- La premier da Berlino non risponde alla domanda sul comportamento dei suoi: «Oggi c’è una minaccia reale. Vorrei richiamare tutti alla responsabilità».
- Alla camera nominato il Giurì che valuterà le accuse di Giovanni Donzelli ai parlamentari del Pd: il presidente è il grillino Costa, ma la destra maggioranza.
- Dal sottosegretario di Fdi nessun passo indietro, anzi nuove e più gravi accuse ai dem: in carcere «hanno fatto un inchino» a Cospito e ai boss. Letta: è un linciaggio. Ma è così che la destra vuole trattare l’opposizione.
«In Italia abbiamo un problema che molti stanno sottovalutando. Lo Stato italiano», stavolta Giorgia Meloni usa la parola “stato” anziché «nazione» con cui ostenta la sua fede nazionalista, «è oggetto degli attacchi degli anarchici con l’obiettivo di rimuovere il carcere duro, obiettivo a cui punta la mafia. Le minacce ai politici e allo Stato stanno aumentando», «Dobbiamo trovare il modo per non dividerci. Oggi c’è una minaccia reale. Vorrei richiamare tutti alla responsabilità».
A Berlino, alla conferenza stampa con il cancelliere Olaf Scholz, la premier non può evitare la una domanda sui suoi due uomini, il vicepresidente del Copasir Giovanni Donzelli e il sottosegretario Andrea Delmastro, che hanno diffuso informazioni «sensibili». E invece scappa di nuovo, promette una risposta per «domani», cioè per oggi, ma è una sfida ai cronisti. Scandisce bene le parole sul clima innescato nel paese.
Delmastro, Ostellari e Donzelli finiranno sotto scorta. Le minacce non devono essere sottovalutate. Ma ancora una volta la premier non dice una parola su chi ha innescato lo scontro in parlamento, offrendo un megafono ad Alfredo Cospito e ai suoi compagni di cella mafiosi.
C’è un filo oggettivo nell’innalzamento della tensione, almeno sul lato politico. Il Pd chiede le dimissioni dal Copasir per Donzelli e da sottosegretario alla Giustizia per Delmastro, ma riceve uno sberleffo. Mercoledì la prima accusa ai quattro deputati Pd andati in visita al carcere di Sassari era stata quella di Donzelli, di aver «incoraggiato» la battaglia dell’anarchico Cospito per sé e per i mafiosi al 41 bis. Per queste parole, giudicate «infamanti» dai dem ieri, alla Camera è stato istituito il Gran Giurì, il presidente è il generale dei carabinieri Sergio Costa (M5s).
Ma dopo due giorni di polemiche Delmastro rilancia dal quotidiano Il Biellese: scambiando qualche parola con i boss detenuti, dice, i quattro dem hanno fatto loro «un inchino».
Occhio ai tempi: Delmastro rilascia quell’intervista la sera prima, perché la nuova miccia si accenda la mattina dopo. Il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, coglie l’attimo e ribalta il tavolo: chiede che siano i quattro a dimettersi. Molti si accodano.
Gli accusatori si ritrovano accusati, e ormai poco sposta che il Pd annunci denunce a tappeto. Parla il segretario Enrico Letta: «I nostri deputati sono sotto un deliberato linciaggio da parte di deputati di FdI». Ma è chiaro che la maggioranza ha deciso la carta dell’azzardo con l’opposizione.
Dal Pd e dagli alleati arrivano dichiarazioni in batteria, tutti chiedono che il duo Donzelli-Delmastro faccia un passo indietro e che la premier smetta di coprirli. Ma la premier, alla vigilia di una manifestazione degli anarchici a Roma in solidarietà con Cospito e contro il 41 bis, evidentemente molto attenzionata dalle forze dell’ordine, ha fatto la sua scelta.
Le minacce e gli azzardi
Non è l’unica, sembra che nessuno riesca a tenere la testa sulle spalle. Ogni notizia fa cortocircuito. Sui gradoni della facoltà di Lettere dell’università La Sapienza di Roma, occupata nella notte, resistono per ore manifesti che altrove una mano di buon senso ha strappato via. Campo nero, la domanda è una minaccia: «Chi sono gli assassini di Cospito?» Seguono otto foto: il presidente Sergio Mattarella, i ministri della Giustizia Carlo Nordio e Marta Cartabia, la premier Meloni, la procuratrice capo di Torino Anna Maria Loreto, il capo del Dap Giovanni Russo e il procuratore antimafia e antiterrorismo Giovanni Melillo.
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto di botte ricevute in galera (anche lui prima di morire aveva rifiutato il cibo), va a trovare l’anarchico nel carcere di Opera, in sciopero della fame da 107 giorni. Riferisce che è «estremamente determinato ad andare avanti» e non accetterà più visite di politici.
Meloni ha promesso che «non indietreggerà»: «Se io stabilissi il principio che chiunque sta al 41 bis e fa lo sciopero della fame, lo tolgo dal 41 bis, domani quanti mafiosi avremmo che fanno lo sciopero della fame? E se tirassimo fuori i mafiosi dal 41 bis perché altrimenti ci fanno saltare le macchine, quante macchine salterebbero?» E dire che il suo Guardasigilli aveva cercato di raffreddare il clima, cerchiobottando oltre il decente, e così mettendo in gioco la sua ormai sempre più fragile credibilità. Dopo la nota del Dap secondo cui i documenti ottenuti da Delmastro e recitati in aula da Donzelli sono «non divulgabili», si era inerpicato in un’interpretazione burocratica, la parte letta non è «coperta da segreto».
A costo di giocarsi la faccia e aprire una crepa nel suo dicastero, Nordio ha offerto copertura ai due azzardosi spifferatori di notizie «sensibili» a patto di abbassare la tensione nel palazzo e dunque fuori. La risposta della premier è una clava anche su questo timido, e unico, tentativo interno al governo di consigliare prudenza a palazzo Chigi.
© Riproduzione riservata