Cosa c’è di meglio del fantasma di un complotto per rilanciare l’immagine di un governo senza orizzonte? Niente. Infatti Giorgia Meloni ha afferrato con entusiasmo la polemica sul governo tecnico.
L’ipotesi giornalistica di una congiura per sostituirla (con Fabio Panetta? Con Guido Crosetto?) è un toccasana per una premier indebolita. Invece di fare i conti con la Nadef o con i migranti, può evocare la manovra contro di lei dei soliti poteri forti, che in realtà sono in disarmo, in via di fuga dal paese (vedi gli Agnelli-Elkann) o in esaurimento (vedi la lista dei candidati alla presidenza di Confindustria).
Ma di fronte alle difficoltà di governo, e con la campagna per le europee del 2024 già impazzita, la premier potrebbe rovesciare il tavolo, cogliendo la Lega impreparata e Forza Italia senza più il patronage della famiglia Berlusconi (il fratello Paolo in ventiquattr’ore ha intimato la fine del lutto per Marta Fascina e la fine dei finanziamenti per Antonio Tajani). Nuove elezioni anticipate per portare il partito di Giorgia e Arianna Meloni al trenta per cento, perno del sistema, prima del logoramento. Che sia uno scenario credibile, lo dimostra la nascita della nuova corrente nel Pd, l’Arcipelago, voluta da Dario Franceschini, sempre il più veloce a muoversi prima che le cose accadano. In caso di crisi, l’Arcipelago Pd si potrebbe schierare con la necessità di mettere su un governo di emergenza, in fedeltà alla tradizione e al Quirinale, e trascinare su questa posizione la segretaria Elly Schlein. E qui c’è il dilemma.
I governi tecnici, nelle tre versioni Ciampi (1993-1994), Monti (2011-2013), Draghi (2021-2022), sono rimasti operazioni a metà, perché mai accompagnati da un radicale rinnovamento della politica. Dopo di loro è arrivata, come effetto collaterale, una vittoria dei partiti e dei leader populisti: Berlusconi (1994), Beppe Grillo (2013), Meloni (2022). E la sconfitta delle forze di sinistra. È una storia con radici antiche. La morte di Giorgio Napolitano, non è stato notato da nessuno, ha coinciso con i cinquant'anni dalla pubblicazione degli articoli di Rinascita di Enrico Berlinguer sul compromesso storico, 1973.
In quell’inizio di anni Settanta, tra stragi, bombe, tentativi di colpo di stato in Italia e non solo, Berlinguer, convalescente per un incidente di auto in Bulgaria (Emanuele Macaluso rivelò decenni dopo che era stato un attentato), scrisse che alla sinistra non bastava vincere le elezioni: «Sarebbe del tutto illusorio pensare che, anche se i partiti e le forze di sinistra riuscissero a raggiungere il 51 per cento dei voti e della rappresentanza parlamentare, questo fatto garantirebbe la sopravvivenza e l’opera di un governo espressione di tale 51 per cento». Una preoccupazione condivisa da Aldo Moro: non si governa l’emergenza da soli. Ma negli anni Settanta l’Italia era immersa nella Guerra fredda.
La destra profonda, che non si contava nelle elezioni, si pesava nei circuiti economici, militari, editoriali, con le sue reti occulte, affaristiche e criminali e i suoi cenacoli internazionali. E il Pci era legato al comunismo internazionale, figlio di un dio minore, impedito a governare da ragioni internazionali. In tutt’altro contesto, nel 2011, Napolitano da presidente è arrivato alla stessa conclusione: non bastava vincere le elezioni per governare il paese. Ma un conto era il compromesso storico tra due grandi partiti popolari, un altro l’attitudine a infilarsi nell'unità nazionale purchessia. Negli ultimi decenni a un’illusione, come scriveva Berlinguer, se ne è sostituita un’altra, rovesciata: che la sinistra possa governare facendo parte dell’establishment senza avere un progetto, un’idea di paese e il consenso nella società.
La destra da trent’anni non è più nascosta, ha conquistato l’egemonia, si candida e vince le elezioni. La sinistra invece ha rinunciato ad affrontare un corpo a corpo nel paese, nel popolo. I suoi leader più recenti non hanno paura di fare la fine di Allende, hanno semplicemente paura di sé stessi. Per vincere questa paura il centro-sinistra, e il Pd di Schlein, deve fin da ora assicurare che non saranno inseguite scorciatoie tecniche e prepararsi alle elezioni europee del 2024, e anche a un voto politico che potrebbe essere molto più vicino del previsto. Una terza via non esiste, non è mai esistita.
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