Sulla Sardegna è il battagliero Andrea Crippa ad annunciare il sostegno della Lega a Paolo Truzzu. Il leader della Lega ha sbagliato tutto, promettendo sostegno al governatore uscente sotto inchiesta da un anno
La resa senza condizioni è stata annunciata dal più battagliero dei leghisti, il vicesegretario Andrea Crippa, che per conto di Matteo Salvini, ha annunciato il sostanziale via libera al sostegno al sindaco di Cagliari, il meloniano di ferro Paolo Truzzu, per le regionali in Sardegna. Alla Camera, nella tarda mattinata di ieri, è arrivata la conferma, di una notizia che già circolava, da parte di Crippa: «Vista l’insistenza di Fratelli d’Italia su Truzzu, credo che alla fine sarà lui il candidato».
Rinuncia fuori tempo
Il leader leghista ha rinunciato alla candidatura del presidente uscente della regione Sardegna, Christian Solinas. Rendendo palese tutta la sua vulnerabilità e sollevando più di qualche dubbio sulla strategia seguita. La leadership di Salvini è ancora più debole: non è stato capace di tutelare il partito da una debacle totale. A vantaggio di Giorgia Meloni. Solinas è stato peraltro mollato nel momento peggiore: poche ore dopo il sequestro cautelare, disposto dalla guardia di finanza, al governatore e altri indagati per un’inchiesta per corruzione. Un disastro di immagine che non c’entra nulla con gli strepiti sulla «giustizia a orologeria». Alla fine è stata una rinuncia fuori tempo.
Perché Solinas era indagato già da febbraio 2023, quasi un anno fa. Eppure Salvini ha tirato dritto, ignorando la spada di Damocle che pendeva sul capo del governatore sardo. Nella Lega i malumori faticano a essere trattenuti. I big leghisti hanno assistito attoniti alle mosse di Salvini, anche se dai conciliaboli durante il consiglio federale di lunedì era emerso l’orientamento a privilegiare «l’unità della coalizione» a discapito di Solinas. Resta incomprensibile, però, la difesa di un profilo già in bilico sotto il punto di vista giudiziario. E così dalla postazione veneta, Luca Zaia, ha gustato l’indiretta vendetta personale dopo il colpo basso di Salvini sul fine vita.
La Lega deve comunque provare a limitare i danni. La missione risulta complicata. Non mancano i malumori nei confronti di Stefano Locatelli, responsabile leghista per gli enti locali e attuale «consigliere per i rapporti con le autonomie» di Salvini a Palazzo Chigi (per una retribuzione di 120mila euro lordi all’anno). La partita, da un punto di vista strategico, era affidata proprio a Locatelli in qualità di rappresentante del dossier per conto del partito. Il suo apporto è stato impercettibile. E infatti gli sarà chiesto conto della gestione avventurosa della trattativa sarda.
Pare perciò una mossa disperata e distruttiva quella di chiedere, come ha fatto Crippa, «uno sforzo» agli alleati, ossia di ricevere una contropartita, che nel caso specifico è la Basilicata. Si rischia solo di alimentare frizioni che dal territorio si riverberano sul governo. Forza Italia ha già attivato la rete di protezione intorno al governatore lucano, Vito Bardi: «Niente passo indietro. Fa solo passi avanti, si tratta di essere realisti. La cosa non è proprio in discussione», ha detto il capogruppo di Fi alla Camera, Paolo Barelli, fedelissimo di Antonio Tajani. Il rischio è quello di candidare un profilo esterno, un civico, che non sarebbe né il presidente uscente di Forza Italia né un leghista. Una guerra tra junior partner della coalizione, che fa già gongolare la premier Meloni. Poco Male. Salvini, ai suoi fedelissimi, ha annunciato «battaglia».
Il richiamo della forestale
Ma dalle parti di Fratelli d’Italia non c’è da stare allegri su tutti i fronti. In Veneto il preferito di Meloni, il senatore Luca De Carlo, ha qualche incoerenza politica nell’armadio, che potrebbe minare il consenso. Ne sanno qualcosa gli ex forestali, che per anni sono stati corteggiati da FdI con De Carlo nel ruolo di primo interlocutore. I suoi canali social sono pieni di post a favore del corpo statale soppresso dalla riforma Madia. E da deputato, nella prima parte della scorsa legislatura, De Carlo - oggi presidente della commissione Industria e agricoltura di Palazzo Madama - era stato firmatario di una proposta di legge per reintrodurre la forestale, seppure sotto forma di «corpo specialistico di polizia ambientale a ordinamento civile».
Una battaglia condotta dagli scranni dell’opposizione per raggranellare i circa 40mila del bacino degli ex forestali, sotto l'egida di Francesco Lollobrigida, ministro dell'Agricoltura e suo grande sponsor. I forestali oggi si sentono traditi, come racconta a Domani l’ex sovrintendente capo della Forestale, Enzo Di Cintio, oggi uno dei rappresentanti della Federazione rinascita forestale e ambientale (Ferfa): «Fratelli d’Italia, nella scorsa legislatura, ci ha chiesto i voti e poi siamo stati abbandonati.
Nel maggio 2023 siamo stati ricevuti proprio da De Carlo. Ci chiese di non parlare più del corpo forestale perché aveva altri impegni e infastidiva le amministrazioni che hanno assorbito il corpo», dice Di Cintio. E in effetti il senatore De Carlo – papabile candidato del centrodestra in Veneto – si è guardato bene dal rilanciare la sua vecchia battaglia. «Non ci aspettavamo questo trattamento, tutti noi ci sentiamo traditi», insiste l’ex sovrintendente della forestale, in pensione da pochi mesi.
E dire che in un intervento in aula, al Senato, De Carlo etichettava come «incoerenti» i rappresentanti del centrosinistra che denunciavano l'aumento degli incendi, dopo aver soppresso la forestale. «Meloni ha catapultato il senatore De Carlo come suo nome in Veneto. Ma si presenta con un biglietto da visita poco edificante: all’opposizione era paladino dei Forestali, appena arrivato al governo se n’è dimenticato», incalza la capogruppo alla Camera di Alleanza verdi-sinistra, Luana Zanella.
Domani ha provato a chiedere a De Carlo quali siano le sue intenzioni sui forestali. Dopo il primo contatto telefonico c’è stato l’invito a una conversazione successiva. De Carlo, nonostante vari solleciti, non ha più risposto. E agli atti resta una constatazione: Fratelli d’Italia non ha dato seguito alla battaglia dei forestali. E, almeno in Veneto, ridà un po’ di ossigeno alla Lega. Ma quella veneta, che fa riferimento a Zaia più che a Salvini.
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