L’europarlamentare Pd, già sindaco di Firenze: «La maggioranza degli italiani è contro le riforme, dobbiamo darle voce». «Schlein ha consolidato il Pd a sinistra, ora un’iniziativa per parlare anche ai moderati»
Dario Nardella, già sindaco di Firenze, oggi eurodeputato Pd, eletto con una marea di voti, anche fuori dalla sua Toscana: ha superato le 118mila preferenze. Per la cronaca, al Centro ha battuto il generale Vannacci, che si è fermato a 116mila.
Martedì scorso la prima piazza unitaria delle opposizioni, contro autonomia differenziata e premierato, appena approvate. Per le opposizioni una legge spacca l’Italia, l’altra porta al plebiscitarismo. Non è un’esagerazione propagandistica?
No, siamo di fronte a un’accelerazione preoccupante, alla trasfigurazione dell’assetto democratico e costituzionale della Repubblica. Dobbiamo dare battaglia nel parlamento e nel paese, e abbiamo già cominciato a farlo. La maggioranza degli italiani non vuole queste riforme, lo sappiamo dal voto delle europee: dobbiamo dare voce a questa maggioranza. Prepariamoci a costruire un fronte comune nel referendum costituzionale contro il premierato e contro l’autonomia differenziata.
La piazza di martedì ha chiesto “unità”. Le divisioni sono alle spalle?
Quella piazza è stata uno spartiacque. Dobbiamo continuare su questa strada, ricordandoci sempre che l’unità passa dalle idee, dalle proposte. Sanità e salario minimo sono due temi da cui possiamo cominciare.
E le assenti Azione e Iv?
Ribaltiamo l’approccio al mondo moderato: non tentare operazioni di ceto politico, che non funzionano, ma parlare a un’area sociale alla ricerca di un soggetto politico che la rappresenti, persone spaventate da queste destre.
Il soggetto è il Pd, o deve nascere il polo che Matteo Renzi e Carlo Calenda non sono stati in grado di fare?
Un’aggregazione di centro, alleata con noi, sarebbe utile. Ma non possiamo stare alla finestra ad aspettare. Il Pd, dopo il successo delle europee, può ambire al 30 per cento ampliando la sua base sociale, mantenendo le battaglie identitarie e parlando anche al ceto produttivo e moderato. Un grande partito di massa è interclassista. La lotta alle diseguaglianze è trasversale, riguarda anche il mondo produttivo.
Teme che il Pd di Elly Schlein si radicalizzi a sinistra?
No, assolutamente. Il Pd si è consolidato su temi identitari di sinistra, come la lotta alle diseguaglianze, la sanità, i diritti civili. Ora credo possa affiancare a questi temi un’iniziativa che parli anche a tutto il centrosinistra. Le due cose non si escludono.
Davvero l’aggressività di Giorgia Meloni fa paura a Bruxelles?
Sì, qui la geopolitica è decisiva, sia sul fronte delle guerre, Ucraina e Medio Oriente, sia sul fronte interno, quello delle destre.
Meloni bussa alla porta di von der Leyen, la presidente ci pensa.
Non dobbiamo fermarci al tatticismo del totonomi. Noi non possiamo accettare l’ingresso dei conservatori nella maggioranza parlamentare. Ma allo stesso tempo non possiamo vivere il parlamento e il Consiglio come un fortino assediato, da difendere. Dobbiamo incalzare il Ppe sui contenuti. Abbiamo due rapporti importanti come quello di Mario Draghi e quello di Enrico Letta, sulla competitività e sul mercato interno, da cui ripartire. Ed emergenze da mettere subito sul tavolo: penso al Green Deal, che deve diventare Social Green Deal, e all’autonomia strategica su settori decisivi come l’industria e la filiera agricola e della sicurezza alimentare. E la politica estera. Dobbiamo rompere il tentativo di saldatura fra centrodestra e destre radicali.
Traduco: i voti di Ecr possono essere aggiuntivi ma non strutturali nell’alleanza?
Strutturali no, di sicuro. Ma ho dubbi anche sull’”aggiuntivi”. Meloni dei suoi voti può fare ciò che vuole, ma non accetteremo che il suo sostegno esterno intacchi il patto fra Ppe e S&D.
C’è anche il tema degli slogan nazisti in FdI. Per dialogare con il Ppe Meloni dovrà “scusarsi”?
È un tema centrale, e fa il paio con l’aggressività della destra francese. Ne abbiamo parlato già martedì alla prima riunione del gruppo di S&D. L’onda nera va fermata anche con una nuova iniziativa politica nel centrosinistra. Sarà interessante, anche per l’Italia, capire come andrà a finire il voto francese, che per la prima volta ha indotto tutte le sinistre democratiche francesi a mettersi insieme nel fronte popolare.
I top jobs aspetteranno la Francia?
Spero di no. La strategia attendista è l’idea di Meloni e di qualcuno nel Ppe, sperando che una vittoria di Le Pen indebolisca i moderati e il centrosinistra. Ma l’Europa non può aspettare. Abbiamo emergenze sui tavoli, economiche e sociali. In queste ore abbiamo già affrontato il problema dell’emergenza abitativa e delle pratiche commerciali sleali sui prodotti agricoli in Europa.
Il Pd è la principale forza di S&D. Ne rivendicherete la guida?
La partita per la presidenza del gruppo è nelle mani della nostra segretaria e si definirà entro la prossima settimana. Lei segue il negoziato in prima persona. Ma anche nel caso di una conferma della leadership spagnola, spinta da Pedro Sánchez, noi italiani potremo far sentire tutto il nostro peso nei diversi ruoli in seno al parlamento. Ma parlare solo di ruoli senza parlare delle nostre idee e dei nostri obiettivi non ha senso. Su questo faremo sentire il nostro peso.
La sua Firenze va al ballottaggio. Come finirà?
Sara Funaro ha vinto i pronostici pessimisti della vigilia, e sta conducendo una campagna impeccabile. Ha messo a nudo le debolezze dell’avversario Eike Schmidt, che è partito fra la curiosità dei fiorentini e invece si è rivelato un clamoroso flop: tra una gaffe e l’altra, ha dimostrato di non conoscere la città. Siamo alle ultime ore decisive. Il Pd è compatto, domani (oggi, ndr) i neoeletti a Bruxelles saranno al fianco di Funaro: Bonaccini, Laureti, Gori e io. Venerdì sarà con lei Elly Schlein. La sfida di Firenze è amministrativa, ma è anche un’importantissima sfida politica.
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