Come se non bastassero i guai che circondano Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura in bilico per il caso Boccia – relegato dal Tg2 delle 13 al decimo minuto del notiziario – su Giorgia Meloni pende anche un’altra spada di Damocle. Una scadenza autoimposta, va detto, all’ultimo vertice di maggioranza a Roma a inizio agosto. Quando lei e Matteo Salvini hanno fissato il voto per i consiglieri d’amministrazione Rai per il prossimo 12 settembre.

La premier era convinta di aver risolto i guai legati a viale Mazzini concedendo ai leghisti di scegliere un direttore generale da affiancare a Giampaolo Rossi, da tempo amministratore delegato in pectore. Ma già all’epoca né lei né Salvini erano in grado di garantire agli azzurri l’elezione in commissione Vigilanza di Simona Agnes, candidata alla presidenza. E i voti continuano a mancare. Nasce da qui quella che alcuni descrivono come una certa «insofferenza» di Maurizio Gasparri, plenipotenziario di Antonio Tajani per quanto riguarda le trattative sul servizio pubblico. I berlusconiani vogliono la certezza che Agnes abbia la sua poltrona. Altrimenti, è la minaccia tra le righe, potrebbe saltare anche l’elezione di Rossi.

Il vertice

Negli ambienti meloniani il timore è che quello degli azzurri non sia un bluff. Meglio evitare la forzatura. La speranza è tutta nelle capacità di mediazione della presidente del Consiglio. L’appuntamento è per lunedì prossimo, quando i tre leader del centrodestra torneranno a incontrarsi per quello che viene definito da fonti di maggioranza, con una certa dose di ottimismo, «l’ultimo vertice sulla Rai».

In quell’occasione, se la situazione non si sarà sbloccata, Meloni proporrà al ministro degli Esteri una soluzione temporanea, in attesa di tempi migliori. L’ipotesi più quotata per fare un passo avanti è quella di affidare la presidenza pro tempore al consigliere anziano, come sta accadendo adesso con Roberto Sergio. Uno scenario che incoraggerebbe i partiti che sono ancora incerti sul da farsi a tenere in considerazione la data di nascita dei candidati consiglieri. Per esempio, in zona Lega, Antonio Marano è più vecchio di Alessandro Casarin, mentre in area dem Antonio Di Bella ha due anni e mezzo più di Roberto Natale.

La speranza di FdI e Lega è che i voti in Vigilanza di qui a lunedì si trovino, foss’anche con qualche promessa spericolata. Rossi è al lavoro con i tessitori meloniani, ma per il momento le certezze languono. Servono i due terzi dei consensi per ratificare il o la nuova presidente, e i maggiori indiziati per raggiungere quota 28 voti sono sempre gli stessi: Italia viva e Movimento 5 stelle. Ma entrambi rischierebbero grosso a scendere a patti con la maggioranza.

Matteo Renzi sta lavorando per accreditarsi di nuovo con il centrosinistra, Giuseppe Conte metterebbe a rischio il campo largo e c’è anche chi evoca ripercussioni sull’assemblea costituente in programma per fine ottobre. Nonostante tutto, da FdI filtra fiducia.

I rischi del congelamento

Anche perché l’alternativa sullo sfondo resta sempre il congelamento dello status quo per un anno, periodo necessario per procedere alla riforma della legge sulla governance. La soluzione legherebbe le mani alle opposizioni, che chiedono di mettere mano al testo e con il loro appello hanno offerto alla maggioranza un alibi per tenere in vita artificialmente una governance di fatto scaduta.

Resterebbero in sella i direttori di genere e di testata già imposti dal centrodestra. Ma questa strada rimane un’opzione complicata, sia perché danneggerebbe i colonnelli meloniani in Rai che sperano in una consacrazione definitiva, sia perché le scadenze importanti a cui si va incontro tornerebbero a essere oggetto di trattativa in un clima sempre più aspro.

All’orizzonte ci sono i palinsesti invernali da compilare e tre testate in scadenza. Difficile affidare le nomine dei nuovi direttori di Tgr, RaiNews e Rai Sport a un cda ormai decaduto da diversi mesi. Su viale Mazzini si allunga anche il pronunciamento del Tar sulla modalità di elezione del cda della tv pubblica di fine ottobre. Insomma, non si può più andare troppo per le lunghe.

Nei corridoi della Rai si respira amarezza per un avvicendamento che, a giugno, poteva essere fatto senza grossi problemi. E, giunti a questo punto, è ormai noto che, dalle parti di palazzo Chigi, la televisione pubblica viene percepita più come un fardello che come uno strumento di potere. È stato un primo anno infarcito di errori a cui spesso ha dovuto porre rimedio Meloni stessa: sono cose che la premier ha ben presente.

Ma non ci sono alternative. Sembrano ormai in calo le quotazioni di Sergio, che per un periodo sembrava poter essere il cavallo su cui la Lega poteva puntare. Resta in corsa per l’incarico di direttore generale, ma – anche se «tutto è fluido», come dicono i dirigenti al lavoro sul dossier – in queste ore sono in ascesa le quotazioni di Marco Cunsolo. Per Meloni il predestinato resta Rossi. Anche perché, nonostante i passi falsi, non ha altri mazzi a cui attingere per scegliere i manager della televisione.

Per Rossi si è vociferato di uno spostamento al ministero della Cultura, ma l’ipotesi sembra tramontata con la permanenza – almeno temporanea – di Sangiuliano a via del Collegio romano. La suggestione è stata spazzata via dalla consapevolezza che il “Bussola” resta l’uomo forte di Meloni in Rai. Nessuna alternativa all’orizzonte.

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