Il procedimento è stato aperto nel 2017 mentre Marco Minniti come ministro dell’Interno cercava di introdurre un codice di condotta per le ong. Oggi sono almeno 63 i procedimenti legali o amministrativi avviati da stati europei contro le organizzazioni che fanno parte della flotta della società civile
Si è definitivamente chiusa la maxi inchiesta durata sette anni contro le organizzazioni non governative che operano salvataggi in mare.
Dopo la richiesta di archiviazione dei pubblici ministeri di Trapani, il giudice per l’udienza preliminare ha emesso una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste, per i dieci imputati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e chiuso definitivamente il processo. Proprio nell’ambito di questo procedimento erano stati intercettati anche diversi giornalisti non indagati.
Imputati nel processo erano dieci membri degli equipaggi di Medici senza frontiere, dell’ong Jugend Rettet e di Save the children. Alcuni di loro erano stati accusati dalla procura di essersi accordati con i trafficanti in Libia per la raccolta delle persone partite dalle coste libiche, senza che avessero un regolare permesso di soggiorno.
«Crolla il castello di accuse infondate che per oltre sette anni hanno deliberatamente infangato il lavoro e la credibilità delle navi umanitarie per allontanarle dal Mediterraneo e fermare la loro azione di soccorso e denuncia», ha dichiarato il presidente internazionale di Msf, Christos Christou.
«Ma», ha spiegato, «gli attacchi alla solidarietà continuano attraverso uno stillicidio di altre azioni: decreti restrittivi, detenzione delle navi civili, supporto alla guardia costiera libica che ostacola pericolosamente i soccorsi e alimenta sofferenze e violazioni, mentre le morti in mare continuano ad aumentare».
Era rimasto il più grande procedimento penale ancora in corso contro le ong che operano salvataggi in mare, la prima inchiesta «della triste epoca di propaganda che ha trasformato i soccorritori in “taxi del mare” e “amici dei trafficanti», ha commentato Msf. Un’indagine che è costata tre milioni di euro alle casse pubbliche dello stato.
Il processo
Sette anni dopo è la stessa procura a non avere gli elementi per sostenere l’accusa infamante che i membri dell’equipaggio avrebbero favorito l’immigrazione illegale in collusione con i trafficanti tra il 2016 e il 2017 durante tre diverse operazioni di salvataggio.
Il reato punisce chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello stato», con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 15mila euro per ogni persona.
Il procedimento è stato aperto nel 2017, mentre il governo italiano, con Marco Minniti ministro dell’Interno, cercava di introdurre un codice di condotta alle ong attive nel soccorso in mare, che le organizzazioni si erano rifiutate di firmare perché costituiva una minaccia al loro operato.
Da un’inchiesta di Domani era emerso che l’ordine di indagare sulle organizzazioni umanitarie era arrivato dal ministero dell’Interno, pur non avendo alcun elemento concreto. E nell’ambito dell’indagine erano emerse centinaia di pagine di intercettazioni, trascritte e depositate che riguardavano giornalisti, mai indagati.
Processi contro le ong
Secondo i dati aggiornati a giugno 2023, dell’Agenzia per i diritti fondamentali dell’Unione europea, sono almeno 63 i procedimenti legali o amministrativi avviati da stati europei contro le organizzazioni che fanno parte della flotta della società civile. In un anno, ricorda Msf, sono stati disposti 21 fermi amministrativi contro le navi umanitarie. Tra i più recenti quello che ha interessato la nave di Mediterranea, la Mare Jonio, dopo che sono stati presi di mira dalla cosiddetta guardia costiera libica che ha aperto il fuoco in direzione dei naufraghi e dell’equipaggio durante un salvataggio.
Misure amministrative che, spiega Msf, hanno impedito «l’azione salvavita» delle ong «per 460 giorni complessivi». La Geo Barents, di Medici senza frontiere, ad esempio è appena tornata a operare, dopo un fermo di 20 giorni, «dopo che una motovedetta libica aveva interrotto violentemente un soccorso già avviato», continua l’organizzazione.
La strategia del governo è poi quella di assegnare come porto di sbarco non i porti più vicini, ma luoghi raggiungibili solo dopo giorni di navigazione, «per tenerle lontane dalla zona dei soccorsi», scrive Msf.
«In questi anni, tutti i governi che si sono avvicendati hanno investito enormi risorse sul boicottaggio dell’azione umanitaria e su politiche di morte, ma non hanno fatto nulla per fermare i naufragi e fornire vie legali e sicure a chi fugge attraverso il Mediterraneo», ha dichiarato il capomissione di Medici senza frontiere all’epoca dei fatti, Tommaso Fabbri, coinvolto nel caso. «Salvare vite non è un reato, è un obbligo morale e legale, un atto fondamentale di umanità che semplicemente va compiuto. Basta criminalizzare la solidarietà!».
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