- Dalla mozione con cui il centrosinistra chiedeva lo scioglimento (trasformata in un ordine del giorno al Senato) sono passati venti giorni. Ma Fn continua a essere viva e vegeta.
- A un mese di distanza, del testo e delle sue conseguenze non si parla più: secondo gli stessi parlamentari, la palla è in mano al Viminale, che pure non registra passi in avanti.
- Sembra che il governo aspetti il pronunciamento sui fatti del sabato delle violenze No pass, che difficilmente arriverà a stretto giro.
È passato ormai più di un mese dall’assalto dei No green pass alla sede nazionale della Cgil, con in testa noti esponenti di Forza nuova.
Dalla mozione con cui il centrosinistra chiedeva lo scioglimento (trasformata in un ordine del giorno al Senato) venti giorni. Ma Fn continua a essere viva e vegeta. Eppure, nelle settimane successive al sabato pomeriggio di violenza che aveva portato la folla ad assaltare l’edificio che ospita il sindacato, la mozione appariva di un’urgenza fortissima e il dibattito sull’antifascismo era tornato in cima alle priorità di molti parlamentari, soprattutto di centrosinistra. In un primo momento, centrodestra e Movimento 5 stelle non avevano intenzione di discutere un tema così divisivo nell’ambito di una maggioranza coatta a sostegno di un governo tecnico. L’indignazione si era poi concretizzata in una contromozione presentata dal centrodestra che ampliava il contrasto del governo a «tutte – nessuna esclusa – le realtà eversive», e invitava «a valutare le modalità per dare seguito, per quanto di competenza e secondo legge, alle verifiche e agli accertamenti della magistratura in ordine agli episodi del 9 ottobre». Al Senato il governo, rappresentato dal sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto di Italia viva, aveva deciso di «rimettersi all’aula», senza esprimere alcuna indicazione di voto per non esacerbare ulteriormente gli animi.
Stesso discorso alla Camera, dove le mozioni di centrosinistra e centrodestra sono state approvate in forma pressoché identica il giorno successivo. In tanti si erano scaldati attorno all’argomento: il segretario del Pd Enrico Letta, dopo l’episodio, tuonava su Twitter «Sabato è l’Italia intera che si deve unire attorno alla Costituzione e al rifiuto della violenza fascista. Per questo, sabato saremo coi sindacati in #PiazzaSanGiovanni non con simboli di partito ma con il tricolore». «Come è già avvenuto nei momenti peggiori di questa Repubblica, ad esempio negli anni di piombo, mi aspetto l’unità delle forze democratiche parlamentari, che in passato ha determinato la sconfitta di chi voleva essere eversivo rispetto alla democrazia», diceva Emanuele Fiano del Pd.
Passato sotto silenzio
A un mese di distanza, del testo e delle sue conseguenze non si parla più: secondo gli stessi parlamentari, la palla è in mano al Viminale. «Stiamo aspettando che, fatte le dovute valutazioni, scelgano che strategia utilizzare», dice un deputato. Ma anche al ministero dell’Interno spiegano che non c’è ancora stato alcun passo in avanti. Essendo stato il testo della mozione (e dell’ordine del giorno) scritto ai sensi dell’articolo 3 della legge Scelba, quella che introduce il reato di apologia del fascismo, le vie possibili sono due: o si procede per decreto legge, oppure si utilizza un decreto del ministro dell’Interno, steso a seguito di una sentenza giudiziaria. Scartata la prima opzione, nonostante a caldo il presidente del Consiglio avesse dichiarato che «la questione è all’attenzione nostra ma anche a quella dei magistrati che stanno continuando le indagini e formalizzando le loro conclusioni», resta solo da affidarsi alla giurisprudenza, prendendo cioè spunto dalle altre occasioni in cui la legge Scelba è stata applicata, cioè nei casi di Ordine nuovo (1973) e Avanguardia nazionale (1976).
Sembra che il governo aspetti dunque il pronunciamento sui fatti del sabato delle violenze No pass, che difficilmente arriverà a stretto giro. C’è poi un’altra possibilità, quella di procedere con la legge Mancino, che invece punisce gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e ha portato allo scioglimento dal Movimento politico occidentale nel 1993. Gli inquirenti stanno esplorando anche questa opzione con indagini che invece sulle attività dell’organizzazione nella sua totalità insistono sui singoli. Ma per il momento neanche questa pista sta dando spunti utili.
Anche la vicenda dell’immobile occupato da CasaPound in via Napoleone III nel quartiere Esquilino a Roma resta poi un tasto dolente. L’ex sindaca Virginia Raggi aveva lasciato in sospeso la questione attribuendo la responsabilità dello stallo che impedisce lo sgombero al demanio, che detiene la proprietà dell’immobile. Il Campidoglio era intervenuto rimuovendo la scritta che campeggiava sopra l’ingresso. Roberto Gualtieri, che si è insediato insieme alla sua giunta lo stesso giorno in cui alla Camera si votava la mozione contro Forza nuova, non ha ancora messo mano al dossier. Forse l’antifascismo non era poi così urgente.
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