La premier deve fare i conti con promesse impossibili da mantenere. Salvini va all’attacco per prendersi i voti delle categorie tradite
I trattori hanno arato per primi il campo del dissenso, su cui adesso iniziano a fiorire gli ombrelloni degli stabilimenti. È un momento complicato per il governo Meloni, che dopo gli anni delle promesse per ingraziarsi interi comparti, assapora il malcontento di quelle stesse lobby: agricoltori, balneari, tassisti, ambulanti e, in parte, gli ex forestali che dopo la riforma Madia erano stati blanditi a lungo da Fratelli d’Italia e ora sono ringalluzziti dalla riapertura del caso grazie all’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Battaglia leghista
Insomma, le stesse categorie amiche che hanno spinto il consenso verso l’alto, iniziano a sentirsi tradite dal mancato rispetto degli impegni. E possono rappresentare una spada di Damocle in vista delle europee. Un bel rebus con un grattacapo politico aggiuntivo per la premier: la guerriglia continua del suo alleato, Matteo Salvini, pronto a cavalcare l’onda dei malumori dei vari settori.
L’obiettivo è chiaro: spingerli tra le braccia della Lega alle prossime elezioni, lasciando comunque i voti nell’alveo della coalizione ma sottraendoli a Fratelli d’Italia. La spia di questa strategia si è accesa con una dichiarazione scritta sui social: «Chi sceglie Lega, sceglie più Italia e meno Europa». E nell’immaginario la direttiva Bolkestein è la quintessenza delle imposizioni di Bruxelles, soprattutto nella narrazione del vetero-populismo salviniano.
Il ministro delle Infrastrutture ha annusato che il vento stra cambiando tra le lobby finora schierate con i meloniani. La premier non può traccheggiare ulteriormente, deve prendere una posizione per rispondere all’Unione europea. Assumendosi la responsabilità di aprire la faglia definitiva con i sostenitori di un tempo.
Ombrelloni roventi
L’ultimo atto è arrivato con la mobilitazione annunciata dai balneari: hanno compreso che dietro l’immobilismo si cela un tatticismo da parte dell’esecutivo, con il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto, che prova a barcamenarsi tra le diverse esigenze. Finendo per scontentare tutti.
Le sigle sindacali dei balneari hanno messo nero su bianco l’atto d’accusa a palazzo Chigi. «L’inerzia del governo e del parlamento rischia di distruggere un importante settore economico perfettamente efficiente e di successo», hanno scritto in una lettera, rivolta a Meloni, Antonio Capacchione della Sib-Confcommercio e Maurizio Rustignoli della Fiba-Confesercenti, sigle storicamente schierate a destra.
Come se non bastasse il dossier è nelle mani di Fitto, che per i concessionari degli stabilimenti è un nemico. In più di una circostanza ha lasciato intendere la preferenza per una soluzione che accontenti maggiormente l’Unione europea con le gare per assegnare le concessioni. L’obiettivo della lobby sarebbe quello di affidare ad altri profili, più vicini, la gestione della vicenda.
Un assist imperdibile per Salvini, allineato sulla posizione «dobbiamo garantire il lavoro e le imprese». Un mantra ripetuto in più occasioni, a dispetto di qualsiasi richiesta europea. Lo stesso trend potrebbe riguardare gli ambulanti, che pure sono stati abbastanza tutelati dal disegno di legge sulla Concorrenza, attirando l’attenzione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha segnalato la necessità di fare delle modifiche migliorative.
Taxi in attesa
E se già questi fronti sono aperti, ce n’è un altro che è in fase di surriscaldamento: quello dei tassisti. I problemi per gli utenti sono all’ordine del giorno. La domanda, soprattutto nelle grandi città e nelle ore di punta, è spesso superiore all’offerta, determinando un’oggettiva criticità. Il governo è intervenuto alla fine dello scorso anno con il decreto Asset.
Una soluzione alquanto soft che ha previsto l’introduzione delle licenze temporanee, indipendentemente dall’attivazione al livello comunale, e dalla facilitazione della cosiddetta doppia guida. E l’aggiunta di altre responsabilità assegnate ai sindaci sulla garanzia del servizio.
Nonostante la riforma tutt’altro che dirompente, le auto bianche hanno protestato contro il governo. Per anni sono state sostenute dalla destra all’urlo di «nessuno tocchi i taxi», salvo poi trovarsi a fare i conti con un esecutivo, a trazione Fratelli d’Italia, che ha modificato la normativa sulle licenze. Alla Camera, durante il question time del mercoledì, Salvini ha colto l’occasione per parlare del tema dopo l’interrogazione ad hoc presentata da Azione, prendendo tempo.
«L’istituzione del registro è un punto di partenza imprescindibile per chiarirci definitivamente sui numeri delle licenze e autorizzazioni attive, che ad oggi non sono oggettivamente riscontrabili», ha detto il vicepremier, sostenendo che «solo dando delle certezze, aprendo il mercato e garantendo gli attuali lavoratori, i comuni potranno verificare l’offerta dei servizi pubblici non di linea realmente operanti sul territorio». Un esercizio di equilibrismo per ergersi a tutela dei tassisti e scaricare altrove eventuali responsabilità, in particolare al collega Adolfo Urso, ministro delle Imprese, che gestisce il dossier. Guardacaso figura di spicco del partito di Meloni.
Ma sullo sfondo resta l’agitazione degli agricoltori, che nelle scorse settimane hanno protestato nelle città italiane per chiedere più garanzie al loro settore. L’attenzione mediatica è calata, grazie anche a una strategia all’insegna del “troncare e sopire” seguita dall’esecutivo. Con qualche sgravio fiscale in più è stato spaccato il fronte dei trattori.
Ma in molte località l’agitazione prosegue, sotto traccia, nell’attesa di far scoccare di nuovo la scintilla per incendiare il fuoco della protesta. La Lega, per questo, accarezza l’ambizione di alzare la posta in palio. E promettere di più.
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