- Il rappresentante della Svezia presso l’Unione europea ha affermato che il patto Ue sulla migrazione non sarà completato prima della primavera del 2024. Al contempo, la portavoce della commissione Ue, riguardo al decreto italiano sui soccorsi in mare, ha affermato che «salvare vite in mare è un obbligo morale e legale».
- Secondo la tabella di marcia di Consiglio e parlamento europeo, le riforme sull’immigrazione vanno adottate entro la fine della legislatura 2019-2024. Quindi, le dichiarazioni della Svezia non sono un attacco all’Italia, ma ribadiscono la tempistica predefinita.
- Invece, il richiamo dalla portavoce della Commissione Ue alle convenzioni sul salvataggio in mare è forse il più incisivo dei commenti. Se la disciplina europea dell’asilo richiede tempo, non per questo l’Italia può usare scorciatoie non conformi alle regole internazionali.
In un’intervista al Financial Times, il rappresentante della Svezia presso l’Unione europea, Lars Danielsson, ha affermato che «il patto Ue sulla migrazione non sarà completato durante la presidenza svedese», cioè nei prossimi sei mesi, prevedendo la conclusione dei lavori non prima della primavera del 2024. In Italia, qualcuno ha inteso la dichiarazione come uno “schiaffo” a Giorgia Meloni, la quale aveva vantato di aver portato la gestione condivisa dei flussi migratori in cima all'agenda politica europea.
Al contempo Anitta Hipper, portavoce della Commissione Ue, rispondendo a una domanda sulle proteste delle organizzazioni non governative (Ong) riguardo al decreto approvato dal governo italiano sui salvataggi in mare, ha affermato che «i paesi membri devono rispettare la legge internazionale e la legge del mare», perché «salvare vite in mare è un obbligo morale e legale». Anche questo è stato letto come un attacco al governo italiano. Può essere utile un chiarimento di entrambi i profili.
Le proposte di riforma
La Commissione europea ha presentato nel settembre del 2020 un pacchetto di proposte di riforma normativa e altre iniziative in materia di gestione delle migrazioni e di protezione internazionale (Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo).
Si segnala una proposta di regolamento sul sistema di asilo, per sostituire il cosiddetto regolamento di Dublino, prevedendo correttivi al meccanismo attuale di ripartizione delle domande di protezione fra gli stati membri.
Ciò mediante uno strumento di solidarietà verso i paesi esposti ai flussi migratori, che può consistere in ricollocamenti, misure di sostegno, cooperazione con stati terzi, impegni a effettuare rimpatri (sponsorizzazione).
Sono sul tavolo dell’Ue anche altre proposte di regolamento: per affrontare situazioni migratorie di crisi e di forza maggiore, nonché per fornire protezione immediata alle persone che fuggono da determinate situazioni di crisi; per aggiornare il quadro giuridico di Eurodac, banca dati delle impronte digitali dei migranti; per stabilire accertamenti preliminari – di sicurezza, sanitari e di vulnerabilità – da svolgere in prossimità delle frontiere esterne o in altri luoghi dedicati nei territori degli Stati membri; per sostituire le varie procedure di asilo attualmente applicate negli stati membri con un'unica procedura semplificata e più rapida in presenza di certi presupposti, nonché per istituire una nuova procedura di frontiera per rendere i rimpatri più efficaci.
Si tratta di proposte ampie e articolate. Secondo la tabella di marcia congiunta di Consiglio e parlamento europeo, esse andranno adottate entro la fine della legislatura 2019-2024. Quindi, le dichiarazioni dell’esponente svedese non sono una reazione all’Italia, ma si limitano a ribadire una tempistica predefinita.
L’Ue e il soccorso in mare
L’Unione europea non ha competenze sulle normative nazionali in tema di immigrazione. Ma il richiamo dalla portavoce della Commissione Ue alle convenzioni internazionali sul salvataggio in mare, come a voler intendere che il decreto del governo italiano sulle og potrebbe non rispettarle, è un commento indicativo.
Il riferimento della Commissione potrebbe essere alla norma ai sensi della quale il porto di sbarco dev’essere «assegnato dalle competenti autorità» e «raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso».
Premesso che l’obbligo di comunicare l’operazione di soccorso allo stato competente al coordinamento è già sancito dalle convenzioni e rispettato dalle ong, l’attesa dell’indicazione di un porto, che i fatti dimostrano possa avvenire anche dopo diversi giorni dalla richiesta, o l’indicazione di un porto a molte miglia di distanza, anziché di quello più vicino, talora non consente al comandante della nave di «procedere il più velocemente possibile al salvataggio» – che si conclude con l’arrivo sulla terraferma – come disposto dalla convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare (Unclos, articolo 98).
In secondo luogo, l’ordine di raggiungere tempestivamente il porto assegnato si associa, pur senza esplicitarlo, al divieto di trasbordo delle persone da una nave all’altra, nonché a quello di non compiere ulteriori interventi di soccorso dopo il primo.
Quindi, un’imbarcazione che opera un salvataggio dovrebbe poi abbandonare al loro destino altri natanti in difficoltà. Ciò violerebbe il dovere di «prestare assistenza a qualsiasi persona trovata in mare», sancito dalla citata convenzione Unclos e ribadito anche da quella sulla ricerca e il soccorso in mare (Sar), che lo prevede a prescindere da altre circostanze.
Insomma, la tutela della vita umana deve prevalere su qualunque norma o decisione politico-amministrativa tesa a fini diversi.
La domanda di asilo a bordo
Il riferimento della Commissione Ue potrebbe anche essere alla norma secondo cui a bordo della nave di soccorso devono essere «avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità».
La norma intende surrettiziamente radicare presso il paese di bandiera l’obbligo di accogliere i migranti ed esaminarne le domande di asilo. Siccome la nave costituisce territorio dello stato di cui batte bandiera (convenzione Unclos, articolo 91), l’interesse all’asilo dichiarato a bordo attesterebbe che tale stato, toccato per primo dai migranti, è «competente per l’esame della domanda di protezione internazionale», secondo il Regolamento di Dublino (articolo 13).
Anche questa norma contrasta con le convenzioni. Infatti, secondo le linee guida sul soccorso in mare, allegate alla convenzione Sar, ogni formalità “burocratica” va svolta a terra, per non ritardare lo sbarco.
Inoltre, è difficile che i naufraghi possano esercitare a bordo i «diritti fondamentali», tra cui quello di «presentare domanda di protezione internazionale», come affermato dalla giurisprudenza, o anche solo manifestare l’interesse a farlo.
Da un lato, essi non avrebbero l’assistenza di traduttori, mediatori culturali e legali; dall’altro lato, su una nave di soccorso è difficile possa essere allestito un sistema di identificazione degli autori delle manifestazioni di intenti; ancora, secondo le convenzioni, il comandante della nave ha l’obbligo di concludere velocemente le operazioni di salvataggio, e non altro.
Infine, per applicare una norma italiana a bordo di una nave, che è territorio del paese di cui batte bandiera, in acque internazionali, serve che la norma stessa sia condivisa, oltre che dallo stato di bandiera, anche dall’Ue, la cui disciplina sull’asilo viene sostanzialmente incisa dalla legge italiana.
Sarà bene che il parlamento, in sede di conversione del decreto, tenga conto di queste osservazioni. Se la disciplina europea dell’asilo richiede tempo per essere emanata, non per questo l’Italia può usare scorciatoie non conformi alle regole internazionali. Il rischio è che poi a rilevarlo siano i tribunali.
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