I partiti della maggioranza tagliati fuori dai ruoli di comando in Ue. Si accende la spia su una possibile delega debole a Fitto costringendolo al clamoroso rifiuto
Il conto per il “no” di Giorgia Meloni a Ursula von der Leyen può essere più caro del previsto, a dispetto delle professioni di ottimismo nel governo. Sul ruolo che dovrebbe avere Raffaele Fitto, candidato italiano in pectore al ruolo di commissario, da palazzo Chigi il messaggio è auto rassicurante: «Siamo un paese fondatore, la nostra importanza è certa».
Ma i fatti potrebbero andare diversamente, segnando la peggiore delle débâcle per la presidente del Consiglio dal suo insediamento. Un primo segnale è arrivato dall’Europarlamento nell’incastro di incarichi, minori ma comunque indicativi: a nessuno degli eletti tra Fratelli d’Italia e Forza Italia è stata concessa una presidenza di commissione.
Dal discorso, peraltro, va esclusa a prescindere la Lega, messa in disparte per l’adesione al gruppo dei Patrioti di Viktor Orbán e Marine Le Pen. Matteo Salvini, insieme agli alleati euroscettici, non hanno ricevuto alcun ruolo: sono considerati fuori dal perimetro europeista.
La destra italiana dovrà accontentarsi di alcune vicepresidenza, tra cui Caterina Chinnici di FI (Controllo bilanci) ed Elena Donazzan di FdI (Industria, ricerca ed energia). Uno smacco, visto che il Pd e il Movimento 5 stelle hanno portato a casa due presidenze con Antonio Decaro (Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare) e Pasquale Tridico (sottocommissione questioni fiscali).
A bocca asciutta
Certo, non c’è alcuna certificazione dell’operazione anti Meloni. Anzi, secondo la versione ufficiale l’operazione rientra nella logica di una trattativa tra i gruppi e i paesi. L’Ecr, i Conservatori capeggiati da FdI, ha portato a casa un risultato soddisfacente nel complesso incassando due presidenze di rilievo, quella della commissione Bilanci e poi dell’Agricoltura e lo sviluppo rurale.
Solo che le caselle non sono finite a rappresentanti di Fratelli d’Italia, così come Antonio Tajani e la sua Forza Italia sono rimasti a bocca asciutta, nonostante l’appartenenza alla famiglia più rappresentata, quella dei Popolari. Alla fine, insomma, la vicepresidenza dell’Europarlamento, assegnata ad Antonella Sberna (FdI), è l’unica poltrona di peso per la destra. Un risultato deludente per chi voleva rivoluzionare l’Ue. E soprattutto un paradosso per una premier che dice di muoversi solo per garantire l’interesse nazionale.
Dall’Europarlamento l’attenzione si sposta ad un altro livello. I fari vengono puntati su Fitto, che in questi giorni sta cercando di far calare l’attenzione nei suoi confronti. Aggira qualsiasi domanda sul punto, soffermandosi sul dossier che sta gestendo dall’insediamento del governo: l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma la fuga dalle indiscrezioni non è sufficiente: che sia il prescelto di Meloni è ormai il segreto di Pulcinella. Lo hanno confermato un po’ tutti, nello stesso governo, da Tajani al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con cui peraltro il rapporto non è dei migliori.
Rischio débâcle
Fitto sarebbe ben contento del trasloco in Europa. Il motivo è sicuramente personale: dalla presidenza della regione Puglia, e nonostante una carriera con numerose battute d’arresto, ha l’occasione di approdare a una delle massime cariche continentali. Insomma, è ovvio avere l’ambizione per una poltrona tanto prestigiosa.
C’è poi una questione pratica, che fa notare chi conosce Fitto. Ora come ora gli tocca la parte più ostica del Recovery plan, la fase di realizzazione dei lavori, quella in cui il successo o il fallimento diventa tangibile. Se riesce ad andare via in tempo, può rivendicare di aver lasciato tutto in regola. Lo spin comunicativo ha infatti decantato il superamento della soglia dei 50 miliardi di euro spesi, ma in realtà, dall’inizio del 2024, sono stati effettivamente investiti 9,4 miliardi di euro. Un ritmo compassato al netto dello storytelling meloniano praticato da Fitto. Resta il desiderio del grande passo verso l’Europa.
C’è solo uno scoglio, nient’affatto secondario, lungo il percorso che da Roma lo porta a Bruxelles: l’importanza del portafoglio riservato all’Italia. Da palazzo Chigi la richiesta è quella di una delega economica, che vedrebbe Fitto in una posizione ideale. Qualsiasi altra opzione, come il commissario che sovrintenderà l’immigrazione, potrebbe addirittura portare al gran rifiuto del ministro del Pnrr. Ma con un danno di immagine per Meloni difficile da quantificare. La premier sta comunque valutando il piano B per ripiegare eventualmente su altri nomi. A quel punto sarebbe necessaria una massiccia operazione di propaganda per coprire il disastro. Oppure accettare una posizione in commissione economica, ma di secondo piano.
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