«Il procuratore Francesco Lo Voi, lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona (per il caso Open Arms, ndr), mi ha appena notificato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento personale e peculato, in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri. L’avviso di garanzia è stato recapitato anche ai ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano, presumo al seguito di una denuncia presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra molto vicino a Romano Prodi (in realtà militato nell’Msi e in Alleanza Nazionale, prima di passare all’Italia dei valori, ndr), conosciuto per avere difeso pentiti del calibro di Tommaso Buscetta, Giovanni Brusca e altri mafiosi». Lo ha annunciato in un video la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni

Gli atti saranno inviati entro quindici giorni al tribunale dei ministri, come prevede la legge sulle presunte responsabilità penali dei membri del governo

Il rimpatrio di Almasri

Il caso riguarda il capo della polizia giudiziaria di Tripoli, Njeem Osama Almasri Habish, arrestato a Torino dalla Digos lo scorso 19 gennaio, in esecuzione del mandato di cattura della Corte penale internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Almasri è uno dei vertici della milizia Rada (forza di deterrenza speciale, ndr). 

Il 21 gennaio è però rientrato in Libia con un volo dei servizi segreti italiani, formalmente – scriveva la Corte d’appello di Roma – per un errore procedurale. Un errore che però poteva essere evitato, se solo il ministro Nordio fosse intervenuto tempestivamente. E, invece, segnalava il procuratore generale, dal ministero della Giustizia non è arrivata «nessuna richiesta in merito». 

Non solo. Il capo della polizia di Tripoli doveva essere riportato in Libia, tanto che è stato predisposto un Falcon usato dai servizi segreti italiani prima ancora che il ministero della Giustizia ne desse conto pubblicamente. Da qui probabilmente l’accusa di peculato, resa nota da Meloni. 

La premier, nel video pubblicato sui social, ha raccontato la vicenda dal punto di vista del governo e, quindi, di chi ha preso la decisione, frutto di una volontà politica: «La Corte penale internazionale, dopo mesi di riflessione, emette un mandato d’arresto internazionale nei confronti del capo della polizia giudiziaria di Tripoli. Curiosamente, la Corte lo fa proprio quando questa persona stava per entrare sul territorio italiano dopo che aveva serenamente soggiornato per circa dodici giorni in altri tre stati europei».

Di fronte alla mancata convalida da parte della Corte d’appello, sostiene la premier, il governo ha deciso invece di «lasciare libero questo soggetto sul territorio italiano», «di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente, per ragioni di sicurezza, con un volo apposito come accade in casi analoghi».

Meloni ha poi aggiunto: «Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire, è possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore».

Il mandato della Cpi

Almasri, tra gli undici libici indagati nel processo davanti ai giudici internazionali, è accusato da molti migranti che sono stati detenuti nelle prigioni da lui dirette, come quella di Mitiga, di tortura, stupri e violenza sessuale, reati che sarebbero stati commessi in Libia dal febbraio 2015. 

Il mandato d’arresto per Almasri è stato chiesto dal procuratore della Cpi lo scorso 2 ottobre e approvato dalla Camera preliminare il 18 gennaio. Da lì la richiesta di arresto inviata a sei stati, tra cui l’Italia, mentre il generale libico era giunto a Torino dalla Germania. Una volta sul territorio italiano, è stato arrestato nell’hotel dove alloggiava insieme ad altri tre uomini. Qui è nato l’errore procedurale della Digos.

In attesa di una risposta mai arrivata dal ministero, la Corte d’appello di Roma non ha potuto far altro che scarcerare Almasri, mentre per lui era già pronto un aereo italiano per riportarlo a Tripoli, dove è stato accolto da una folla in festa. 

Il caso, fin dall’inizio, è stato avvolto da un evidente silenzio da parte delle istituzioni per via dei rapporti economici e politici con il governo di Tripoli e per evitare una crisi diplomatica. L’Italia ha l’obbligo di cooperare con la Corte penale internazionale, per questo i giudici hanno chiesto spiegazioni al governo. 

La Corte ha offerto aiuto alle autorità italiane «nel caso in cui dovessero individuare problemi che potrebbero ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione». In quel caso, da Roma avrebbero dovuto «consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione».

Le reazioni

L’avvocato Luigi Li Gotti, che ha presentato la denuncia, ha commentato che «l’iscrizione di Meloni era un atto dovuto, perchè la mia denuncia era nominativa». 

Forti le reazioni del centrodestra alla mossa della procura di Roma, con il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri, che ha parlato di «violazione di principi fondamentali della Costituzione. Un uso politico della giustizia portato alle estreme conseguenze. Non passeranno».

«Faremo la riforma della giustizia: andremo avanti, lo abbiamo promesso agli italiani e nessuno può pensare di ricattarci. Solidarietà a Giorgia Meloni, al sottosegretario Mantovano e ai ministri Nordio e Piantedosi. La sinistra non accetta di aver perso le elezioni e fa sponda con alcuni magistrati politicizzati che interferiscono con poteri che non gli competono e dimostrano di non rispettare la Costituzione che sventolano pubblicamente», ha detto in una nota il deputato e responsabile organizzazione di Fratelli d'Italia, Giovanni Donzelli.

«Sempre al fianco del nostro presidente Giorgia Meloni. Sempre vicino al sottosegretario Alfredo Mantovano e ai miei colleghi ministri Matteo Piantedosi e Carlo Nordio. Quanto accaduto oggi è sconcertante, ma noi andiamo avanti, a testa alta», ha dichiarato invece in nota Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento. Anche il ministro della Cultura Alessandro Giuli è intervenuto, parlando di «profondo stupore per l'avviso di garanzia notificato oggi al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano. Un provvedimento che solleva molte perplessità, non soltanto per il suo tempismo, ma anche per le implicazioni che ne derivano sul piano istituzionale».

Sandra Zampa (Pd) si sofferma invece sul riferimento di Meloni sulla vicinanza tra Li Gotti e Prodi: «Con le sue parole che tirano in ballo più che a sproposito il presidente Romano Prodi, la premier Meloni conferma due cose: di non conoscere l'ABC del rispetto istituzionale e di avere evidentemente maturato una strana ossessione nei confronti di Prodi. Bastano due dati a smentirla: la carriera politica di Li Gotti è cominciata con il Movimento sociale italiano ed è proseguita in Alleanza nazionale. Li Gotti ha certamente frequentato per un tempo assai più lungo ambienti vicini a Meloni che al centrosinistra. Ha poi aderito a Italia dei valori e dal segretario di quel partito è stato indicato come sottosegretario del secondo governo Prodi. Ma tra Li Gotti e Prodi non vi è stata nessuna amicizia o conoscenza particolare, tanto è vero che non hanno più avuto rapporti dal 2008. Anche stavolta Meloni, con le sue ossessioni, ha sbagliato bersaglio».

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