- Il ministro ha detto che «in linea di principio tutti gli atti riferibili ai detenuti in regime di 41 bis sono per loro per loro natura sensibili», smentendo quindi di fatto Delmastro che sosteneva fossero divulgabili.
- Poi dice che è necessario tener conto dell’indagine aperta dalla procura di Roma, ma «Non ci pareremo dietro la magistratura».
- Il silenzio di Meloni è stato registrato da tutti. Un silenzio, il suo, che difende i suoi due fedelissimi ma sposta politicamente la responsabilità dell’iniziativa su palazzo Chigi.
La parola che si sente più spesso nel lato destro del Transatlantico è «imbarazzo». Nessuno dei deputati di centrodestra è disposto a commentare il caso che sta agitando il governo, ma nessuno se la sente nemmeno di difendere il duo Andrea Delmastro e Giovanni Donzelli.
Il primo ha ammesso di aver dato all’amico e compagno di partito le relazioni di servizio del Dap sui colloqui tra l’anarchico in sciopero della fame contro il 41 bis, Alfredo Cospito, e i mafiosi con cui condivideva l’ora d’aria. Il secondo ne ha dato pubblica lettura alla Camera e li ha usati come arma politica contro il Pd, che era andato in carcere per valutare le condizioni di salute di Cospito.
Il disastro è esploso dentro il ministero della Giustizia e quindi in mano al ministro Carlo Nordio, che sarebbe dovuto intervenire alla Camera per relazionare sul caso Cospito, ma non ha potuto ignorare il fatto che si fosse aggiunto quello che ormai è diventato il caso Donzelli-Delmastro.
Per entrambi i casi, Nordio ha scelto di prendere tempo, usando l’alibi della magistratura. Nel ricostruire la storia processuale dell’anarchico, ha ribadito la scelta del governo di aspettare i pareri dei magistrati e che la via maestra è quella del ricorso pendente in Cassazione, poi ha confermato che il 41bis non verrà modificato.
Più delicata e imbarazzante la situazione del suo sottosegretario con delega al Dap Delmastro, che da fuori l’aula di Montecitorio ha continuato a ripetere che «era un documento non secretato» e che, a domanda, avrebbe dato le stesse informazioni a qualsiasi altro deputato. Mentre le opposizioni ne hanno chiesto le dimissioni, Nordio ha scelto la strada stretta del detto e non detto. Ha di fatto smentito il suo sottosegretario, dicendo che «in linea di principio tutti gli atti riferibili ai detenuti in regime di 41 bis sono per loro per loro natura sensibili.
Ragion per cui ai fini della loro ostensione occorre una preventiva verifica e una valutazione del loro contenuto». Tuttavia ha aggiunto che servono «approfondimenti» per capire che atti siano quelli resi pubblici da Delmastro, «quale livello di segretezza abbiano, se e chi potesse averne conoscenze e se il destinatario potesse a sua volta divulgarli o condividerli con terzi». Ogni approfondimento è utile, tuttavia le risposte le ha già fornite Delmastro: ha rivelato le relazioni di servizio della polizia penitenziaria sui colloqui tra detenuti al 41bis in cui si parlava di mafia.
Tuttavia, Delmastro è dirigente apicale del partito che ha eletto lo stesso Nordio, nonchè fedelissimo della premier Meloni mandato in via Arenula proprio per controbilanciare il garantismo del ministro. Lui ha già annunciato che non si dimetterà e Nordio, non ha potuto fare altro che prendere tempo: una istruttoria interna per ricostruire quanto accaduto e «i limiti procedurali che vanno rispettati» visto che la procura di Roma ha aperto un’inchiesta per rivelazione e utilizzazione di segreto d'ufficio, dopo un esposto del verde Angelo Bonelli.
«Non ci pareremo dietro la magistratura», ha precisato Nordio, che ha promesso di rispondere al termine della sua istruttoria interna senza aspettare gli esiti dell’inchiesta romana, ma evitando di intralciarla.
Imbarazzo filtra anche dalla maggioranza di governo. Non è passato inosservato il silenzio della premier Giorgia Meloni, nonostante al centro dello scontro ci siano due dei suoi uomini di fiducia.
Il silenzio di Meloni
Il dato politico che emerge, tuttavia, è che il contrattacco della maggioranza si è trasformato in un boomerang. FdI ha tentato di uscire dall’angolo del caso Cospito accusando il Pd di connivenze con la mafia per eliminare il 41bis, ma per farlo ha ignorato il principio di riservatezza di atti ministeriali.
Se via Arenula ha scansato le sue responsabilità con la parziale ammissione che gli atti fossero comunque «sensibili» e dunque non divulgabili senza un passaggio istituzionale, il silenzio di Meloni è stato registrato da tutti. Ieri ha continuato come se nulla fosse i suoi impegni istituzionali, ignorando lo scontro politico interno. Un silenzio, il suo, che difende i suoi due fedelissimi ma sposta politicamente la responsabilità dell’iniziativa su palazzo Chigi.
La sua maggioranza, intanto, è tornata a dividersi. Forza Italia ha preso le distanze con il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè che ha parlato di «intervento al di sopra di una normale accusa politica». Anche i deputati della Lega e di Noi Moderati, nei loro interventi in aula, hanno accuratamente evitato di entrare nel merito della divulgazione delle relazioni di servizio del Dap.
Nell’inedita veste di pompiere è invece intervenuto Matteo Salvini, che ha detto che Delmastro e Donzelli non sono in discussione e che si tratta di una «polemica parlamentare di un pomeriggio». Intanto, ha incassato per oggi l’approdo in cdm del disegno di legge Calderoli sulle autonomie, in tempo per le elezioni regionali.
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