Arriva un fondo da mezzo milione di euro per le trasferte dei membri del governo non eletti. La legge di Bilancio arranca ancora, in aula alla Camera con la fiducia e al Senato approvazione tra Natale e Capodanno
La manovra ha fatto anche cose buone. Il testo, passato al vaglio della commissione Bilancio alla Camera, contiene vari interventi e finanziamenti importanti, anche grazie al contributo delle opposizioni.
Sono stanziati, tra le varie cose, 18 milioni di euro per il sostegno psicologico a scuola e 10 milioni di euro per l’assunzione dei precari del Cnr, dietro la spinta del Pd.
Tra le pieghe del grande caos e l’andamento lento della legge di Bilancio, spuntano insomma altre buone notizie come anche l’assunzione di 500 ispettori del lavoro che «va a rafforzare la vigilanza e i controlli che sono uno degli interventi per la sicurezza sui luoghi di lavoro» per la Flepar, il sindacato che ha caldeggiato il potenziamento dell’organico dell’lspettorato nazionale.
Cambio di etichetta
Ma restano gli aspetti grotteschi. L’aumento dello stipendio dei ministri e sottosegretari non parlamentari è uscito dalla porta ed è rientrato dalla finestra sotto un’altra identità, giusto un’etichetta diversa.
Non più l’indennità equiparata a quella di deputati e senatori, ma un «rimborso spese per le trasferte». Il costo sarà inferiore rispetto alla precedente formulazione: non più 1,3 milioni di euro ma mezzo milione di euro, inserito in un apposito fondo.
«Hanno cambiato nome all’aumento stipendiale dei ministri che non sono parlamentari, adesso è diventato un rimborso spese. Sono bravissimi nella comunicazione», ha punzecchiato la deputata di Italia viva, Maria Elena Boschi.
È andato giù durissimo il Movimento 5 stelle: «Si vergognano a tal punto di questo aumento dello stipendio per i ministri, che stanno provando a ingannare i cittadini arrampicandosi sugli specchi», ha detto l’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino.
Del resto, è difficile spiegare lo psicodramma della vicenda. Dopo giorni trascorsi a rivendicare la bontà dell’aumento di stipendio ai ministri non parlamentari, dal governo è stato ordinata la marcia indietro. Le parole del ministro della Difesa, Guido Crosetto, sono state l'innesco: all’improvviso, con un post serale su X, ha chiesto il «ritiro» dell’emendamento, suscitando peraltro le perplessità della collega di partito, Ylenia Lucaselli.
La deputata, da relatrice, aveva sottoscritto l’emendamento. Ma lo stesso Crosetto, solo qualche giorno prima, aveva definito l’intervento «giusto e sensato». E addirittura Giorgia Meloni ha ritrovato la parola sul tema, dando il suo benestare alla (mezza) retromarcia.
Un pasticcio comunicativo e normativo che fotografa bene l’iter di questa manovra, alla pari della norma che impone il divieto ai parlamentari di percepire redditi da attività all’estero. La cosiddetta legge anti-Renzi è però stata circoscritta a tutti i deputati e i senatori, tranne quelli eletti all’estero, tenendo i ministri fuori dal divieto.
Così come è stata annacquata la norma sui controlli dei bilanci per enti e società beneficiarie di fondi pubblici da 100mila euro in su. Tra una mancetta e l’altra, poi, la maggioranza ha aumentato la detassazione alle mance vere, quelle rilasciate nei bar e nei ristoranti.
Superato lo scoglio della commissione Bilancio, l’approvazione in aula è una formalità. Non priva di impatto, visto che l’opposizione è pronta a farsi sentire. E peraltro in agguato, ricordano gli esperti di legislazione, c’è qualche norma scritta male che potrebbe richiedere un supplemento di analisi.
Rispetto alla tabella di marcia, nonostante le full immersion (notte compresa), il ritardo è stato pesante. Ora tocca al ministro per i rapporti con il parlamento, Luca Ciriani, annunciare la questione di fiducia sul testo. La previsione per domani è «un’ennesima notturna, le 24 ore no stop», ammette Roberto Pella, deputato che per Forza Italia ha seguito in prima linea la manovra in commissione Bilancio.
Finanziaria indigesta
Il giudizio finale è di insoddisfazione generalizzata per la tempistica e per la conduzione dell’iter alla Camera. Dalla maggioranza alle opposizioni con la differenza che a destra nessuno lo ammette in pubblico, mentre dal centrosinistra attaccano a testa bassa.
«La manovra? Hai presente quando non ti piacciono gli ingredienti di una torta? Ecco immagina di mangiartela. Bruciata», ironizza con Domani Marco Grimaldi, vice capogruppo di Alleanza verdi-sinistra a Montecitorio.
Al Senato il provvedimento approderà nel fine settimana. Probabile che il voto finale arrivi il 28 dicembre. Altro che approvazione ordinata e scadenze rispettate, come raccontava lo spin governativo.Le tensioni tra gli alleati, poi, restano. Il segretario di FI, Antonio Tajani, non può dirsi felice.
Immaginava un’impronta liberale e ne esce con una difesa dell’esistente, come per la web-tax (limitata in confronto alla versione iniziale). Anche sul fondo per l’editoria gli azzurri sono stati costretti ad accontentarsi perché lo stanziamento è arrivato solo a 50 milioni di euro, meno della metà di quanto aveva proposto.
Lo sguardo è rivolto al futuro. «Serve un cambio di passo da gennaio», è il mantra che circola dentro Forza Italia. Tajani ha spiegato il concetto ai suoi: «Dobbiamo fare un partito diverso, non possiamo accontentarci del 10 per cento, dobbiamo far crescere una nuova classe dirigente scelta dalla base e non nominata dall’alto».
Parole pronunciate dal vicepremier e ministro degli Esteri, che ha sposato la linea proposta – se non imposta – dalla famiglia Berlusconi, Pier Silvio in testa. E l’accelerazione non può arrivare da una manovra che di fronte alla crisi dell’industria italiana, prevede pannicelli caldi come l’Ires premiale, peraltro con vari vincoli.
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