La premier prova a calmare la rabbia degli agricoltori diminuendo l’Irpef. I soldi del Pnrr per il settore ci sarebbero. Ma il governo non sa spenderli
Ora dopo ora la strategia prende forma, almeno sulla carta: il governo va avanti con le promesse di “pagherò” agli agricoltori, parlando di vecchi stanziamenti, finora insufficienti, e guardando al futuro con il moloch delle risorse del Pnrr. Che non vengono spese, per problemi oggettivi nella capacità di impiego dei fondi del Recovery, e comunque non sarebbero orientati a dare un po’ di fiato nell’immediato. A conti fatti, dunque, non sono arrivate le risposte chieste dal movimento dei trattori, al netto dell’esenzione sull’Irpef agricola ormai già messa in conto, seppure solo per i redditi più bassi.
Solite risorse
Gli agricoltori, però, non chiedono impegni futuribili, ma un’azione concreta fin nell’immediato. Così Giorgia Meloni ha girato intorno alla vicenda, rimestando nell’esistente. «Per il 2024 sono disponibili 80 milioni di euro per le operazioni di credito agrario», ha detto la presidente del Consiglio alle associazioni degli agricoltori ricevute nella giornata di ieri a Palazzo Chigi, rivendicando di aver «stanziato 300 milioni di euro per il prossimo triennio per far fronte alle emergenze in agricoltura. Le prime filiere oggetto di un intervento da 30 milioni di euro saranno pere, kiwi e vite colpite da peronospora».
Un elenco snocciolato a mo' di propaganda davanti a un pubblico amico. Di fronte non c’erano infatti gli imprenditori agricoli scesi in piazza negli ultimi giorni, ma le sigle ufficiali. Nessun riferimento agli altri interventi del governo che hanno danneggiato il comparto agricolo, come la cancellazione delle agevolazioni agli imprenditori under 40 che hanno deciso di avviare una nuova attività. Oppure il balzello indiretto dell'assicurazione contro le calamità: prima le casse pubbliche coprivano fino al 70 per cento, con l'intervento dell'esecutivo di destra la quota scende al 40 per cento. Un colpo per le aziende.
Piano senza spesa
Per quanto riguarda il futuro la presidente del Consiglio ha spiegato: «Il governo intende agevolare il rapporto tra impresa agricole e banche potenziando il fondo di garanzia dell’Ismea per consentire alle imprese agricole non solo di accedere al credito bancario, ma anche di ottenere riduzione dei tassi di interesse per effetto della garanzia Stato». Il remake meloniano di quanto era stato fatto qualche giorno fa: la premier ha venduto come una novità l’incremento dei fondi all’agricoltura previsti nel Pnrr, che però era già fatta da tempo.
Certo, la modifica c’è stata, con un aumento della dotazione da 5 a 8 miliardi di euro, come riferito dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. Ma non basta per varie ragioni. In primis per la capacità di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che resta un punto interrogativo. Da Palazzo Chigi si attende ancora la relazione sullo stato d’attuazione che fa capo al dipartimento di Raffaele Fitto. Il documento era atteso a fine dicembre, poi è slittato a fine gennaio. Sono passati altri giorni, vanamente. La promessa è che arriverà entro febbraio, perché sarebbe sostanzialmente pronto.
Insomma, il parlamento attende novità per conoscere lo stato di attuazione effettiva. Così l’unica vera testimonianza sulla capacità di impiegare, concretamente, le risorse è fornita dall’ufficio parlamentare di bilancio (upb): nell’ultimo dossier disponibile, risalente al 26 novembre, che evidenziava una frenata della spesa nel 2023. Solo il 7,4 per cento, stando ai dati della piattaforma Regis (che registra tutte le operazioni), era stato speso. Un dato parziale, certo. Ma che conferma la preoccupazione sugli effetti concreti del Pnrr e sulla difficoltà ad allocare le risorse. Fitto si era affannato a derubricare i numeri dell'upb, chiedendo di fare affidamento solo ai dossier pubblicati da Palazzo Chigi.
Soldi ai big
E se gli affanni sulla capacità di spesa solleva preoccupazioni, c’è un ulteriore elemento che allarma gli agricoltori: gli 8 miliardi di euro messi sul settore andranno a finanziare le filiere con una serie di bandi e di progetti. E alla fine le risorse del Piano andranno ad avvantaggiare le medie e grandi imprese, lasciando le briciole ai più piccoli. Quelli che appunto lamentano le mancanze del governo.
«Al posto di perdere tempo con iniziative come il “maestro dell’arte della cucina italiana” e il riconoscimento dell’agricoltore custode dell’ambiente, approvati alla Camera nelle ultime settimane, il governo pensi a intervenire sul meccanismo della formazione dei prezzi», spiega a Domani Alessandro Caramiello, capogruppo del Movimento 5 stelle in commissione Agricoltura alla a Montecitorio. Una soluzione, aggiunge il parlamentare del M5s, è quella di «migliorare il meccanismo gestito oggi dall’Ismea».
Intanto, sempre sul Pnrr si addensano altre incognite in questo inizio anno. Al vaglio del governo c’è la preparazione di un decreto Pnrr quater, l’ennesimo provvedimento per favorire l'avanzamento del Piano. Il testo doveva vedere la luce già a gennaio.
Ma a ogni Consiglio dei ministri è sparito dall’agenda con uno slittamento continuo che lascia intendere più di qualche problema sulla stesura. «Il testo è in fase di elaborazione», si è limitato a dire il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo un question time al Senato. Il decreto, tuttavia, non dovrebbe contenere l’individuazione delle risorse, 10 miliardi di euro, da destinare ai Comuni per la realizzazione dei Piani urbani integrati, stralciati dal Pnrr con la promessa di attingere ad altri plafond.
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