- Ex premier scatenato, ma ai nuovi direttori ha detto sì Di Maio. Ora il presidente del consiglio sa che non farà il capo dello stato, oppure lo farà senza ai voti del movimento Cinque stelle.
- «Ha scelto di escludere tra tutte le forze dell’arco parlamentare esclusivamente il Movimento 5 stelle che è il partito di maggioranza relativo e rappresenta 11 milioni di elettori», risultato, «ha ucciso qualsiasi parvenza di pluralismo».
- Più passa il tempo più circola la voce che sia stato Luigi Di Maio a dare l’approvazione finale a Maggioni al Tg1, accettando il sacrificio di Carboni a nome dei Cinque stelle. Le escandescenze di Rocco Casalino fanno il giro delle chat. Conte è un leader sempre più solo sulla carta.
Nel pomeriggio Enrico Letta sta partecipando al rito della presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa al Tempio di Adriano. Con loro c’è Giorgia Meloni. Atmosfera sonnacchiosa, andamento lento delle domande e delle risposte, si arpeggia sull’attualità. Siamo alla recita in famiglia, grande classico del giornalismo parlamentare.
Letta difende la sua proposta di tavolo di maggioranza sulla manovra di bilancio. Soprattutto per mettersi sulla rotta giusta per il dopo, cioè per il Quirinale: «L’ho detto e lo ripeto, a costo di essere noioso: il presidente della Repubblica dovrebbe essere eletto sempre, ma in questa situazione storica ancora di più, con la più larga convergenza delle forze politiche», dice. «Questa larga convergenza si deve trovare anche sulla legge di Bilancio e poi sull’elezione del presidente della Repubblica».
Uscito dal novero delle opzioni il Mattarella bis, è solo Mario Draghi al momento un possibile candidato unitario. Ma Letta sa che nelle ultime ore il “suo” tavolo è stato di fatto randellato da Giuseppe Conte, che ne ha chiesto un allargamento al tema delle riforme e anche alla leader dei Fratelli d’Italia, andando oltre i confini della maggioranza, senza alcuna utilità se non quella di fare saltare l’iniziativa.
Vespa ha appena impartito l’ite missa est che la giornata ha un cambio di pressione: dal Senato l’ex premier dirama l’ordine ai suoi di non andare più nella tv pubblica. Come già fece Grillo con gli eletti della primissima ora. Ce l’ha con le nomine della nuova (si fa per dire) Rai dell’amministratore delegato Carlo Fuortes, fortissimamente voluto da Mario Draghi e dai suoi, che dopo ampie dichiarazioni di indipendenza si accolla di fatto le richieste di palazzo Chigi e dei partiti.
Alla guida del Tg1 fa il suo trionfale ingresso Monica Maggioni, ex presidente dell’azienda e gradita a destra; resta al Tg2 Gennaro Sangiuliano, quota leghista; Simona Sala, direttrice di Radio 1 e del GiornaleRadio, lascia il posto ad Andrea Vianello, vicino a Letta, e va al Tg3. Il M5s perde il “suo” Giuseppe Carboni, e invece la Lega mantiene la postazione della seconda testata (con il nulla osta del Nazareno).
La terza testata resta in area democratica, ma viene allontanato Mario Orfeo, che è senz’altro un esperto navigatore delle acque Rai ma in un’altra stagione è stato molto vicino a Matteo Renzi. Orfeo probabilmente andrà alla direzione Approfondimento. A RaiSport è indicata Alessandra De Stefano, gradita al Cavaliere, come Antonio Preziosi che resta alla guida di RaiParlamento. Alla Tgr resta Alessandro Casarin (gradito alla Lega). Al comando di Rainews, roccaforte progressista, arriva Paolo Petrecca, vicino a Fratelli d’Italia (ma da anni caporedattore e conduttore della rete).
L’avvocato furioso
I nomi sono arrivati di mattina ma l’ex premier non ha i riflessi scattanti. Secondo lui comunque tutti i partiti hanno avuto il loro spazio. I Cinque stelle no: «Fuortes non libera la Rai dalla politica ma ha scelto di esautorare una forza politica come il M5s: siamo alla degenerazione del sistema e per questo il M5s non farà più sentire la sua voce sui canali del servizio pubblico». L’ad, secondo Conte, «ha scelto di sottrarsi a qualsiasi confronto nelle sedi istituzionali» e alla fine «ha scelto di escludere tra tutte le forze dell’arco parlamentare esclusivamente il Movimento 5 stelle che è il partito di maggioranza relativo e rappresenta 11 milioni di elettori», risultato, «ha ucciso qualsiasi parvenza di pluralismo». Ma Conte ce l’ha anche con palazzo Chigi: «Ci chiediamo che ruolo abbia giocato il governo».
Non sbaglia di molto, perché anche da viale Mazzini viene indicato quel palazzo come molto attivo nelle scelte. Ora Draghi ha la ragionevole certezza che non sarà il candidato al Colle del M5s, almeno non quello dell’ala di Conte. Quindi o non vuole fare il capo dello stato, o pensa di poterlo fare senza quei voti. Nei gruppi parlamentari grillini scoppia il putiferio. Ma c’è una differenza fra Camera e Senato.
A Montecitorio i deputati sono furiosi e in pieno dibattito in aula chiedono un chiarimento con il capogruppo. Al Senato invece si sono visti apparire Conte e hanno saputo in anteprima dell’editto bulgaro al contrario, sempre che venga rispettato davvero. Conte è furibondo, anche perché più passa il tempo più circola la voce che sia stato Luigi Di Maio a dare l’approvazione finale a Maggioni al Tg1, accettando il sacrificio di Carboni a nome dei Cinque stelle. Le escandescenze di Rocco Casalino fanno il giro delle chat. Conte è un leader sempre più solo sulla carta.
I pretoriani dell’ex premier appoggiano la proposta e attaccano Rai e governo.
Al confronto, la posizione di Fratelli d’Italia è moderata: «Noi avevamo zero, ma tutto quello che viene sicuramente è molto poco essendo FdI l’unica opposizione. Tuttavia ad ora non faremo barricate». Matteo Renzi non resiste allo spettacolo e tira fuori i popcorn: «La posizione grillina sulla Rai dimostra che non c’è bisogno di piani segreti per distruggere i Cinque stelle: basta lasciar fare a Giuseppe Conte. Fa tutto da solo. Un anno fa mandava veline e immagini al Tg1, oggi annuncia che non andranno più in tv».
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