- Non è edificante e ancor meno educativo il duello per le nomine dei futuri vertici di Guardia di finanza e polizia di stato.
- I cittadini hanno compreso che il vincitore potrebbe non essere il più bravo o meritevole, ma quello la cui sponda politica è prevalsa su altre fazioni pretendenti.
- Certi incarichi dovrebbero prescindere dalle logiche dettate dal “manuale Cencelli”, dalla ripartizione millesimale che con il bilancino viene verificata in ragione di quel che spetta a ciascuna compagine a ogni ribaltamento post elettorale.
Non so cosa pensi la gente, ma è certo che non se ne ricorderà quando (e se) tornerà a votare. È altrettanto evidente che non è edificante e ancor meno educativo il duello per le nomine dei futuri vertici di Guardia di finanza e polizia di stato.
Il quisque de populo ha compreso che il vincitore potrebbe non essere il più bravo o meritevole, ma quello la cui sponda politica è prevalsa su altre fazioni pretendenti.
A dispetto del “merito” (che ha addirittura avuto un dicastero a formalizzarne l’importanza) che caratterizza i candidati in pole position, l’unica caratteristica resa nota sul loro conto è stata la sponsorship di questo o quel ministro.
La designazione non consacra il prescelto ma esibisce i muscoli di chi ha imposto la propria preferenza. Un peccato, un vero peccato, per i diretti interessati e per le organizzazioni che vanno a dirigere. E, ovviamente, per gli italiani tutti.
Quale merito?
I primi avrebbero senz’altro prediletto l’esaltazione delle rispettive peculiarità, così da palesare alla collettività la propria reale valenza e non la semplice predilezione manifestata da un personaggio della formazione di governo.
La rosa dei “papabili” contiene soggetti con una storia professionale spesso non comune, costellata di risultati operativi, costruita giorno dopo giorno, pronta a essere soppesata e confrontata e senza dubbio non comprimibile in un telefonata di raccomandazione e tanto meno inseribile nel tritacarne di una spartizione tra partiti e correnti.
Le realtà di destinazione si aspettano il più bravo e, se anche la scelta ricade su chi ha i maggiori “punti” a favore, non fa piacere che il posto di “C1” (così viene chiamato in gergo il comandante generale delle Fiamme gialle) sia stato riservato a chi più piaceva a palazzo Chigi e dintorni.
Il peso della politica è certo inevitabile, ma equilibrio e discrezione dovrebbero attutirne la pressione. Lo spettacolo non entusiasmante dei mancati accordi nella designazione delle posizioni apicali in Gdf e nella polizia poteva aver giustificazione nei primi momenti di “assestamento”, ma non ha più nessuna scusa dopo una serie di rinvii che evocano trattative, baratti e compromessi e che certo non nobilitano chi gioca questa buffa partita.
Illusione di indipendenza
Trentuno anni fa, nella primavera del 1992 i cittadini avevano apprezzato l’autonomia e l’indipendenza della magistratura e delle forze dell’ordine impegnate in una stagione di indagini che ha sconquassato la storia.
Per mesi si era potuto credere che nessuno poteva farla franca, nessuno poteva sentirsi al di sopra delle leggi, nessuno era onnipotente e impunibile a dispetto delle apparenze.
Dopo aver assistito alle dinamiche commerciali di questi giorni riesce difficile persino ai più ottimisti immaginare che chi siede al volante di un “veicolo da combattimento” rimanga estraneo dinanzi a una possibile evoluzione giudiziaria che possa coinvolgere donne e uomini che guidano il paese.
Il cittadino stenta a credere che non ristagni un debito di riconoscenza verso chi si è battuto come un leone per imporre il proprio favorito ed anche chi è integerrimo rischia di essere immeritatamente guardato con sospetto o comunque avvolto in un alone di dubbio.
Certi incarichi dovrebbero prescindere dalle logiche dettate dal “manuale Cencelli”, dalla ripartizione millesimale che con il bilancino viene verificata in ragione di quel che spetta a ciascuna compagine a ogni ribaltamento post elettorale.
In una frazione epocale in cui c’è davvero necessità di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale, di spendere bene i soldi della torrenziale pioggia del Pnrr, di frenare la permeazione del crimine organizzato nei gangli vitali dell’Italia, di riguadagnare la fiducia di chi si sente ogni giorno più lontano dalle istituzioni, forse è il caso di evitare duelli degni dei tanto criticati “vu’ cumprà” che si litigano due metri di marciapiede.
Lo si faccia per tutti, dimostrando che la serietà non è stata messa al bando e lasciando intendere che il paese ce la può fare perché sono stati individuati i migliori per le missioni più delicate.
Non sarà l’ultima chance, ma sprecare pure questa cartuccia sarebbe veramente un peccato soprattutto se la si va a sparare sui propri piedi.
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