenuti a esercitarle sapendo che le istituzioni sono di tutti. Che il servizio che si svolge è a garanzia della dignità di ognuno, a prescindere dall’appartenenza politica». Anche in questo caso, un riferimento che appare non troppo velato alla riforma del premierato, che sta procedendo senza l’accordo con le opposizioni e che condizionerà fortemente le prerogative del Colle. Moniti che sono risuonati forti alle orecchie del governo in vista della tornata riformatrice del 2025.

Moderata in Ue

Insomma, non è stata un’ottima giornata per la premier che in mattinata, pur rivendicando la nomina di Raffaele Fitto come un «risultato che conferma la centralità dell’Italia», sempre più «protagonista» sui dossier che si stanno discutendo, aveva ribadito il sostegno «politico e finanziario» a Kiev e parlato di «costruzione di una pace giusta».

Quindi ha affrontato gli scenari di guerra in Siria, dove l’Italia è l’unico paese del G7 con una ambasciata, e si è detta «pronta a interloquire con la nuova leadership» condividendo però le azioni coi partner internazionali. E su Israele è tornata a dire che la pace «passa solo attraverso la soluzione dei due stati», con un cessate il fuoco a Gaza che preveda la riconsegna degli ostaggi israeliani. Immancabile il passaggio sul neopresidente americano Donald Trump, con cui si è incontrata a Parigi, con l’invito ad avere «un approccio pragmatico, costruttivo e aperto con la nuova amministrazione».

Se i toni in politica estera sono stati pacati, Meloni ha però voluto mettere l’accento sulle questioni interne che legano a doppio filo l’Ue con l’Italia. Prima tra tutti quella migratoria. Tra la crisi dell’automotive con attacchi alle politiche green europee e i dubbi sul Mercosur, il passaggio più duro del suo intervento – da analizzare anche in contrapposizione con quanto detto dal Colle – è stato riservato ancora una volta ai giudici italiani, rei, secondo il governo, di stare impedendo in modo improprio l’utilizzo dei centri per i rimpatri allestiti in Albania. «I centri funzioneranno», ha detto Meloni, ribadendo lo slogan già usato dal palco di Atreju. Quindi ha lanciato un appello ai giudici europei che dovranno decidere sul rinvio pregiudiziale chiesto da vari tribunali italiani, affinché non avallino le «sentenze italiane dal sapore ideologico» che, se sposate dalla Corte di giustizia Ue, «rischierebbero di compromettere i rimpatri da tutti gli Stati membri: una prospettiva preoccupante e inaccettabile che occorre prevenire».

Su questo ha attaccato la segretaria dem Elly Schlein che, dopo aver invitato Meloni a scendere «dal ring», ha ricordato che i centri sono vuoti: «Avete buttato 800 milioni di euro». Proprio la questione migratoria, in effetti, agita i sonni del governo. Il 20 dicembre i giudici di Palermo decideranno sul processo Open Arms, nell’ambito del quale Salvini rischia sei anni di carcere. Il ministro sui suoi social ha scritto di avere «la coscienza a posto, consapevole di aver agito per il bene dell’Italia» e, se un po’ di preoccupazione trapela dalla Lega condita dal fastidio per il silenzio della premier, il segretario ha scelto il tribunale di Palermo per dipingere l’eventuale esito negativo del processo come una sentenza politica.

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