Il paese delle Aquile accoglierà 39mila migranti all’anno che saranno gestiti dall’Italia. A Gjader sorgerà una struttura modello cpr, quello che i sindaci italiani non vogliono
È stato annunciato come un accordo di portata storica. Ma è l’ennesima soluzione emergenziale che il governo guidato da Giorgia Meloni prova a mettere in piedi per gestire i flussi migratori, vista l’ultima estate record di arrivi sulle coste italiane. La presidente del Consiglio ha firmato ieri a Palazzo Chigi con il suo omologo albanese, Edi Rama, un protocollo d’intesa senza precedenti.
Il documento si pone tre obiettivi: contrastare il traffico illegale; prevenire i flussi irregolari e accogliere chi ha diritto alla protezione internazionale. Per fare questo, l’Italia trasporterà i migranti in due centri per i migranti che sorgeranno in Albania e ospiteranno fino a 3mila migranti irregolari, per un totale di 39mila persone l’anno. Con l’intesa, il governo sta provando a far fronte ai “no” ricevuti dai sindaci italiani dopo le ispezioni dei funzionari del Viminale che nelle ultime settimane hanno sondato la fattibilità del piano che prevede la costruzione di un centro per il rimpatrio in ogni regione italiana.
I dettagli dell’accordo
Sarà come avere una Lampedusa ma in territorio albanese, quindi i due centri saranno sotto il controllo delle autorità italiane e nello specifico del ministero dell’Interno. Saranno inviati solo i migranti salvati in mare dalle motovedette italiane (guardia costiera e guardia di finanza) e non potranno essere trasportati coloro che sono già approdati nel nostro territorio. Dall’accordo sono escluse anche le navi delle ong che prestano soccorso in mare, in quanto non sono accettate nelle acque territoriali albanesi.
Il governo, quindi, si prenderà in carico i costi di trasporto e di gestione dei migranti che arriveranno in Albania in attesa di capire se saranno rimpatriati vero i loro paesi di origine (con costi sempre a carico dello stato italiano) oppure se verrà concessa loro la protezione internazionale in Italia. Per completare il piano saranno utilizzati il porto di Shengjin e l’area di Gjader.
A Shengjin, l’Italia si occuperà delle procedure di sbarco e identificazione e realizzerà un centro di prima accoglienza e screening; a Gjader realizzerà una struttura sul modello dei Cpr per le successive procedure. Le operazioni saranno gestite in collaborazione tra le forze di polizia italiane e albanesi.
Modello Sunak
Con il protocollo firmato ieri, la premier Meloni ha di fatto formalizzato gli incontri avuti con il premier britannico Rishi Sunak e il contenuto della lettera scritta insieme pubblicata sul Corriere e il Times. Il governo conservatore ha infatti varato un piano (con un costo complessivo di 120 milioni di sterline) per affidare la gestione dei migranti che arrivano nel Regno Unito al Ruanda. Un piano che si è rivelato un flop totale per il momento, visto che è stato bloccato dalle corti britanniche.
Ciò nonostante, Sunak e la sua ministra dell’Interno Suella Braverman proseguono con il loro piano: a inizio ottobre hanno fatto ricorso contro le decisioni alla Corte Suprema, nel frattempo continua la costruzione dei centri nel paese africano. «L’Intesa con l’Albania rappresenta un nuovo affronto al diritto internazionale e Ue sull’asilo, che sfrutta la fragilità di paesi terzi pronti a scendere a qualsiasi compromesso. La presidente Meloni sta emulando il modello di esternalizzazione inglese, che è però stato bloccato dai tribunali domestici, come in Italia la magistratura ha sbriciolato i recenti emendamenti liberticidi della legge Cutro», dice Giorgia Linardi portavoce di Sea Watch.
Contropartite
Edi Rama è andato oltre a ciò che il presidente autoritario tunisino Kais Saied non ha voluto concedere all’Italia e all’Unione europea: la gestione di una parte dei flussi migratori. Le basi per l’accordo erano state gettate durante la visita di metà agosto di Meloni a Tirana. Da Palazzo Chigi escludono ogni contropartita economica se non le spese di costruzione e di gestione delle strutture che saranno in capo a Roma.
È ancora presto per capire se i servizi d’accoglienza saranno gestiti da aziende private albanesi oppure saranno affidati ad autorità pubbliche. Di sicuro il premier albanese si sta giocando tutte le sue carte per accelerare l’adesione del suo paese nell’Unione europea, dato che per il paese delle Aquile i tempi sono diventati biblici: nel 2009 è stata presentata la domanda, cinque anni dopo l’Albania ha ottenuto lo status di paese candidato, ma solo nel 2022 si è tenuta la prima conferenza intergovernativa per discuterne.
In un’intervista a Domani dello scorso agosto aveva detto: «L’Italia è da sempre il nostro grande avvocato a Bruxelles e Giorgia continua e certamente continuerà nella scia di tutti i suoi predecessori, che hanno alzato la voce per la piena integrazione dell’Albania e di tutti i Balcani Occidentali nell’Unione Europea. Lei la chiama riunificazione europea e io non ho dubbi che non si darà pace per arrivarci». E ieri, infatti, è arrivato l’ennesimo endorsement pubblico di Meloni: «L’Albania si conferma una nazione amica e nonostante non sia ancora parte dell’Unione si comporta come se fosse un paese membro e questa è una delle ragioni per cui sono fiera che l’Italia sia da sempre uno dei paesi sostenitori dell’allargamento ai Balcani occidentali». Ora il premier Rama può contare sulla premier Meloni e nel caso in cui l’intesa firmata a Palazzo Chigi sia replicata altrove, anche su altri leader europei.
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