L’attivismo del vicepremier ha infastidito Tajani. La premier non ha reagito, ma l’imperativo è vedere Trump entro marzo, prima dei dazi. Impedendo le interferenze del segretario leghista
Nonostante il mandato sia quello del silenzio, la tensione corre tra le file del governo e a scatenarla è l’attivismo del vicepremier Matteo Salvini. Incurante dei rapporti di buon vicinato con l’omologo e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e soprattutto della primazia di palazzo Chigi nei rapporti diplomatici, il leader della Lega sta sgomitando in maniera sempre più vistosa.
L’ingerenza ha un obiettivo: superare a destra Giorgia Meloni nei rapporti con Washington e fare leva sul favore di Elon Musk (tramite il suo referente italiano Andrea Stroppa) per ottenere la stessa spinta già offerta all’ultra destra tedesca di Afd.
Nel finesettimana le schermaglie con Forza Italia si sono alzate di tono, dopo la telefonata tra Salvini e il vicepresidente americano JD Vance con tanto di invito in Italia per le Olimpiadi di Milano-Cortina. Eppure, nonostante gli azzurri raccontino di essersi fatti sentire con Meloni e di aver chiesto di mettere un freno alle intemerate del collega, per ora la premier ha ordinato la calma.
Secondo la ricostruzione di Fratelli d’Italia, infatti, il tempo massimo consentito a Salvini è il 6 aprile, data del congresso leghista. Fino a quel momento, il ministro dei Trasporti la farebbe franca perché la premier preferisce saperlo al suo posto alla guida della Lega piuttosto che immaginare tumulti interni al partito con il rischio che diventi instabile anche dentro la coalizione di governo.
La corsa agli Usa
Uno solo è il passo falso inaccettabile: una sortita a Washington prima di quella di Giorgia Meloni, che anche da Bruxelles ha confermato di essere alla ricerca di una data utile per incontrare Donald Trump entro marzo. Il tempo stringe e la partita è delicata: se nulla cambia, il 2 aprile dovrebbero entrare in vigore i dazi contro l’Unione europea già annunciati dal presidente e allora sì la premier dovrà decidere se «stare con l’Europa», come la hanno incalzata a fare le opposizioni, mettendo fine all’equilibrismo di questi mesi.
In quest’ottica qualsiasi interferenza salviniana non sarebbe tollerata da palazzo Chigi, che già ha alzato il livello di attenzione dopo la telefonata con Vance. Eppure, Salvini appare sempre più deciso a sfidare Meloni nella corsa, per prendersi un ruolo di peso a livello internazionale nonostante le sue deleghe di governo non lo prevedano.
A mettere in chiaro le ambizioni salviniane, del resto, è stato il sottosegretario Claudio Durigon, tra i leghisti più vicini al leader, in una intervista: «Ovvio che Meloni è sicuramente la persona più giusta per parlare con Trump. Ma stare al governo è un gioco di squadra, i rapporti della Lega, di Salvini, con Washington possono essere utili per l’Italia».
Dopo aver mandato in fibrillazione le linee di comunicazione interne al governo, il gioco di Salvini ora è di raffreddarle. «Splendidi rapporti con Tajani», ha detto, mentre il collega ha negato contatti telefonici e, pur allontanando ipotesi di crisi di governo, a commentato lapidario che «siamo forze politiche diverse».
A preoccupare oggi Meloni sono gli effetti che l’attivismo di Salvini può provocare sulla sua strategia. Giovedì lei sarà alla riunione dei “volenterosi” per l’Ucraina convocata a Parigi da Emmanuel Macron, dove dovrà stare attenta a non incrinare i suoi rapporti con Washington pur senza inimicarsi un pezzo d’Europa. Difficile, quando un proprio alleato soffia sul fuoco contro Ursula von der Leyen.
Poi toccherà al progressivo ed evidente deterioramento dei rapporti nella sua maggioranza intorno alle questioni di politica estera, dal riarmo ai dazi. I suoi le suggerirebbero reazioni dure, il rischio però è che il precario equilibrio su cui si regge il governo si spezzi.
© Riproduzione riservata