In piazza con i lavoratori del trasporto locale in sciopero, uno sciopero da venerdì nero che fa impazzire le città: se in questi mesi il ritardo dei treni è diventato la norma, ieri invece in mezza Italia erano le stazioni a essere irraggiungibili. Elly Schlein si materializza a Porta Pia davanti al ministero dei Trasporti, a Roma. Si tuffa fra gli scioperanti che bloccano il traffico contro «i tagli di questo governo». Una decisione repentina, quella della segretaria, comunicata di mattina presto ai sindacati che avevano organizzato il presidio, e subito dopo ai cronisti.

Da lì alza i decibel contro la premier Meloni che giovedì, a Un giorno da pecora su Radio 1, ha mandato un messaggino «leggero» – ognuno ha i suoi gusti – a proposito della sua salute: «Sto male, ma non avendo particolari diritti sindacali sono a Budapest per il Consiglio europeo a fare il mio lavoro». A stretto giro la segretaria Pd aveva replicato che, in vista dello sciopero generale del 29 novembre, il governo fomenta «un clima di scontro e di delegittimazione delle organizzazioni sindacali», «del tutto inaccettabile», «un’arroganza e una protervia senza fine».

Caviale e olio di ricino

Ieri mattina, da Budapest, Meloni aggiunge il carico da novanta: polemica «completamente inutile», quella di Schlein, «non so cosa si intenda per svilire i diritti sindacali che questo governo difende molto meglio della sinistra al caviale».

È qui che Schlein decide un’ulteriore controreplica, e decide di pronunciarla in mezzo ai lavoratori: «Io di caviale non ne ho mai mangiato, ma nemmeno posso sopportare che i lavoratori vengano purgati con olio di ricino; quindi continueremo a stare al loro fianco. Meloni si occupi, invece, del salario minimo che ha negato a 3 milioni e mezzo di lavoratori e lavoratrici». Anche Landini sbotta: quello della premier è «un atto di bullismo», quella frase sui diritti sindacali «messa in questi termini è un attacco a chi quei diritti ogni giorno li vede messi in discussione».

Tutti trumpizzati

Siamo già all’effetto Trump nella politica italiana? Sembra. Meloni, galvanizzata dal successo dell’amico americano, fa la gradassa contro avversari e lavoratori. La leader dell’opposizione restituisce pan per focaccia. Al Nazareno hanno chiaro che il terremoto politico che irradia dagli Stati uniti «dà una scossa» all’Europa e alla sinistra europea. I democratici Usa hanno perso nei tradizionali serbatoi di voti della sinistra. I democratici europei boccheggiano. Anche quelli italiani: è chiaro che la campana suona anche per loro. Schlein dunque si rafforza nella certezza, che ha dall’inizio del suo mandato, che il Pd deve stare «tra la gente». È fra i lavoratori e nel ceto medio impoverito che deve provare a contendere il consenso a Meloni.

C’è una partita da giocare anche nel centrosinistra. Giuseppe Conte, ieri, non pervenuto: in genere quando la Cgil si muove, lui si fa trovare sul posto: e convoca fotografi per farsi immortalare sotto braccio a Landini. Ieri a Porta Pia Landini c’era, con Pierpaolo Bombardieri, segretario della Uil, che con la Cgil ha convocato lo sciopero generale. In realtà in piazza c’erano tutti i sindacati dei trasporti: Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti, Faisa Cisal e Uil Autoferro. Conte ha marcato visita: anche lui aveva l’influenza. Ma, a parte qualche provvidenziale linea di febbre, la verità è che i Cinque stelle credono che la vittoria di Trump sia una manna dal cielo: l’hanno definita una «lezione per i finti progressisti», leggasi per il Pd. Ora dunque l’ex premier può provare a riprendere l’onda populista, quella del “Giuseppi” dei tempi gialloverdi.

Non è un caso che nel movimento ora squillano solo le trombe contrarie all’alleanza con il Pd. Come l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino. Lei, fra Grillo e Conte, ha scelto Conte, ma non i dem: «Se vogliamo uscire dalla crisi di consensi e di identità che stiamo attraversando, non possiamo pensare al “campo largo”, al “campo santo”, a Renzi e a Schlein. Dobbiamo guardare prima a noi stessi e correre da soli, rimboccandoci le maniche e parlando ai cittadini che non votano, senza tatticismi», dichiara a Radio Radicale.

Riecco la polarizzazione

Dal canto suo, la segretaria Pd ha deciso che di alleanze meno si parla, meglio è. E non solo fino al voto di Umbria e Emilia-Romagna, il prossimo 17 e 18 novembre per il quale è a lavoro pancia sotto: oggi ha in agenda due tappe in Emilia-Romagna, domani sette in Umbria. Di alleanza meglio non parlare fino a ordine contrario.

Per lei è senz’altro un problema un Conte che riesuma i toni dell’epoca in cui non era «né di destra né di sinistra». Ma è un problema tra i tanti, neanche il più grave. La galvanizzazione trumpista delle destre europee annunciano tempi difficili. Qui e oggi, e in prospettiva: la corsa alle politiche, quando sarà, avverrà in piena presidenza Trump. Quanto sarà difficile sfidare Meloni, l’amicona italiana del tycoon e di Elon Musk, per lei che con il presidente Usa non ha alcun rapporto?

C’è dell’altro. La «scossa» d’oltreoceano ha imposto un’improvvisa nuova polarizzazione del dibattito. Schlein e Meloni ne traggono vantaggio mediatico e comunicativo sugli altri leader delle rispettive coalizioni. Lo schema è quello delle scorse europee, con ottimi risultati per entrambe. Per questo ieri si sono scientemente e ripetutamente sfidate.

Ma la lezione americana ormai dimostra che, alla fine, la polarizzazione premia di più la destra. Ne ha già fatto le spese Enrico Letta alle politiche del 2022. Fra i democratici Usa, dalle prime ore dopo la sconfitta, è iniziato il casting per i nuovi volti “centristi”, visto che la radical Harris ha perso fra i liberal moderati e anche nelle aree tradizionalmente orientate a sinistra. In Italia, in questi giorni prima delle regionali, nessuno sarà così disgraziato da proporre questo tipo di riflessione nel centrosinistra. Ma presto o tardi qualcuno lo farà: dirà che Schlein rischia di essere, nei fatti, la Kamala italiana: una candidata troppo radicale per guidare tutto lo schieramento alla vittoria.

© Riproduzione riservata