La Lega teme che, dopo Solinas, anche la presidente uscente Tesei non possa correre. FdI rivendica i sondaggi. La vecchia guardia non approva la scelta di Paola Agabiti
Per lungo tempo lo slogan pubblicitario per attirare il turismo in Umbria è stato «Il cuore verde dell’Italia». Ora, quel cuore rischia di diventare nero: nel grande schema delle alleanze del centrodestra alle prossime regionali può infatti rientrare anche la trattativa sulle elezioni umbre, anche se l’appuntamento è per la fine del 2024, se non addirittura per la primavera del 2025.
Attualmente la regione è in mano alla Lega, ma la situazione rischia di svilupparsi in maniera speculare a quella sarda, dove la barra dritta di Giorgia Meloni ha spaccato il centrodestra: il presidente uscente Christian Solinas farà un passo indietro (è quello che ha lasciato intendere ieri il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, anche se «la questione è ancora aperta») e Fratelli d’Italia otterrà il sostegno unitario della coalizione a Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, lanciato la settimana scorsa.
La destra aveva conquistato l’Umbria per la prima volta nel 2019, a valle di una stagione di scandali e arresti del centrosinistra. L’ipotesi che la maggioranza possa spaccarsi fa nutrire nuova speranza alla sinistra, che, pur indietro nei sondaggi per quanto riguarda i nomi che circolano – il più quotato sarebbe quello della presidente della provincia di Perugia, Stefania Proietti – ha potuto approfittare dei conflitti interni della destra a Spoleto e spera di farlo anche a Città di Castello, dove la giunta è in rotta.
La questione si complica ulteriormente dopo un quinquennio non specchiato della presidente leghista Donatella Tesei, che anche a destra non suscita entusiasmi esagerati, soprattutto per quanto riguarda la gestione della sanità regionale: come attenuanti generiche vengono citati il Covid e il fatto che l’apparato amministrativo è ancora molto permeato dai cinquant’anni di governo della sinistra.
Soprattutto dalle parti di Fratelli d’Italia, però, alla presidente non viene perdonato che non abbia allargato la giunta dopo la vittoria alle politiche del 2022: nel 2019 il partito di Meloni era al 10 per cento, secondo i sondaggi regionali adesso sfiorerebbe il triplo dei consensi.
Ora, però, a pochi mesi dalle elezioni, la compagine di governo regionale potrebbe cambiare: l’assessora alla Cultura e al Turismo, Paola Agabiti, è infatti in odore di passaggio a Fratelli d’Italia. Originariamente eletta come civica, Agabiti – che è sposata con Giammarco Urbani, grande imprenditore nel mercato dei tartufi – è stata in passato sindaca di Scheggino, ed è considerata efficiente e abile conoscitrice dei meccanismi dell’amministrazione regionale. Il suo passaggio viene salutato con favore dal partito. «Porta sicuramente un’expertise che a noi manca. Siamo bravi a fare opposizione, ma ci serve qualcuno che sappia muoversi negli assessorati», spiegano a taccuini chiusi i meloniani umbri. Ma il tempismo appare sospetto: «Certo, non si entra in un partito a pochi mesi dalle elezioni per niente». Come minimo, è il ragionamento, Agabiti punta a un assessorato nella prossima giunta, anche se tanti sospettano che le ambizioni della ternana non si fermino qui.
Agabiti, in effetti, ha un ottimo sponsor a palazzo Chigi: si tratta di Angelo Mellone, fedelissimo di Meloni e direttore del day time della Rai nonché di Umbrialibri, uno dei principali eventi culturali della regione, che gli ha permesso di costruire un solido rapporto con l’assessora. «Una presentazione indubbiamente c’è stata», raccontano dalla destra umbra, anche se la convinzione rimane che per l’elezione di fine anno si privilegino i nomi storici dei Fratelli d’Italia umbri, nonostante tutte le sponsorizzazioni del caso. Anche nel caso in cui FdI e Lega dovessero trovare l’accordo su un nome terzo, difficilmente potrebbe essere quello dell’assessora, espressione dei soli meloniani.
Il domino nazionale
Tutta la destra è però ben consapevole che l’ultima parola sarà pronunciata al tavolo nazionale: gli sconvolgimenti di queste settimane potrebbero produrre strascichi pesanti. O precedenti utili, a seconda dei punti di vista. La Sardegna sta cancellando la regola secondo cui il presidente uscente viene automaticamente ricandidato (a onor del vero era già caduta alle ultime elezioni siciliane, quando Fratelli d’Italia aveva rinunciato a ricandidare Nello Musumeci, per fare spazio a Renato Schifani). Un’eventualità a cui guardano con grande interesse ovviamente i meloniani, anche se il segretario regionale della Lega, Riccardo Marchetti, annuncia che non mollerà così facilmente: «Stiamo tranquilli e proseguiamo per la nostra strada. Ricevo quotidianamente rassicurazioni sulla ricandidatura di Tesei, se qualcuno decidesse di spaccare il centrodestra se ne prenderà la responsabilità».
Ma la scadenza ancora lontana costringe tutti a guardare al domino delle regioni che vanno al voto prima dell’Umbria: se la Sardegna finirà a FdI, Matteo Salvini ha già anticipato di voler mettere le mani sulla Basilicata, dove però Forza Italia – che ha già la sicurezza sulla ricandidatura di Alberto Cirio in Piemonte – non è disposta a rinunciare a Vito Bardi. L’Umbria non è la partita della vita per il segretario leghista, che ha la grossa preoccupazione di non scendere sotto al 10 per cento alle europee, ma se dovesse perdere le altre partite regionali la tolleranza su proposte alternative a Tesei per l’Umbria sarebbe prossima allo zero.
Dalle parti della Lega poi non perdono occasione per segnalare che l’ultima volta che si è deciso di puntare su un nome nuovo invece di rinnovare la fiducia nel candidato uscente le cose non andarono proprio a meraviglia: il riferimento è alle elezioni comunali di Terni, dove FdI impose a una Lega già stanca del suo sindaco uscente, Leonardo Latini, un candidato d’area. L’esito è stato disastroso, con un ballottaggio perso contro Stefano Bandecchi, homo novus populista che ha lanciato il suo vicesindaco anche alle regionali e sta drenando consensi alla Lega. Per il momento le sue possibilità realistiche sono di entrare in Consiglio, forse anche in giunta, se riuscisse a giocarsi bene le sue carte all’indomani del voto.
A misurare lo stato di salute dei partiti di maggioranza oltre alle europee saranno i risultati delle amministrative: a giugno si vota in 62 comuni sui 92 della regione, tra cui città rilevanti come Foligno, Orvieto e anche Perugia. Il sindaco uscente azzurro Andrea Romizi è al secondo mandato e non può ricandidarsi: c’è chi lo dà come ulteriore aspirante candidato del centrodestra, ma da segretario regionale di FI e perugino doc la sua presa sull’elettorato leghista e meloniano, oltre che quella sul territorio ternano viene giudicata minima. Il derby, anche in Umbria, sarà tra Lega e FdI.
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