- Le opposizioni non si sono coordinate. Anzi Conte per primo sente l’urgenza di mettere un dito nell’occhio alla segretaria Pd, a cui la «commissione» proposta dall’ex premier non piace.
- Altro che barricadero, il leader Cinque stelle ha fatto un’altra capriola e ha ripreso una «postura istituzionale».
- Anche Carlo Calenda ai cronisti ammette che sarebbe meglio trovare uno straccio di coordinamento delle opposizioni: «Abbiamo necessità di parlarci, la forma è abbastanza irrilevante».
Il primo a servire sul piatto il menu che Giorgia Meloni si sta già pregustando, quello delle opposizioni divise e inconcludenti, è Giuseppe Conte. Quando fa il suo ingresso alla sala della Regina della Camera, dove lo aspettano i cronisti per sapere cosa si è detto con lo squadrone di governo capitanato dalla premier, nel primo confronto sulle riforme, il presidente del M5s assume un’aria istituzionale e collaborativa: certo, spiega affabilmente, il movimento è contro l’elezione diretta di qualsiasi presidente, della Repubblica o del consiglio, ma è pronto a dialogare.
Poi sgancia un colpo. E non è contro la premier: «Ci siamo dichiarati disponibili, per quanto riguarda il metodo, a un dialogo in una commissione parlamentare costituita ad hoc». Di più: «Raccomandiamo questo percorso: le commissioni per gli Affari costituzionali sono già oberate da tantissimo lavoro, quindi se si vuole procedere a discutere di questi temi garantendo alle opposizioni la possibilità di interloquire è assolutamente raccomandabile costituire una commissione».
Per Elly Schlein dovrebbe essere un colpo basso. Ma se lo aspettava. E al Tg3 minimizza: «Lo strumento del confronto saranno loro a stabilirlo, l’iniziativa è loro. A noi più che lo strumento interessa la qualità del confronto».
Nessun fallo di reazione, dunque. Anche se in realtà il giorno prima, alla riunione di segreteria, quasi tutti gli intervenuti hanno indicato come luogo di discussione «il parlamento». «La strada dell’art.138 è l’unica», ha concordato la maggior parte degli interventi, «specie a fronte di Meloni che ribadisce chiaro e tondo che per la maggioranza c’è solo l’elezione diretta del Presidente della Repubblica o del premier».
E che non ci sia intenzione di abbandonare il progetto del voto diretto, per la maggioranza, è vero: nel pomeriggio tutte le delegazioni ricevute alla biblioteca del presidente della Camera racconteranno che Meloni ripete a loop «noi abbiamo preso questo impegno con gli elettori». Tanto che quando tocca a +Europa, Riccardo Magi chiede: «Ma quale impegno?». Risponde la ministra Casellati: «Ma l’elezione diretta!». «Ma elezione diretta di cosa?». La risposta è sconfortante: «Di cosa poi si vedrà».
Tutti tranne Renzi
Basterebbe questo a unire le opposizioni per mettere in difficoltà la maggioranza. Anche perché poco prima il capogruppo della Lega alla Camera Riccardo Molinari, su La7 ha avvertito: «Nel programma del centrodestra c’era l’elezione diretta del presidente della Repubblica, quello è l’accordo che c’è. Se la premier Meloni vuol proporre altro», ovvero l’elezione del premier, «la Lega chiede garanzie per il ruolo del parlamento».
Ma le opposizioni non si sono coordinate. Anzi Conte per primo sente l’urgenza di mettere un dito nell’occhio alla segretaria Pd, a cui la «commissione» non piace. Per farlo, ha chiesto a Giorgia Meloni la cortesia di essere incontrato per primo, spiegando di avere degli impegni nel pomeriggio. Cortesia accordata. Dunque Conte parla per primo. E propone la commissione.
Per paradosso, c’è un pezzo del Pd che è d’accordo con lui, e che resta sorpreso per la furbizia della mossa. Altro che barricadero, il leader Cinque stelle ha fatto un’altra capriola e ha ripreso una «postura istituzionale», sono i commenti che circolano nelle chat dei democratici, che temono che la segretaria “movimentista” invece chiuda subito il dialogo con la maggioranza. I componenti della segreteria sono legati all’impegno che a parlare, in serata, sarà solo Schlein.
Ma martedì su Avvenire il costituzionalista Stefano Ceccanti si era incaricato di fare la proposta che piace di più all’ala riformista del Pd: serve dice, «una commissione parlamentare bicamerale, con compiti referenti, costruita sulla base della sola parte proporzionale dei risultati elettorali di Camera e Senato. E affiancata da un comitato di studiosi». Assomiglia alla proposta che fa Magi alla premier: «Un’assemblea ad hoc da eleggere contestualmente alle elezioni europee con sistema proporzionale puro».
Lo stesso Magi la mattina ha fatto un giro di telefonate ai leader della minoranza per proporre un minimo di coordinamento. Perché «quello che ci unisce in realtà è molto più di quello che ci divide», si è sgolato al cellulare: quasi tutte le opposizioni sono per il cancellierato (più poteri al premier ma senza toccare quelli del presidente della Repubblica) e contro l’elezione diretta. Tranne Italia viva, che è per «l’elezione del sindaco d’Italia», formula vaga che piace molto a Matteo Renzi.
Ma anche Carlo Calenda ai cronisti ammette che sarebbe meglio trovare uno straccio di coordinamento delle opposizioni: «Abbiamo necessità di parlarci, la forma è abbastanza irrilevante, ma se si parla di riforme, così come ci siamo confrontati con la maggioranza, ci si confronta con le altre opposizioni. Mi sembra logico normale e giusto».
Logico, normale, giusto: ma non è successo, almeno fin qui. Anzi poco dopo Maria Elena Boschi lo smentisce, lasciando già intravedere che i renziani giocano un’altra partita, tutta rivolta alla premier: «La proposta di Calenda impegna Azione. Noi di Italia viva riteniamo che non ci sia la necessità di un coordinamento con le opposizioni, tantomeno con i Cinque stelle».
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