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La vittoria alle comunali ha dato forza alla premier, che ora tenta il cambio di passo sulle riforme
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oggi si terrà un vertice di maggioranza, in cui Fratelli d’Italia punta a trovare un accordo sul modello da portare in Consiglio dei ministri per la riforma del presidenzialismo
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Le opposizioni hanno calendarizzato il voto sul Mes, se il governo vota no sarà uno schiaffo all’Ue
Nemmeno il tempo di godersi il quasi cappotto con le amministrative, che già intorno al governo si ammassano i problemi già noti. A materializzarsi ora, sotto forma di proposta di legge delle opposizioni che l’aula di Montecitorio ha dovuto calendarizzare, è il Mes.
L’Ue chiede da mesi all’Italia di ratificarlo, ma Fratelli d’Italia e la Lega si sono sempre espressi contro e, una volta al governo, hanno preferito tergiversare. Anche perchè il rischio è di una spaccatura dentro la maggioranza, proprio dopo una favorevolissima tornata elettorale in cui aveva dato buona prova di tenuta.
Giorgia Meloni, infatti, sperava di poter godere almeno per qualche settimana dell’onda lunga dei successi in 16 comuni toscani sui 22 chiamati al voto, con la conquista dei tre capoluoghi di provnicia – Massa, Siena e Pisa – e, nelle Marche, della roccaforte rossa di Ancona. La sfida elettorale ai ballottaggi, infatti, ha confermato la tenuta territoriale dell’alleanza di centrodestra anche ai ballottaggi, che storicamente sono sempre stati la prova più ostica per quest’area politica.
Invece il successo ha avuto due matrici: da un lato il vento favorevole a Meloni che ancora soffia nel paese, con Fratelli d’Italia ovunque primo partito del centrodestra; dall’altro una scelta convincente di candidati sul territorio, frutto di guerre anche dure – come nel caso di Catania – dentro la coalizione, che poi però si è mossa compatta. Proprio queste comunali, infatti, sono state forse l’unico campo in cui la premier ha acconsentito a rispettare un equilibrio spartitorio con gli alleati, anche per rispettare le dinamiche territoriali di ogni città, e i candidati sindaci sono stati scelti in modo sostanzialmente equo tra i tre partiti.
Proprio questo ha portato a un consolidamento elettorale dell’alleanza sia sulla dorsale adriatica che nell’ex regione rossa della Toscana, intaccando il mito dell’imbattibilità del centrosinistra nei centri cittadini e del centrodestra confinato alle periferie urbane. Una vittoria, quindi, da non enfatizzare oltre il dovuto ma nemmeno da sottovalutare, visto che gli avversari del centrosinistra avevano da giocarsi la carta della novità – oggi rivelatasi poco efficace – con la segretaria Elly Schlein.
Le riforme
Il risultato ha impresso una accelerazione anche a livello nazionale sui vari fronti aperti, a partire dal via libera alla commissione Covid e dall’approdo in aula del disegno di legge sul reato universale di gestazione per altri, ormai bandiera di FdI. La vera riforma su cui Meloni non intende più tergiversare, però, è quella istituzionale.
Il lavoro sta procedendo a rilento sul fronte della riforma costituzionale del Presidenzialismo, che dovrebbe procedere in parallelo a quella dell’Autonomia ma di cui ancora non si conoscono i contorni e nemmeno la roadmap.
Ad oggi l’unico impegno assunto dal governo è quello della ministra Elisabetta Casellati, che aveva annunciato in commissione Affari costituzionali alla Camera che un testo sarebbe stato pronto a luglio. Rimane però ancora in piedi l’ipotesi della commissione bicamerale, non accantonata tra le possibilità di palazzo Chigi.
Per tentare il cambio di passo, Meloni ha convocato per oggi un vertice di maggioranza, in cui Fratelli d’Italia punta a trovare un accordo sul modello da portare in Consiglio dei ministri.
Incerta la presenza della premier, la cui agenda è fitta di impegni istituzionali, con tutta probabilità al tavolo siederanno però la ministra Casellati e il sottosegretario Alfredo Mantovano, che sta seguendo da vicino l’iter per palazzo Chigi.
L’obiettivo è uscire dall’incontro con la condivisione di massima sul modello del premierato, che quindi tenga ferme le prerogative della presidenza della Repubblica per modificare solo quelle dell’Esecutivo. Più facile a dirsi che a farsi, con più di un’incognita di natura costituzionale.
Il Mes
In questo quadro di egemonia della maggioranza, le opposizioni sono riuscite ad assestare un unico colpo, riportando a galla la grana del Mes.
Il meccanismo europeo di stabilità è stato uno dei totem della campagna elettorale sia di Meloni che di Matteo Salvini, contrari alla ratifica tanto che la premier ha dichiarato: «Mai fino a quando ci sarò io al governo».
Tuttavia dall’Eurogruppo sono arrivate ripetute pressioni: la riforma del Mes, infatti, fa parte delle politiche condivise ed è fondamentale per garantire la stabilità finanziaria della zona euro, per questo deve essere approvata da tutti.
A margine degli ultimi impegni europei si era colto un ammorbidimento da parte del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che si era sbilanciato con un «approfondiremo» per smentire i sospetti di voler usare la ratifica del Mes come arma di ricatto per modificare il Pnrr.
Ora, però, il tempo delle riflessioni è finito. Terzo polo e Pd hanno fatto calendarizzare il Mes tra i progetti di legge della quota riservata alle opposizioni e il 30 giugno arriverà in aula alla Camera. «Vedremo se ha ragione Giorgetti quando dice che il parlamento è contrario alla ratifica», è la provocazione di Luigi Marattin. «Il governo non potrà più tergiversare», esulta invece il Pd con Piero De Luca.
Costretta ad una scelta netta, Meloni rischia: votare contro e bloccare la ratifica, infatti, sarebbe uno schiaffo a Bruxelles proprio mentre si sta chiedendo di rinegoziare le condizioni del Pnrr. La Lega si è subito esposta per il no con Claudio Borghi.
Silenzio invece da Forza Italia, che è storicamente favorevole alla ratifica. Anche palazzo Chigi formalmente tace, ma tra un mese esatto la scelta andrà presa e sarà determinante per i futuri rapporti europei.
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