Bonaccini tace, ma il no al terzo mandato fa esplodere il malumore dei suoi, stanchi di essere collaborativi con Schlein. Il chiarimento sulle liste delle europee
In mattinata, appena consumato il voto sul terzo mandato per i presidenti di regione in commissione al Senato, il Pd si precipita a puntare tutto sulle divisioni della maggioranza. FdI e FI hanno votato contro l’emendamento della Lega. È un fatto, anche se i tre alleati minimizzano.
Attacca Francesco Boccia, presidente dei senatori dem: «C’è un chiaro conflitto tra Lega e Fratelli d’Italia, prima avevano preso in ostaggio i sindaci e ora li hanno mollati, ma resta il braccio di ferro sulle regioni». Lo stesso fa la Cinque stelle Alessandra Maiorino: «Sono spaccati per le poltrone». «La maggioranza si è divisa, l’opposizione è unita», esulta il rossoverde Peppe De Cristofaro. Opposizione unita, ma non tutta: Iv ha votato con la Lega, Azione non ha partecipato al voto.
E al Pd non basta alzare i decibel per coprire il rumore dei dissensi interni. I dem non hanno neanche provato a mandare sotto la maggioranza, come chiedeva Enrico Borghi di Iv, convergendo su un emendamento del senatore Meinhard Durnwalder, della Svp, su cui la Lega si sarebbe astenuta. Né hanno provato a dare una mano alla Lega che, prima ha ritirato l’emendamento che riguardava i sindaci, e poi ha serenissimamente lasciato asfaltare quello che interessava i presidenti di regione, ovvero Luca Zaia.
Il Pd vota contro, con i Cinque stelle e i rossoverdi. A differenza delle intenzioni filtrate alla vigilia: mercoledì sera infatti l’orientamento della “commissione” voluta dalla segretaria Elly Schlein per trovare una mediazione con le altre anime del partito (i sindaci e i presidenti di regione sono pro terzo mandato) sembrava di non partecipare al voto. E invece con un no ha voluto dimostrare, spiegano in molti, «l’unità» delle opposizioni. Per lo meno l’unità con gli alleati del (futuribile) campo largo: gli stessi con cui domenica in Sardegna proverà a espugnare la regione alla destra.
Spaccatura sulla via Emilia
Il primo segnale di malessere è lo sfogo di un amareggiatissimo Alessandro Alfieri, componente della neonata – e forse già morta – commissione interna. Lui aveva chiesto ai colleghi di non partecipare al voto, insieme a Simona Malpezzi. Risposta, niet. «Sono abituato a lavorare per unire. Ho accettato di fare parte della commissione per lavorare a trovare una soluzione che unisse sindaci, partito e gruppi. E portasse a una proposta da avanzare quando esamineremo il testo unico degli enti locali. Questa tessitura era possibile con la non partecipazione al voto. Ma con il nostro no, questo percorso è stato delegittimato».
Resta in silenzio il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Lo stesso fa Michele Emiliano, della Puglia. E Enzo De Luca, della Campania. Ma lui ha già lasciato capire che se vorrà il terzo mandato se lo farà da sé: lo farà votare dai consiglieri regionali e lo inserirà nello statuto regionale.
Però nel pomeriggio, pian piano che si diffonde la notizia, il malumore cresce. E dall’area di Energia popolare, la corrente di Bonaccini, arrivano parole severissime. Parlano di «forte disappunto» per il voto della commissione al Senato, e di più: «È venuto meno l’impegno preso in direzione con il gruppo di lavoro, ora bisogna gestire il malumore dei governatori e dei sindaci». Infine una promessa non proprio amichevole: «Dal giorno dopo il voto in Sardegna si tornerà a discutere».
«Tornerà» è un verbo scelto con cura. Racconta che Bonaccini, presidente del partito, fin qui ha scelto una linea collaborativa con Schlein. Che gli è anche costata: alcuni riformisti lo accusano di essere stato, nei mesi, troppo soft nelle critiche alla segretaria, troppo ligio alla disciplina di partito; altri sono rimasti per lo più in silenzio-dissenso, come Lorenzo Guerini (che però in questo caso aveva invitato a utilizzare la spaccatura della maggioranza per mandare sotto il governo).
La fine della pace
Ora la «delegittimazione» della commissione concessa da Schlein alla direzione di lunedì scorso viene interpretata come «una rottura» della pace interna. Lì si doveva cercare un compromesso («una riforma organica») fra il no al terzo mandato, posizione Schlein (non esplicita, ma per lei l’aveva espressa Boccia) e il sì di sindaci e presidenti di regione.
La commissione si è riunita una volta. Ci sono, forse bisogna dire c’erano, Davide Baruffi, Alessandro Alfieri e Igor Taruffi della segreteria, i capigruppo Boccia e Chiara Braga, i sindaci Antonio Decaro, Matteo Ricci e Dario Nardella. Il mandato sembrava complessivo, e invece giovedì si è scoperto che avrebbe ragionato solo della rielezione dei primi cittadini. Non dei governatori.
Va detto che non tutti i riformisti la pensano come Bonaccini. Il no al ter è maturato a maggioranza nella riunione del gruppo del Senato, ieri all’alba. A fianco della segretaria si è schierato Dario Franceschini, cosa che indica che il frangente è delicato. Perché questo no di fatto seppellisce la commissione del Pd e con essa la pace interna. Sempreché l’organismo resti in piedi, potrebbe già ricevere una defezione, quella di Alfieri. E poi c’è la scomoda posizione di Baruffi, che è responsabile degli Enti locali ma anche vicinissimo a Bonaccini: il presidente che ieri si è trovato con un dito nell’occhio. Finita la collaborazione amichevole, avverte la sua corrente, e i minuetti cortesi. Si riferisce in particolare alle liste per le europee, ferme a bagnomaria in attesa che la segretaria decida se e come correrà. Da lunedì, è la promessa di oggi, si discute su tutto.
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