L’istituto è in regime provvisorio, con un facente funzione alla guida, e ad aprile scade anche il consiglio interno. La destra si è impuntata su Blangiardo che però non ha i numeri per essere votato in parlamento
La fame di poltrone del governo Meloni lascia l’Italia senza i numeri. O meglio, con gli aggiornamenti statistici ridotti allo stretto necessario, quei dati che seguono il calendario previsto, dalla disoccupazione al Pil. L’Istat è senza una guida effettiva da ormai un anno. Esattamente dopo la fine del mandato di Gian Carlo Blangiardo, che la destra avrebbe voluto confermare senza avere i numeri.
L’istituto ha un presidente facente funzione (in qualità di membro anziano del consiglio), Francesco Maria Chelli, che può gestire l’ordinaria amministrazione. Il lavoro prosegue, senza dubbio. Ma con una cristallizzazione delle attività che si traduce in uno stand-by della strategia: non si possono stabilire le indagini da portare avanti al netto di quelle già definite. Lo stallo durerà almeno fino all’estate inoltrata. Ammesso che si troverà un rapido accordo politico prima in sede governativa e poi in quella parlamentare. Uno scenario tutt’altro che scontato.
Cortocircuito statistico
A breve, forse già in settimana, partirà l’iter di selezione di un nuovo presidente, ma i tempi sono lunghi con un intreccio complicato. Perché come se non bastasse, a fine aprile andrà in scadenza tutto il consiglio interno (composto da 4 componenti più il presidente) dell’istituto aumentando ulteriormente l’incertezza sulla gestione. Una navigazione a vista con gli organismi di vertice in un regime provvisorio.
Al vaglio di Palazzo Chigi c’è infatti una proroga per il consiglio, che deve inevitabilmente restare in carica per evitare una paralisi totale. Bisogna garantire un minimo di continuità amministrativa. Fatto sta che c’è un cortocircuito mai avvenuto nella storia dell’istituto di statistica. Era accaduto, certo, che un presidente fosse in veste di facente funzione ma mai in concomitanza della scadenza dei consiglieri.
Il balletto intorno alla guida dell’Istat va avanti da tempo, insomma, per responsabilità della maggioranza, troppa poco abituata al confronto e al compromesso. E che preferisce procedere a colpi di mano. Così si è impuntata su Blangiardo, che a febbraio 2023 ha chiuso il primo quadriennio alla presidenza dell’ente. La destra al potere avrebbe voluto confermare sotto l’insistente spinta della Lega.
Matteo Salvini lo impose nel 2019, durante il primo governo Conte. Il leader leghista non è arretrato: ha chiesto la riconferma a inizio dello scorso anno. Il docente, esperto di demografia, ha messo al centro del proprio mandato il tema della natalità. Il core business della destra leghista ma anche di Fratelli d’Italia. Una testardaggine che ha sfidato i numeri. Nelle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato servono i due terzi dei componenti. Quindi è necessaria un’intesa con le opposizioni, che però sono contrarie alla conferma di Blangiardo.
Così la maggioranza è stata irremovibile pur sbattendo contro le opposizioni, che hanno chiesto un altro candidato. Il risultato? Più volte sono state rinviate le sedute delle commissioni parlamentari per mancanza di un accordo. Tanto che, di fronte allo stallo, i partiti di governo non hanno pensato a dialogare, ma era stata prospettata la forzatura definitiva: il commissariamento. Un film già visto con altri enti di primo piano, come Inps e Inail. Trovando in questo caso il muro dei sindacati, che hanno rilevato l’assenza dei requisiti per l’arrivo di un commissario. Il governo ha perciò evitato lo strappo.
Nuovo iter, stessi problemi
A Palazzo Chigi, al ministero della funzione pubblica guidato da Paolo Zangrillo, è tutto pronto per ripartire da zero con il bando aperto ai profili che hanno i titoli, selezionati in un primo momento da una commissione esterna. La decisione sul nome spetta poi al governo, che a sua volta lo sottopone al parlamento. Ci vorranno almeno 4 mesi. In ogni caso le minoranze, dal Pd al Movimento 5 stelle, non sono intenzionate ad accettare candidature calate dall’alto e senza alcuna condivisione. «Se la legge prevede una maggioranza qualificata dei due terzi è per avere una figura di garanzia», spiegano fonti dem.
Anche perché la sensazione è che il grande giro della destra possa tramutarsi in una specie di gioco dell’oca. Con il ritorno del nome di Blangiardo o di qualche candidato affine, come Chelli, che condivide l'impostazione del suo predecessore. Sarebbe difficile immaginare che non raggiungessero la selezione finale vista l’esperienza accumulata. Anche se, intanto, proprio Blangiardo ha deciso di ammazzare la noia avviando un’altra esperienza: è candidato sindaco a Meina, comune di poco più di 2mila anime, in provincia di Novara. Tenta il brivido della campagna elettorale fino a giugno, visto che è piuttosto complicato riprendersi la sua poltrona.
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