Giorgia Meloni torna all’attacco contro la vicenda dei conti bancari spiati, proprio mentre è scoppiato il caso del furto dei dati nell’inchiesta di Milano. Che però rischia di creare problema a destra, dalla Lega a Fratelli d’Italia: l’amministratore delegato della fondazione Fiera di Milano, Enrico Pazzali, è un uomo di fiducia della destra, molto vicino al presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, e considerato vicino anche al presidente del Senato, Ignazio La Russa, che però risulta tra le persone su cui è stato elaborato un report.

«Perfino immaginato da più parti come un possibile candidato sindaco alle prossime elezioni comunali milanesi», ricorda l’eurodeputato del Pd, Pierfrancesco Majorino, che ben conosce le dinamiche milanesi e lombarde.

La versione di Meloni

«Il dossieraggio su di me è cominciato già alla fine del governo Draghi quando si capiva che sarei potuta andare al governo», dice la presidente del Consiglio nell’intervista per il nuovo libro di Bruno Vespa. 

Meloni perciò chiede massima chiarezza sulla vicenda: «Sulla vicenda dei dossieraggi mi aspetto che la magistratura vada fino in fondo, perché, nella migliore delle ipotesi, alla base di questo lavoro c'era un sistema di ricatto ed estorsione, ma nella peggiore siamo davanti al reato di eversione. Nessuno Stato di diritto può tollerare una cosa del genere».

Sui conti spiati dal bancario di Bitonto, svelati da Domani, la premier incalza: «Mia sorella Arianna è la persona che il bancario di Bari ha spiato più di tutte… Quando è uscita questa notizia, mia sorella mi ha mandato la foto dell'estratto del suo conto in banca. C'erano 2100 euro». E rivendica: «Non abbiamo scheletri nell’armadio».

Gli hacker imbarazzano la destra

Ma l’inchiesta di Milano, che ha raccontato l’operato della società Equalize, capace di bucare tutti i sistemi di sicurezza pubblica, rischia di smontare la narrazione della destra perseguitata. 

«È inquietante che uomo di punta della destra lombarda (Pazzali, ndr) sia finito in questa vicenda tanto torbida e non può essere minimizzato dallo stesso presidente Fontana», ha attaccato Majorino del Pd. Da qui l’affondo che ribalta la narrazione meloniana: «La lotta nel fango nella destra che emerge dalla lettura delle intercettazioni è qualcosa di gravissimo che colpisce l'autorevolezza delle istituzioni».

Calenda “chiama” il Viminale

Tra i leader nazionali, il primo a prendere posizione è stato Carlo Calenda, che ha denunciato la pericolosità della vicenda: «È gravissimo quanto sta emergendo nell’inchiesta di Milano. Il fatto che si cercassero dossier per colpire la candidatura di Letizia Moratti dimostra che oggi anche i processi democratici sono esposti ad attacchi da parte di società specializzate in raccolta di informazioni». 

Da qui l’appello al governo e in particolare al Viminale: «Occorre un’azione preventiva del Ministero dell’Interno su tutte le società che operano nel settore».  

© Riproduzione riservata