- Tra cabina di regia e cdm, la premier ha tenuto un vertice con i suoi fedelissimi sulle riforme costituzionali.
- Cosciente che ogni volta che si tocca la Costituzione si rischia di bruciarsi, la ministra Casellati sarebbe intenzionata a produrre un riforma definita «leggera», con modifiche a pochi e mirati articoli.
- Intanto però è scoppiato lo scontro tra governo e Corte dei conti sul controllo contabile dei fondi europei
Nella concitazione della giornata, stretta tra la cabina di regia sul Pnrr e il consiglio dei ministri, il vertice sulle riforme istituzionali si è trasformato in una riunione quasi carbonara e tutta interna a Fratelli d’Italia. Mentre era in corso la conferenza stampa del ministro Raffaele Fitto sulla relazione semestrale per il Pnrr e alla Camera veniva depositato l’emendamento esplosivo per limitare i poteri di controllo concorrente sui fondi europei della Corte dei conti, Meloni era già concentrata su un altro tavolo.
Nell’ufficio della presidente del Consiglio a palazzo Chigi, infatti, erano presenti i due capigruppo al Camera e Senato, Tommaso Foti e Lucio Malan, oltre al vice presidente della Camera, Fabio Rampelli, per discutere della riforma costituzionale del presidenzialismo, a cui la premier intende dare finalmente il via, rompendo indugi e tentennamenti formali. Meloni avrebbe imbastito la roadmap, fissato qualche paletto su cui indirizzare la riforma cosiddetta del presidenzialismo che però presidenzialismo più non è ma è diventato premierato, e chiesto risolutezza e attenzione ai suoi presidenti dei gruppi.
Tuttavia, il contenuto esatto è rimasto sotto silenzio e fino all’ultimo sono stati incerti anche i partecipanti alla riunione. Ogni passo è delicato e i soggetti interessati sono molteplici, a partire dalla ministra che è formalmente intestataria del capitolo riforme: Elisabetta Casellati. Il rischio, infatti, è che anche nella maggioranza la convergenza sia ancora troppo generica sulle effettive modifiche costituzionali da mettere in campo.
La posizione di Casellati
A riprova che ci sia fermento intorno alla questione riforme, però, è il fatto che un altro incontro si sia svolto nei giorni scorsi sullo stesso tema e con protagonista proprio la ministra per le Riforme. Casellati, infatti, ha incontrato il gruppo di senatori di Forza Italia per «fare il punto sulle riforme istituzionali», confermando che il disegno di legge a cui è al lavoro il suo ministero arriverà «entro l’estate» e ha ribadito i due punti chiave di quello che considera un suo dossier: «Stabilità al governo e coinvolgimento diretto dei cittadini».
L’ex presidente del Senato ha potuto portare ai suoi anche gli esiti positivi dell’incontro avuto insieme a Meloni e agli altri ministri con i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Confsal, durante il quale le parti sociali sono state coinvolte anche nel progetto di riforma costituzionale. Del resto, la ministra è decisa a seguire quello che tra i suoi è stato ribattezzato “metodo Casellati”: passo lento e condivisione della riforma con tutte le forze politiche, i costituzionalisti già riuniti per un primo brainstorming, parti sociali e regioni. Quanto al metodo, cosciente che ogni volta che si tocca la Costituzione si rischia di bruciarsi, la ministra sarebbe intenzionata a produrre un riforma definita «leggera», con modifiche a pochi e mirati articoli.
Del resto, la riforma costituzionale va a tutti gli effetti annoverata nella lista dei dossier esplosivi che però il governo intende affrontare di petto, forte di questo momento favorevole: speculare a quella dell’autonomia differenziata («su cui i sindacati hanno fatto muro», spiega una fonte di governo) e in parallelo con i nodi europei del Pnrr e del Mes. Proprio quest’ultimo rimane un tasto dolente, che l’esecutivo avrebbe preferito affrontare in separata sede ma l’iniziativa di calendarizzazione delle opposizioni ha portato in calendario alla Camera per il 30 giugno. Ora la maggioranza ha il problema di gestirlo e soprattutto di decidere il da farsi: votare no equivale a uno schiaffo a Bruxelles che, con la delicata partita del Pnrr, è complicato permettersi; approvare il Mes però significa disattendere quanto urlato in campagna elettorale.
Se la Lega si è già espressa ancora contro la ratifica, è stato il vicepremier Antonio Tajani a farsi portavoce delle colombe: «il dibattito è aperto, io sono sempre stato favorevole all'utilizzo del Mes», ha detto ricordando il disallineamento di Forza Italia rispetto a Lega e FdI, «la maggioranza voterà unita ma io ritengo che si debba fare ogni sforzo per far sì che il Mes non sia una questione isolata ma che sia parte di un pacchetto più ampio». Complici le leggere aperture delle scorse settimane anche del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e anche del capogruppo di FdI Foti, che ha concesso un «affronteremo il tem», lo spazio per un avvicinamento soft alla ratifica del Mes si sta aprendo.
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