- Mercoledì il testo prodotto dalla Giunta per il regolamento del Senato andrà in aula. Le modifiche sono necessarie per far funzionare le due camere dopo le elezioni del 25 settembre, considerando che entreranno in vigore le norme che riducono del 36 per cento gli eletti in parlamento.
- Alla Camera, però, i partiti non riescono a mettersi d’accordo. Al momento, la giunta non è riuscita a condividere un testo da portare in aula e le possibilità che si raggiunga un accordo prima della pausa estiva sono poche.
- Il disaccordo riguarda i soldi che il parlamento mette a disposizione per ogni eletto. Oggi i parlamentari portano con loro una dote economica che viene assegnata ai gruppi a cui decidono di iscriversi. In futuro, però, nel caso decidano di cambiare casacca i soldi verranno ridotti. Una norma anti trasformismo che non piace a tutti.
Stavolta i senatori sono stati più bravi dei deputati, nonostante il Senato negli ultimi anni sia stato il ramo del parlamento che più ha fatto penare i governi che si sono succeduti. L’approvazione in extremis dei regolamenti per far funzionare il nuovo parlamento potrebbe riuscirgli; alla Camera, invece, gli stessi partiti sono molto più indietro. Sono tre anni che si discutono le norme per rivedere il funzionamento del parlamento, necessarie dopo il referendum costituzionale del 2020: dalla prossima legislatura, che inizierà dopo le elezioni del 25 settembre, si riduce notevolmente il numero di deputati e senatori. Alla Camera i deputati saranno 400, a palazzo Madama i senatori 200. Un taglio del 36 per cento sul totale.
I partiti finora non sono stati in grado di accordarsi per mettere in sicurezza il parlamento. Le elezioni anticipate si terranno il 25 settembre, e senza nuove regole il suo funzionamento, che già oggi viene considerato farraginoso, rischierebbe di ingarbugliarsi ulteriormente, fino a rischiare per alcuni aspetti la paralisi.
Con la caduta del governo Draghi si è deciso di procedere più speditamente per cercare di riformare il sistema prima della pausa estiva. Il Senato è avvantaggiato: c’è già un testo condiviso dai partiti, è stato esaminato e approvato dalla giunta del Regolamento, e mercoledì prossimo andrà in aula per l’ultimo via libera. Serve una maggioranza qualificata, quindi più sostanziosa rispetto a quella normale, ma i numeri necessari sembrerebbero esserci.
Accordo lontano
Alla Camera, invece, i partiti non riescono a mettersi d’accordo. La giunta non è riuscita a condividere un testo da portare in aula e le possibilità che si raggiunga un accordo prima della pausa estiva sono poche. Da qui al 5 agosto il presidente Roberto Fico dovrebbe convocare una nuova seduta per un ultimo tentativo. Alcuni partiti fanno resistenza sulle nuove norme che riguardano il gruppo Misto, il grande contenitore che tiene dentro le formazioni politiche che non riescono ad arrivare al numero di componenti minimo (almeno venti deputati) per formare un vero e proprio gruppo.
Il dissenso riguarda soprattutto le norme anti trasformismo. La proposta presentata dai relatori Emanuele Fiano (Pd) e Simone Baldelli (Forza Italia) prevede una riduzione delle risorse economiche assegnate a ciascun parlamentare nel caso decidesse di cambiare gruppo durante la legislatura.
La dotazione finanziaria che ogni parlamentare porta in dote viene interamente assegnata al gruppo a cui decide di aderire e copre le spese per gli uffici di coordinamento e i legislativi. In futuro, però, parte della dotazione potrebbe essere taglia: se un parlamentare passa da un gruppo all’altro, i soldi si riducono. Questo renderebbe il cambio meno appetibile.
Le maggiori resistenze provengono proprio dal gruppo Misto, che per sua natura accoglie spesso deputati che decidono di lasciare il primo gruppo di appartenenza. Senza risorse adeguate rischia di non riuscire a sostenere gli uffici che aiutano l’attività legislativa.
Politicamente Pd, Movimento 5 stelle e centrodestra sanno che con la nuova legislatura transfughi, scissioni, rimodellamenti di gruppi volatili e pieni di anime perse, depotenziando i partiti, avrebbe un costo altissimo. Da Enrico Letta a Giuseppe Conte, passando per Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, sanno che diventerà un imperativo kantiano contenere le emorragie che hanno contraddistinto i gruppi negli ultimi tre decenni.
La strategia, quindi, è di utilizzare la riforma dei regolamenti per tamponare il dissenso interno, introducendo norme per scoraggiare i cambi di casacca, rendere più difficili le espulsioni come successo nel M5s e punendo chi vuole andarsene tagliandogli lo stipendio. L’equazione è facile: in un emiciclo con la metà dei componenti, ogni addio varrà doppio.
Norme anti trasformismo
Le modifiche che il Senato è in procinto di introdurre sono rilevanti. Le commissioni, gli organi ristretti dove vengono esaminate le leggi prima di essere sottoposto dall’intera assemblea, scenderanno dalle attuali 14 a dieci. Anche nel loro caso, è stata inserita una norma per punire i transfughi. Con il nuovo regolamento la dotazione economica verrà ridotta drasticamente. Il 50 per cento rimarrà al gruppo appartenenza, il 30 per cento al nuovo gruppo che accoglie il senatore transfugo e il 20 per cento al bilancio del Senato.
Nascerà anche il gruppo dei non iscritti. Non si tratta di un gruppo vero e proprio, chi ci finirà dentro infatti non avrà a disposizione neppure la dotazione di cui abbiamo parlato né del tempo prestabilito per poter intervenire in aula (solitamente ogni gruppo ha una percentuale di tempo a disposizione). Sarà la conferenza dei capigruppo a decidere di volta in volta. Entreranno i transfughi che entro tre giorni non comunicheranno a quale formazione vogliono appartenere. E, questa una novità firmate dal partito di Giuseppe Conte, anche i senatori espulsi dai partiti.
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