Un altro slittamento. I leader della destra continuano a non trovare una soluzione sulle nomine Rai. Unica via d’uscita, far saltare l’elezione dei consiglieri d’amministrazione che Giorgia Meloni e Matteo Salvini avevano fissato insieme, a inizio agosto, per il 12 settembre. Niente da fare, se ne parlerà almeno due settimane dopo, probabilmente il 25 o il 26 settembre. Sarà la riunione dei capigruppo di Camera e Senato in programma per domani a definire la data precisa.

Nel vertice di lunedì – ufficialmente dedicato alla manovra, in pratica occasione per capire come uscire dal labirinto Rai – Meloni, Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi sono giunti alla conclusione che l’incertezza è troppa. Meglio rimandare ed essere sicuri di avere tutti i voti necessari per far ratificare in commissione di Vigilanza la presidenza di Simona Agnes: la maggioranza qualificata prevista dalla legge Renzi è ancora fuori portata. Mancano sempre due voti che, nelle prossime due settimane, andranno conquistati.

Opzione Conte

A riaccendere le speranze dei leader di maggioranza sono però le parole di Giuseppe Conte pronunciate domenica alla Festa del Fatto quotidiano, dove l’ex premier si è detto disponibile a prendere in considerazione un nome «autorevole». Una richiesta paradossalmente in linea con la ratio della legge, che prevede una presidenza di garanzia. A differenza di come la intende invece il centrodestra. Meloni sfrutterà l’apertura dell’ex premier nelle prossime due settimane. «Fino a venerdì la premier era impegnata sul caso Sangiuliano», dicono i suoi. La speranza di tutti – soprattutto dei colonnelli di viale Mazzini – è che la storia infinita del servizio pubblico, costellata di inciampi e rinvii, giunga finalmente al termine. Sono quattro mesi che la Rai è sospesa.

Da fine maggio in poi ci sarebbero state le condizioni per rinnovare il cda, una procedura «che qualche mese fa si sarebbe portata a casa in una settimana» sospira sconsolato qualcuno. All’epoca, però, il quadro era diverso. Il campo largo era meno compatto e si poteva sperare in un’eterogenesi dei fini con Italia viva. Acqua passata: adesso Meloni è tra l’incudine e il martello. Da un lato Forza Italia, che non vuole rinunciare alla presidenza per Agnes, dall’altra i Cinque stelle che fanno capire di essere disposti a votare un altro nome. Resta da capire se possa esserci una compensazione per convincere gli azzurri a rinunciare alla pupilla di Gianni Letta.

Per il momento tra gli azzurri ci si trincera dietro un «solita posizione». Ma anche dalle parti di FdI nessuno ha ancora in mente un’alternativa che possa sbloccare la trattativa con i grillini.

La linea dei Cinque stelle

A taccuino chiuso qualcuno nel Movimento confessa anche che non c’è bisogno di un nome totalmente organico al partito: con un volto il più super partes possibile, è il ragionamento, la nomina potrebbe essere condivisa anche dalle altre forze di opposizione. «La nostra critica non è ad Agnes in sé, ma alla modalità con cui è stata presentata. Se la maggioranza esce dalla logica di pacchetto possiamo parlarne» dice una persona che segue il dossier da settimane.

«In quel caso la cooperazione potrebbe allargarsi ben oltre il perimetro del Movimento e coinvolgere anche le altre forze di opposizione». Uno dei nomi che circola è quello di Giovanni Minoli: i vertici meloniani lo hanno reintrodotto nei palinsesti della prossima stagione con una striscia mattutina, raccoglierebbe il favore di Iv e il Pd non potrebbe dirsi ostile. Anche il Movimento non avrebbe particolari problemi con un nome simile. Ma nessun partito di opposizione vuole rivelare la propria strategia in questa fase: la linea resta quella dell’Aventino in commissione nel caso in cui la maggioranza dovesse presentarsi con il nome di Agnes. Per aprire il dibattito serve una mossa della maggioranza. «Non sono nemmeno d’accordo tra di loro ancora, sono lontanissimi dal farci una proposta» spiegano in zona dem. Per il momento, dunque, nessuna interlocuzione, giurano.

Intanto riparte la stagione invernale. Tanti i ritardi dovuti allo stallo in cui si trova l’azienda e alle spese per i contratti degli esterni che sottraggono fondi alle produzioni interne: nessun rischio invece per Porta a porta, che riparte stasera con la ventottesima stagione. Bruno Vespa lamenta però «l’orario di collocazione» e il «traino terribile», auspicando che «la Rai acquisti film migliori». Difficile che qualcuno riesca a occuparsene, di questi tempi.

Ad aggiungere poi un pizzico di situazionismo al paradosso in cui si trova il servizio pubblico, passato in un anno negli occhi di Meloni da strumento di propaganda potentissimo a zavorra irrilevante, pensa invece Francesco Palese, segretario di Unirai, sindacato nato – almeno su carta – come formazione favorevole alla linea di Meloni: «La politica qualcosa di veramente importante potrebbe farla: iniziare a piazzare persone con un minimo di competenza. Sarebbe davvero una rivoluzione senza precedenti».

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