- «Dopo la sconfitta elettorale il nostro gruppo dirigente si è letteralmente immobilizzato. Sembra che stiamo solo aspettando il momento di scegliere il segretario, come un atto liberatorio da una condizione di lutto».
- «Se dire “facciamo presto” il congresso sancisce la nostra strutturale incapacità di fare un vero processo costituente, allora sì, facciamo anche prestissimo. Ma eleggeremo un segretario a cui dare una delega in bianco».
- «Credo in un partito polifonico, perché se un partito ha bisogno di fare sempre scelte esistenziali, è chiaro che rischia la scissione. Con la polifonia no».
Martedì sera il sindaco di Firenze Dario Nardella aveva gli operai in casa. Nel senso che i lavoratori della Gkn, impegnati da mesi in una lotta per non far chiudere la fabbrica, hanno occupato il consiglio comunale. «Sono più di trecento. Non riusciamo a sbloccare la vertenza. Il Mise, il ministero dello sviluppo economico, non riesce neanche a garantire gli ammortizzatori sociali».
Sindaco, il governo non è concentrato sulla crisi?
I governi si giudicano dai fatti, e se devo giudicare da questo primo mese, sono preoccupato. Siamo seduti su una polveriera sociale, con fabbriche che chiudono da nord a sud, l’inflazione che schizza, i tassi di interesse che aumentano, con conseguenze sui mutui delle famiglie e sui prestiti alle piccole aziende. E il governo ci fa parlare di una nave con 250 naufraghi che non ha voluto far sbarcare, quando ne arrivano a centinaia quasi ogni giorno.
Il governo ha una certezza: un’opposizione divisa, che non è in grado di affondare il colpo.
Le opposizioni divise aiutano il governo. Ed è inutile girarci intorno, ad ora non vedo spazi per costruire un fronte unico. Anzi, c’è una gara interna. Per questo il Pd non può stare fermo. Dobbiamo sfruttare l’occasione del congresso per affermare il nostro protagonismo contro il governo. Lottare per la leadership dell’opposizione.
Lottare per cosa? Per incalzarlo da sinistra o dal lato di Calenda?
Per uscire dall’angolo il Pd deve smettere di macerarsi su questo interrogativo. Che è sbagliato, e vizia il congresso. Il Pd deve costruirsi un suo profilo chiaro, autonomo e forte.
Un profilo chiaro e forte: in concreto? In Lombardia siete spaccati sul sì a Letizia Moratti, in parlamento lo sarete su una mozione grillina contro le armi in Ucraina. Il Pd che deve fare?
Non deve aspettare, come succede con la mozione M5s, o con la candidatura di Moratti. Ci mettiamo sistematicamente nella posizione subalterna di dover scegliere le cose degli altri. Allora dico: presentiamo una mozione su un piano di lotta alla povertà e di promozione delle politiche attive del lavoro. Riprendiamo l’iniziativa politica, sul lavoro, il cambiamento climatico e le diseguaglianze sociali. E sull'immigrazione: perché su questo i Cinque stelle sono molto titubanti.
Ma anche voi non state messi bene: ora la destra vuole riesumare il codice Minniti.
E allora affrontiamo fra noi il tema, con coraggio. Diamoci in profilo chiaro. Ma la visione del governo Gentiloni era un progetto di cooperazione fra l’Italia, l’Ue e i paesi sia del Magreb che subsahariani. Vanno ripensati gli errori, ma resta un modello da cui ripartire.
Il modello delle Corvette regalate alla “Marina libica” per catturare i torturati in fuga?
Il Pd ha già detto stop al Memorandum con la Libia. Avanziamo una proposta e costringiamo le opposizioni a dire che ne pensano.
Dovete accelerare il congresso?
Lo scontro fra chi vuole accelerare e chi rallentare non mi appassiona. Se la questione è che non riusciamo a discutere sulle idee, e non siamo neanche capaci di aprire alla società e alle forze sociali e culturali, allora il segretario scegliamolo entro un mese. È una provocazione? Sì, ma bisogna chiarirsi: se dire “facciamo presto” sancisce la nostra strutturale incapacità di fare un vero processo costituente, allora sì, facciamo anche prestissimo. Ma eleggeremo l’ennesimo segretario a cui dare una delega in bianco per guidare un partito che rimane lo stesso di sempre.
Mi fa un esempio concreto di "apertura" alla società?
Le dico quello che sto preparando per l’iniziativa del 27 novembre a Roma: ci saranno amministratori e associazioni giovanili, i movimenti come Volt, organizzazioni sindacali come la Uil. E il mondo dell’associazionismo culturale, e quello laico e cattolico. Ci sono tanti mondi che non aspettano altro che partecipare. Fuori dal Pd è pieno di gente che vuole partecipare a un progetto di centrosinistra. E noi abbiamo bruciato un mese e mezzo senza riuscire a coinvolgerli.
Colpa di Letta che chiude le porte alle file di chi vuole entrare?
Buttare la croce addosso al segretario Enrico Letta è troppo comodo. Dopo il voto il nostro gruppo dirigente si è letteralmente immobilizzato, come rintontito dalla sconfitta elettorale. Se avessimo fatto un calendario con venti appuntamenti in venti città diverse, da nord a sud, il tempo non sarebbe stato percepito come troppo. È l’ennesima occasione mancata. Sembra che stiamo solo aspettando il momento di scegliere il segretario, come un atto liberatorio da una condizione di lutto.
È il momento della domanda: si candiderà a segretario?
Per me oggi conta prima di tutto salvare e rilanciare la nostra casa, il Pd. Avverto forte la tentazione di vivere il congresso come una resa dei conti. Poi, quanto a un mio impegno diretto, nelle prossime settimane prenderò una decisione.
Si è parlato di un ticket fra lei e Schlein. Verosimile?
L’ho letto sui giornali. La conosco, non da molto. È una cosa molto positiva il fatto che Elly Schlein si iscriva e partecipi al congresso. La stimo, come stimo Stefano Bonaccini che è uno dei migliori esempi del buon governo della sinistra nei territori.
Bonaccini è come lei: amministratore, riformista, ex renziano, tosco-appennino. Sembrate due gemelli politici. Che sfida sarebbe fra voi due?
Non siamo gemelli, ma siamo vicini per valori e idee. E di qua e di là dall’Appennino c’è qualche differenza. A Stefano, a Elly e agli altri dico: impegniamoci tutti a evitare che il congresso si trasformi in un conflitto fra gruppi di potere.
Non è insolito essere sfidati da chi non è ancora iscritto al Pd?
Il Pd deve essere un partito davvero aperto. Dopodiché contano le regole che ci diamo.
Renzi sostiene che lei lo attacca per far piacere al Pd. Per lei Renzi chi è? Un predecessore a sindaco, un ex leader, un ex amico?
Non rispondo agli attacchi di Renzi. Per il resto, parla la mia attività politica da sindaco che da otto anni governa Firenze.
C’è chi crede che con Bonaccini o con lei, il Pd torni indietro ai tempi di Renzi. Cos’era sbagliato a quei tempi?
È sbagliato oggi vivere con l’ossessione del passato, che si trascina scontri personali, contrapposizioni. Dobbiamo smettere di camminare con la testa all’indietro. E di pensarci con le categorie degli ex, Ds, Margherita, ex renziani, ex zingarettiani. Non ne usciremmo, non andremmo mai davvero avanti.
Le regionali saranno un’altra botta per il Pd. La coda della sconfitta di settembre, o la condanna all’opposizione eterna, ché senza alleanze è difficile vincere?
Aspetterei a parlare di sconfitta. Le partite sono aperte. In Lombardia si vince anche con il 35 per cento, soprattutto se ci sono due candidati del centrodestra. E le regionali non sono le politiche. I cittadini lo sanno, dovremmo mettercelo in testa tutti.
Per Andrea Orlando nel Pd esistono linee politiche troppo diverse. Non è che, vinca una o l’altra, il Pd è condannato a una scissione?
Stimo Orlando. Per questo gli dico che tutti i grandi partiti democratici hanno al loro interno diverse culture: gli americani, i socialdemocratici europei, i laburisti inglesi. Io credo in un partito polifonico, perché se un partito ha bisogno di fare sempre scelte esistenziali, è chiaro che rischia la scissione. Con la polifonia no. Per esempio sul tema del lavoro, su cui il nuovo Pd deve costruire la sua identità forte: ci sarà chi pone più attenzione al fronte produttivo e imprenditoriale, chi al lavoro dipendente e precario. Ma il Pd deve essere in grado di tenere insieme le voci differenti. Diversamente perderebbe senso anche la sua politica.
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