- La nuova norma sui raduni, non solo rave party, solleva molti dubbi per l’imprecisione definitoria e l’eccessiva discrezionalità demandata all’autorità pubblica che dovrà applicarla.
- La vaghezza della disposizione fa sì che la fattispecie di reato sia suscettibile di essere riempita a seconda del contesto e della sensibilità di chi la applica. In questi casi la discrezionalità rischia di tradursi in arbitrio.
- Una serie di disposizioni già consentiva l’intervento in caso di rave party, e non solo. Il fatto che in passato esse non siano state usate è un buon motivo per emanarne altre, che si sovrappongono a quelle precedenti, creando confusione, cioè l’opposto della semplificazione promessa da Meloni?
Da tempo, per ogni evento reputato rilevante dal governo di turno si assiste al fiorire di norme restrittive, non sufficientemente accurate e poco attente al bilanciamento degli interessi coinvolti.
L’esecutivo di Giorgia Meloni non fa eccezione. Ritiene che i rave party siano un’emergenza per il paese? Interviene con disposizioni di carattere penale contenute in un decreto-legge.
Che poi i rave party non siano un’emergenza, che le norme siano scritte male e applicabili non solo ai rave party, ma a qualunque raduno abbia le caratteristiche previste, poco importa. Il governo dà «un segnale», come ha detto Meloni in conferenza stampa. Ma le norme non sono preordinate a dare “segnali”. Altrimenti, si apre la strada a storture di vario tipo nella loro elaborazione, interpretazione, applicazione.
Imprecisione della nuova norma
La norma del decreto-legge (n. 162/2022), che introduce l’art. 434-bis del codice penale, delinea una nuova fattispecie di reato, riprendendo in parte il contenuto di un’altra disposizione (art. 633 c.p.) che già sanziona l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, allo scopo di occuparli.
Ora si dice che quando l’invasione arbitraria sia commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, con la finalità di organizzare un raduno, e dallo stesso possa derivare un pericolo per ordine pubblico, incolumità pubblica o salute pubblica, la condotta è sanzionata «con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000».
Mentre è chiaro il concetto di invasione arbitraria - che consiste nell’irruzione in terreni o edifici altrui senza il consenso o l’autorizzazione di chi ne ha la disponibilità - la restante parte è connotata da un’imprecisione definitoria che lede il principio di tassatività della norma penale.
Ad esempio, la disposizione parla di terreni o edifici. Il termine “terreno” individua anche strade o piazze cittadine? Un’interpretazione più estensiva amplierebbe la fattispecie della norma, potendo ricomprendere qualunque raduno in un luogo pubblico non comunicato all’autorità con il preavviso indicato dalla legge.
«Chiunque organizza o promuove l'invasione» è punito con la pena prevista. Ma il limite di 50 persone, oltre il quale scatta la punibilità della condotta, si riferisce solo agli organizzatori o include anche i partecipanti? La norma è scritta male, e solleva questo dubbio.
La pena è diminuita «per il solo fatto di partecipare all'invasione». A parte la traballante forma italiana anche di questa parte della disposizione, traballa anche la certezza della pena, non essendo chiaramente indicata quella di riferimento, nonché la certezza dell’individuazione dei soggetti coinvolti, che potrebbero sovrapporsi.
Ad esempio, un partecipante a un raduno potrebbe a propria volta farsi promotore della partecipazione di altre persone. La questione non è meramente nominalistica, dato che dalla qualificazione dipende l’entità della pena.
La discrezionalità dell’autorità pubblica
La vaghezza della norma è legata anche all’eccessiva discrezionalità rimessa a chi è chiamato ad applicarla. Si sanziona l’invasione arbitraria di terreni o edifici a fini di raduno quando da ciò possa «derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».
L’apprezzamento dell’eventualità del pericolo è demandato alla più ampia valutazione prognostica dell’autorità pubblica. Manca la precisazione che deve trattarsi di pericolo concreto, precisazione che sarebbe stata opportuna. Nemmeno si parla di «comprovati motivi» di rischio, menzionati ad esempio nell’art. 17 della Costituzione per indicare l’unica circostanza che consente all’autorità di vietare manifestazioni in un luogo pubblico.
Peraltro, la disposizione costituzionale li cita solo relativamente a «sicurezza» e «incolumità pubblica», mentre la nuova norma aggiunge all’incolumità l’ordine pubblico e la salute pubblica. Questi ultimi sono concetti oltremodo vaghi. Il perimetro dell’ordine pubblico, in particolare, è suscettibile di essere riempito a seconda del contesto e della sensibilità di chi applica la norma, in mancanza di criteri all’interno della norma stessa che concorrano a definirlo. In questi casi la discrezionalità rischia di tradursi in arbitrio.
Anche l’ampio potere lasciato all’autorità pubblica – oltre alla rilevata imprecisione testuale - solleva dubbi circa i casi che possono rientrare nell’ambito della norma. Ad esempio, il raduno in una facoltà universitaria o in un liceo, se non concordato preventivamente con il preside, darà luogo all’uso dei poteri dell’autorità? L’invasione di campo allo stadio dopo la vittoria di uno scudetto potrebbe essere reputata pericolosa? E il raduno non autorizzato degli operai in una fabbrica a scopo di manifestazione?
Una norma penale dovrebbe essere chiara e precisa nei suoi elementi. È il citato principio di tassatività, che obbliga a una puntuale determinazione della condotta descritta, in modo che si possa desumere con esattezza ciò che è lecito e ciò che è vietato.
L’art. 434-bis potrebbe essere definita una norma grimaldello o, se si preferisce, passepartout: legittima l’intervento dell’autorità pubblica in una serie di contesti, senza legarla al rispetto dei vincoli indicati in altre norme che, invece, limitano la discrezionalità dell’autorità stessa. E non bastano le rassicurazioni del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e della stessa Meloni a garantire che della disposizione sarà fatto un uso corretto.
Le sanzioni
La pena della reclusione indicata dalla nuova norma è superiore a quella prevista per altre fattispecie delittuose: dall’omicidio colposo (reclusione da sei mesi a cinque anni) all’occultamento di cadavere (reclusione fino a tre anni).
La sproporzione tra la condotta criminosa - l’organizzazione o la promozione del raduno - e le relative sanzioni appare palese in base non solo al diritto, ma anche al buon senso. Inoltre, il fatto che la sanzione preveda la reclusione oltre i cinque anni determina in automatico la possibilità di procedere a intercettazioni telefoniche, ai sensi del codice di procedura penale (art. 266). E non è tutto.
Nei riguardi dei soggetti indiziati per il nuovo reato è possibile disporre la “sorveglianza speciale”, misura contemplata dal codice antimafia (d.lgs n. 159/2011), che comporta limitazioni della libertà personale.
Dunque, la persona sospettata di aver organizzato o promosso un raduno pericoloso, anche uno studente universitario, per ipotesi, potrebbe essere equiparata a un mafioso, date le misure applicabili nei suoi confronti. E anche questo appare eccessivo e sproporzionato.
C’era bisogno di una nuova fattispecie di reato? Una serie di disposizioni già consentiva l’intervento dell’autorità pubblica in caso di rave party, nonché di altro tipo di raduni. Il fatto che in passato esse non siano state usate può essere reputato un buon motivo per emanarne altre, che si sovrappongono a quelle precedenti, creando confusione, cioè l’opposto della semplificazione promessa da Meloni?
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