- Matteo Renzi e Carlo Calenda accusano Pd e M5s di spartirsi la manciata di incarichi che spettano, per prassi, all’opposizione, sempreché l’opposizione riesca a far convergere i propri voti.
- Ma Letta e Conte quasi non si parlano. E la mossa del leader Iv sembra prefigurare un altro scenario: dare alla maggioranza la possibilità di spaccare ancora una volta le minoranze.
- Boccia (Pd): «Falsificazioni. Con i numeri che hanno, potranno accedere alle cariche negli uffici di presidenza. La vicepresidenza del Senato va ai gruppi maggiori». Venerdì la direzione aprirà il percorso congressuale
A parole sono tutti contro le destre – Pd, M5s e Italia viva-Azione – ma poi non si parlano fra loro. E così, dopo aver regalato la vittoria a Giorgia Meloni, ora rischiano di regalare a lei e alla sua travagliata maggioranza anche gli strapuntini che spetterebbero alle opposizioni: due vicepresidenti delle camere su quattro totali, due questori su tre, e quattro segretari d’aula su otto. L’altra ipotesi, ancora più velenosa e paradossale, è quella di dare alla stessa maggioranza, che pure stenta a trovare un accordo interno per il governo, anche la facoltà di scegliere i nomi delle opposizioni.
Gli effetti delle divisioni del centrosinistra rischiano insomma di essere di lunghissima durata, nella diciannovesima legislatura appena sorgente. Oggi i gruppi parlamentari eleggeranno i loro presidenti, alle 14 al senato e alle 15 alla camera. Domani le camere eleggeranno invece i vice di Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. E le opposizioni, anziché mettersi d’accordo, si lanciano minacce reciproche. E promesse di rotture perenni.
A caccia di posti o di alibi
Ieri di nuovo Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno accusato Pd e M5s di spartirsi la manciata di incarichi che spettano, per prassi, all’opposizione, sempreché l’opposizione riesca a far convergere i propri voti.
Nella realtà fra Pd e Cinque stelle ormai c’è un insormontabile muro di incomunicabilità, che infatti rischia di travolgere anche gli accordi per le prossime regionali nel Lazio. Nelle camere il dialogo è difficilissimo: per il Nazareno a trattare è il senatore Marco Meloni, coordinatore della segreteria e plenipotenziario lettiano; per il movimento postgrillino invece è Giuseppe Conte in persona a fare il regista di ogni scelta, coadiuvato da Francesco Silvestri e Mariolina Castellone, probabili prossimi capogruppo di camera e senato.
Ma per il leader di Iv non è vero nulla: davanti alle telecamere litigano, e invece trattano sottobanco, assicura. Così Calenda avverte: «Se Pd e M5s, come sembra, faranno l’accordo per spartirsi tutte le vicepresidenze di camera e senato destinate all’opposizione» Azione «non parteciperà al voto». Più che un aventino, un ammutinamento contro il presunto comandante, cioè il leader del primo partito dell’opposizione. «Condivido», twitta Renzi. In realtà il leader Iv va un po’ oltre con le accuse: «Se Pd e Cinque Stelle ci tenessero fuori, sarebbe un atto di gravità inaudita, atto che dovremmo immediatamente porre alla attenzione del presidente della Repubblica». Fonti di Italia viva raccontano che i Cinque stelle hanno fatto sapere che li terranno fuori dal pacchetto delle nomine.
Falsi d’autore
Per il Pd però la ricostruzione renziana e dei suoi è «la solita falsificazione». Per Francesco Boccia, l’ex premier «sta dicendo cose false: i regolamenti di Camera e Senato garantiscono a tutte le opposizioni la presenza negli uffici di presidenza». Ma c’è una questione di numeri, e «con i numeri che hanno, potranno accedere alle cariche - che sono elettive - negli uffici di presidenza, con i questori e i segretari d'aula. Se invece con il 4,5 per cento si pretende di ottenere una vicepresidenza del Senato che andrebbe ai gruppi maggiori è un po’ troppo. Per fortuna abbiamo delle regole certe».
Il grido di allarme di Renzi e Calenda però potrebbe avere un altro scopo, e cioè quello di precostituirsi l’alibi per tenersi le mani libere. E magari trattare direttamente con la maggioranza qualche posto.
Sulla vicenda pesano, e parecchio, i sospetti sulla provenienza dell’aiutino con cui giovedì scorso, alla prima votazione, è stato eletto La Russa alla presidenza del senato, senza il concorso di Forza Italia ma grazie a una ventina di voti segreti. Che potrebbero essere stati un gesto di buona volontà nei confronti di Fdi e Lega da parte di singoli senatori; o piccoli gruppi, o persino pezzi di gruppi. Un segnalino, comunque, per ingraziarsi i nuovi padroni di casa.
In caso di mancato accordo fra le opposizioni, la maggioranza potrebbe fare cappotto, e cioè eleggersi vicepresidenti, questori e segretari d’aula a proprio piacimento; ma sarebbe un gesto di arroganza troppo plateale. Oppure, meglio, potrebbe far convergere i propri voti sull’esponente della minoranza preferito. E così dopo la beffa dell’elezione di La Russa, le destre potrebbero mettere a segno un altro colpaccio.
La giostra dei nomi
Italia viva lascia filtrare la propria rosa per le vicepresidenze: alla camera Ettore Rosato, Maria Elena Boschi e Mara Carfagna. Conte punta sul senatore Stefano Patuanelli, Chiara Appendino o Alessandra Todde.
Per il Pd la partita, neanche a dirlo, è più complicata. Perché si intreccia con le ipotesi sul futuro segretario: con ogni probabilità venerdì Letta convocherà la direzione che aprirà il percorso congressuale. Per ora però la vicenda istituzionale si deve incastrare con la scelta dei capogruppo. Anzi delle capogruppo: Letta ha chiesto che i parlamentari eleggano di nuovo due donne. Al borsino, a ieri, scende l’ipotesi di confermare le uscenti Debora Serracchiani (camera) e Simona Malpezzi (senato), salgono le quotazioni rispettivamente di Anna Ascani e Valeria Valente.
In questo caso Serracchiani potrebbe essere proposta come vicepresidente di Montecitorio, e Anna Rossomando confermata alla vicepresidenza di palazzo Madama. Su tutto pesa il rimescolamento dei pesi delle correnti, e in particolare la perdita di forza parlamentare di Base riformista. A cui sembra destinato un solo “posto”: la presidenza del Copasir destinata al ministro uscente della difesa Lorenzo Guerini, non precisamente gradito ai Cinque stelle; in alternativa si fa il nome di Enrico Borghi, della stessa area ma con un solido rapporto con Letta. In ogni caso ieri sera al Nazareno, per i propri voti di mercoledì, si scommetteva in su un poker di donne.
Anche se al senato pesa la presenza di Marco Meloni, anche lui papabile vicepresidente. E alla camera l’ipotesi – in discesa però – del presidente uscente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. L’idea di piazzare il paladino dei diritti civili Alessandro Zan alle costole dell’omofobo Fontana non avrebbe convinto la maggioranza dei deputati dem.
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