- La scelta dei nomi di alcuni dicasteri definisce l’identità del nuovo esecutivo e connota in modo chiaro l’orientamento della sua azione.
- Il cambio di denominazione, tuttavia, non è solo un dato formale, ma comporta l’adeguamento dell’organizzazione ministeriale all’attribuzione o al venir meno di alcune competenze.
- Sovranità alimentare - come autodeterminazione delle politiche produttive, tutela della biodiversità, approccio sostenibile al cibo ecc. - è un concetto interessante. Ma ogni concetto acquista una connotazione particolare a seconda del retroterra culturale di chi lo declina.
La scelta dei nomi di alcuni dicasteri da parte di Giorgia Meloni rappresenta il primo atto con cui la neo presidente del Consiglio, dopo la netta vittoria elettorale, ha dato indicazione di quelle che saranno le proprie politiche, definendo l’identità del nuovo esecutivo.
Il cambio di denominazione, tuttavia, non è solo un dato formale. Perché tali ministeri inizino ad agire, infatti, saranno necessari interventi di tipo regolatorio per adattarne l’organizzazione e l’operatività alle competenze sottese ai nuovi nomi.
Ministeri e organizzazione
Le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri – che l’art. 95 della Costituzione riserva alla legge – sono determinate dal decreto legislativo n. 300/1999. Il decreto fu emanato nell’ambito di un progetto di riordino amministrativo mirante, tra l’altro, alla semplificazione di apparati e procedure. Il d.lgs. 300/1999 prevedeva, tra l’altro, un numero complessivo di dodici ministeri e definiva, per ciascuno, gli ambiti di competenza e le linee generali dell’organizzazione interna.
Tale legge, tuttavia, non è mai stata applicata nella sua formulazione originaria. Essa infatti avrebbe dovuto operare dalla legislatura seguente a quella di emanazione. Ma, nel 2001, il governo di Silvio Berlusconi la modificò, portando a quattordici il numero dei ministeri e facendo altri cambiamenti. Successivamente, negli anni, molti governi – incluso quello di Mario Draghi (d.l. n. 22/2021) - hanno variato numero e competenze dei dicasteri, assemblandoli, spacchettandoli o creandone di nuovi.
Con il governo Meloni, tra i ministri senza portafoglio, ad esempio, quello per il Sud e la Coesione territoriale è diventato Sud e Mare; quello per le Pari Opportunità e la Famiglia ora è intitolato a Famiglia, Natalità e Pari opportunità. Tra i ministeri con portafoglio, quello dello Sviluppo economico diviene Imprese e Made in Italy; quello delle Politiche agricole alimentari e forestali diventa Agricoltura e Sovranità alimentare; quello dell’Istruzione si chiama Istruzione e merito. È abolito il ministero dell’Innovazione.
I cambiamenti di denominazione non sono fatti esclusivamente formali, ma possono comportare l’attribuzione, il trasferimento o il venir meno di alcune competenze. E ciò può determinare, a propria volta, la riorganizzazione interna in dipartimenti e uffici, nonché l’eventuale revisione della dotazione organica. Per fare tutto questo serve un intervento regolatorio, per mettere il ministero in condizione di iniziare a lavorare. Le disposizioni del provvedimento di riordino, poi, possono necessitare di attuazione mediante l’adozione di ulteriori atti.
Dunque, se è comprensibile che con il cambio di denominazioni dei ministeri il governo voglia connotare in modo chiaro l’orientamento della propria azione, occorrerebbe tuttavia anche fare un’analisi dei costi derivanti dall’adeguamento della macchina burocratica, quella che consente al ministro di operare in concreto.
Sovranità alimentare, Mare, Merito
L’espressione “sovranità alimentare”, che compare nella nuova denominazione del ministero dell’Agricoltura – come il “ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire” francese - nasce nell’aprile del 1996 alla conferenza internazionale della coalizione di Tlaxcala (Messico); fu proposta al World Food Summit della Fao a Roma, nel novembre dello stesso anno; e poi fu ripresa in occasioni successive.
La sovranità alimentare indica, tra l’altro, «il diritto dei popoli, delle comunità e dei paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra», affinché «siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà».
Dunque, il concetto – autodeterminazione delle politiche alimentari e produttive, tutela della biodiversità, salvaguardia e sostegno alle piccole produzioni locali, approccio sostenibile al cibo – è molto interessante. Ma ogni concetto acquista una connotazione particolare a seconda del retroterra culturale di chi lo declina.
Di sovranità alimentare aveva parlato Meloni il 1° ottobre, in un incontro con Coldiretti, lamentando che «dipendiamo da tutti per tutto». E il neo ministro, Francesco Lollobrigida, ha parlato di «difesa dei nostri prodotti». In attesa di verificare come il concetto sarà attuato in termini concreti, vale la pena richiamare l’imprescindibile dimensione globale della nostra economia. Le più importanti filiere italiane non sono autosufficienti (vedi recente studio di Nomisma). Quindi, sovranità alimentare non potrà tradursi come autarchia, con una visione ristretta ai confini nazionali, cioè al “made in Italy”, cui è intitolato un altro ministero.
C’è poi il ministero dell’Istruzione e del Merito. Fino al 2001 era la Pubblica Istruzione, poi, con il governo Berlusconi II, ministra Letizia Moratti, si chiamò dell’Istruzione. Oggi, con il governo Meloni, cambia ancora nome. Si potrebbe ritenere che il richiamo al merito della nuova formulazione intenda segnare un argine alle promozioni facili o marcare discontinuità rispetto allo slogan “uno vale uno”.
Va rammentato che il concetto di merito è contenuto nell’art. 34 della Costituzione, ai sensi del quale «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», e ciò dev’essere garantito dalla Repubblica «con borse di studio, assegni alle famiglie» ecc.. Se questo è il senso, il “merito” dovrebbe riguardare non solo il ministero dell’Istruzione, ma anche quello dell’università. Detto ciò, sarebbe meglio che la disposizione costituzionale venisse attuata in concreto, essendo pleonastico richiamarla nel nome di un ministero.
Al ministro per il Mezzogiorno viene attribuita competenza anche per il “mare”. Al riguardo, va ricordato che il ministero della Transizione ecologica – istituito da Mario Draghi – derivava dalla trasformazione del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Quindi, il mare non è un inedito in un dicastero. Va ricordato, altresì, che all’inizio della scorsa legislatura Giorgia Meloni aveva presentato alla Camera un progetto di legge (n. 1504/2019) per l’istituzione di un ministero del Mare, con compiti – tra l’altro - di tutela delle sue risorse e dell’ecosistema marittimo. In attesa di conoscere come saranno declinate le competenze relative al mare, ci si chiede il motivo per cui esse siano state attribuite al ministro per il Mezzogiorno, considerato che il mare lambisce la penisola da sud a nord.
In ogni caso, se l’area di intervento sarà limitata alla difesa dell’ambiente marino, come pare, il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, non avrà da temere riguardo alle proprie competenze sui porti. E soprattutto su quella inerente alla limitazione o al divieto di transito e sosta di navi nel mare territoriale, che egli concorre a esercitare di concerto con il ministro dell’Interno e quello della difesa, a determinate condizioni. Perché i decreti Sicurezza non sono stati aboliti, e anche questo è sempre bene rammentarlo.
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