La ong Mediterranea ha denunciato il ministro dell’Interno per un post su X in cui vantava la collaborazione con i paesi di origine e transito dei migranti, che ha consentito di riportarne 16.220 in Libia. Si tratterebbe, in realtà, di respingimenti collettivi in Libia operati da milizie facenti capo ad autorità del paese nordafricano. Nel 2022, un’altra denuncia aveva coinvolto anche Salvini e Minniti
A volte, esponenti del governo cadono vittima della loro stessa propaganda. È quanto sta accadendo al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che qualche giorno fa, con un post su X, ha vantato il fatto che «16.220 i migranti diretti verso le coste europee» sono stati «intercettati in mare e riportati in sicurezza in Libia da gennaio a oggi» grazie alla «collaborazione dell’Italia con i paesi di origine e transito dei migranti (…)».
A seguito di questa dichiarazione – che ammetterebbe respingimenti collettivi in Libia, operati da milizie facenti capo ad autorità del paese nordafricano – la ong Mediterranea Saving Humans ha denunciato Piantedosi alla Corte penale internazionale (Cpi). «Essendo la Libia “posto non sicuro”» – ha affermato la Ong in un comunicato – la «collaborazione ad attività di deportazione in quel paese» viola la convenzione di Ginevra sui profughi e rifugiati e quella di Amburgo sul soccorso in mare, e in particolare il principio che vieta di respingere persone in luoghi in cui esse rischiano maltrattamenti e lesioni dei diritti umani. Non è la prima denuncia di cui è destinatario Piantedosi, già coinvolto da una precedente insieme a Matteo Salvini e Marco Minniti, tra gli altri.
La violazione di norme fondamentali del diritto internazionale, che si sostanzia nella grave privazione della libertà personale di migranti e rifugiati, bloccati in mare e poi rinchiusi in campi di detenzione libici, è qualificabile come crimine contro l’umanità, quindi tale da ricadere sotto la giurisdizione della Cpi. La Libia non è uno stato parte dello Statuto di Roma, istitutivo della Cpi, e pertanto sarebbe sottratta alla giurisdizione della Corte. Ma con la risoluzione 1970 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, adottata poco dopo lo scoppio della “rivoluzione” contro Gheddafi e il suo regime, l’Onu ha investito la Cpi della situazione in Libia. La risoluzione copre i crimini commessi dal 15 febbraio 2011 in poi.
Già in passato, organizzazioni internazionali – come European Center for Constitutional and Human Rights (Ecchr) e Adala for All, StraLi, UpRights – avevano denunciato alla Cpi le operazioni, pur qualificate come atti di “soccorso in mare”, con le quali dal 2011 i migranti vengono intercettati nel Mediterraneo centrale, riportati in Libia e sottoposti a detenzione sistematica, tortura, omicidio, violenza sessuale, riduzione in schiavitù e altri atti disumani.
In particolare, in una denuncia del 2022, relativa a fatti avvenuti tra il 2018 e il 2021, lo Ecchr parla di un piano comune tra attori libici e «funzionari di alto livello degli Stati membri e delle agenzie dell’Ue» per fermare i migranti in fuga con l’obiettivo di contenerli in territorio libico. Piano realizzato, da un lato, mediante il Memorandum d’Intesa con la Libia, firmato dall’Italia nel 2017 e successivamente rinnovato, e altri patti di cooperazione; dall’altro lato, attraverso «la fornitura di materiali, capacity building e supporto operativo, compresa la localizzazione di migranti e rifugiati in situazioni di pericolo in mare, ottenuta attraverso le attività di sorveglianza».
In altre parole, la denuncia si appunta sulla gestione dei flussi migratori affidata alla cosiddetta guardia costiera libica con l’assegnazione di finanziamenti, motovedette, attrezzature e altro, nonché con la partecipazione diretta di Stati membri a singole operazioni.
Con riferimento all’Italia, sono indicati come «penalmente responsabili» ex ministri dell’Interno, Marco Minniti e Matteo Salvini, e un ex capo di gabinetto, Matteo Piantedosi. Secondo la denuncia, appare difficile sostenere che, al momento della conclusione degli accordi con la Libia, i soggetti coinvolti ignorassero il sistema di abusi cui i migranti sono sottoposti e, quindi, il fatto che il supporto finanziario, tecnico e tecnologico fornito alla Libia potesse agevolare la commissione di tali abusi.
Le condizioni del trattenimento nei campi libici – tra sovraffollamento, cibo e acqua insufficienti, scarsissima igiene, oltre alla lesione di diritti – sono da tempo segnalate da organizzazioni internazionali (da ultimo, Amnesty International, “The State of the World”, 2024; Human Rights Council, “Report of the Independent Fact-Finding Mission on Libya”, 2023).
Se è legittimo contenere i flussi migratori in entrata, di certo non lo sarebbe agevolare la commissione di crimini contro i migranti senza apparentemente sporcarsi le mani. Con le denunce alla Cpi – le quali paiono supportate anche da un recente report della Corte dei Conti Ue – il velo di ipocrisia potrebbe cadere. E con esso il vanto per la riduzione degli sbarchi realizzata grazie a certi accordi con paesi africani.
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